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Uso personale di droga: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per coltivazione e detenzione di stupefacenti. La difesa sosteneva l’uso personale di droga, ma la Corte ha ritenuto le argomentazioni meramente ripetitive di quelle già respinte in appello e volte a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La condanna è stata confermata sulla base di elementi come il numero di piante, la quantità di sostanza e la diversità dei luoghi di coltivazione e detenzione.

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Pubblicato il 16 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Uso personale di droga: Quando la difesa non basta in Cassazione

La distinzione tra detenzione di stupefacenti per uso personale di droga e quella finalizzata allo spaccio è una delle questioni più delicate e frequenti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso e i criteri utilizzati dai giudici per valutare la destinazione della sostanza, confermando una condanna per coltivazione e detenzione.

Il Fatto: la Condanna per Coltivazione e Detenzione

Il caso ha origine dalla condanna inflitta in primo e secondo grado a un soggetto per i reati di coltivazione e detenzione di sostanze stupefacenti. La Corte d’Appello aveva confermato la decisione del Tribunale, ritenendo che le prove raccolte dimostrassero una finalità di cessione a terzi e non un mero uso personale.

L’imputato, non rassegnato alla condanna, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basando la sua difesa su due punti principali: la violazione di legge e il vizio di motivazione. In sostanza, chiedeva di riconsiderare la destinazione della droga e di applicare la fattispecie attenuata prevista per i casi di lieve entità.

I Motivi del Ricorso e la tesi dell’Uso Personale di Droga

La difesa dell’imputato ha tentato di smontare l’impianto accusatorio sostenendo che la coltivazione e la detenzione fossero finalizzate esclusivamente a soddisfare il proprio fabbisogno personale. Si è contestata la valutazione dei giudici di merito, che avrebbero errato nel non riconoscere le condizioni per un uso personale di droga, e si è richiesta la derubricazione del reato a una fattispecie meno grave (ex art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990).

Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente considerato le sue argomentazioni, giungendo a conclusioni illogiche sulla base degli elementi probatori acquisiti.

La Decisione della Cassazione: Inammissibilità del Ricorso

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del giudizio di legittimità: la Suprema Corte non può riesaminare i fatti del processo o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza impugnata sia logica e non contraddittoria.

Nel caso specifico, i giudici hanno rilevato che i motivi del ricorso erano meramente ripetitivi delle argomentazioni già presentate e respinte in appello. L’imputato, di fatto, non contestava una scorretta applicazione della legge, ma proponeva una diversa lettura delle prove, un’operazione preclusa in sede di Cassazione.

Le Motivazioni

La Corte ha sottolineato come la sentenza d’appello avesse fornito una motivazione esaustiva e coerente per escludere l’uso personale di droga. I giudici di merito avevano valorizzato diversi elementi indiziari, tra cui:

1. La diversità dei luoghi: la coltivazione delle piante e la detenzione della marijuana avvenivano in posti differenti, un dato ritenuto indicativo di un’organizzazione non compatibile con il solo consumo personale.
2. Il numero di piantine: la quantità di piante coltivate è stata giudicata non esigua.
3. Il quantitativo di sostanza: la marijuana rinvenuta non era riconducibile all’uso personale, anche considerando la sua rapida deperibilità e il consumo dichiarato dall’imputato stesso.
4. Il principio attivo: il dato ponderale e la quantità di principio attivo ricavabile sono stati elementi decisivi per negare la derubricazione al fatto di lieve entità.

Questo percorso argomentativo è stato ritenuto immune da vizi logici o contraddizioni, rendendo il ricorso infondato.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un importante insegnamento processuale: il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove ridiscutere i fatti. Per avere successo, è necessario individuare specifici errori di diritto o palesi illogicità nella motivazione della sentenza impugnata. Proporre argomentazioni già respinte, sperando in una diversa valutazione delle prove, conduce quasi inevitabilmente a una dichiarazione di inammissibilità. Questa decisione comporta non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano una semplice ripetizione delle argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. Inoltre, mirava a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività che non è consentita alla Corte di Cassazione, la quale giudica solo la corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità).

Quali elementi hanno convinto i giudici a escludere l’uso personale della droga?
I giudici hanno escluso l’uso personale basandosi su una serie di prove concrete: la diversità dei luoghi utilizzati per la coltivazione e per la detenzione, il numero non esiguo di piantine, la quantità complessiva di marijuana (considerata eccessiva per il consumo dichiarato e per la rapida deperibilità della sostanza) e la quantità di principio attivo ricavabile.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna definitiva dell’imputato e l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle Ammende, un fondo statale destinato al miglioramento del sistema penitenziario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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