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Uso personale di droga: quando la quantità lo esclude

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per spaccio di sostanze stupefacenti. La detenzione di 1,6 kg di marijuana, corrispondenti a oltre 444 dosi, insieme alla suddivisione della sostanza e ai precedenti penali specifici, sono stati considerati elementi sufficienti a escludere l’uso personale di droga e a confermare la responsabilità penale per il reato di spaccio.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Uso personale di droga: la Cassazione traccia la linea di confine con lo spaccio

La distinzione tra uso personale di droga e spaccio è una delle questioni più delicate e ricorrenti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 3952/2024) offre importanti chiarimenti sui criteri utilizzati dai giudici per valutare la destinazione di un quantitativo di sostanze stupefacenti, confermando che il solo dato ponderale, sebbene rilevante, non è l’unico elemento decisivo.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un individuo per il reato previsto dall’art. 73 del D.P.R. 309/90. L’imputato era stato trovato in possesso di un notevole quantitativo di marijuana, pari a 1,6 kg. Secondo le analisi tecniche, tale quantità corrispondeva a oltre 444 dosi medie. Oltre al peso ingente, la sostanza era già stata frazionata e suddivisa in dosi, un chiaro indicatore di un’attività preparatoria alla vendita.

Contro la sentenza di condanna, la difesa dell’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, contestando in modo generico la motivazione della Corte d’Appello. L’obiettivo era ottenere il riconoscimento dell’uso personale della droga, o quantomeno una pena più mite.

La Decisione della Corte di Cassazione e la valutazione dell’uso personale di droga

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e non in grado di scalfire la logicità della decisione impugnata. I giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse correttamente confermato la responsabilità dell’imputato basandosi non solo su un singolo elemento, ma su una valutazione complessiva di diversi indizi gravi, precisi e concordanti.

La Corte ha ribadito che la detenzione di una quantità di sostanza stupefacente così palesemente eccedente le necessità di un consumo personale immediato costituisce un primo, forte, indizio della finalità di spaccio.

Le Motivazioni

La motivazione dell’ordinanza si fonda su tre pilastri principali che, letti congiuntamente, non lasciano spazio a dubbi sulla destinazione della sostanza:

1. Il dato quantitativo: 1,6 kg di marijuana (oltre 444 dosi) è una quantità che, secondo le massime di esperienza, è oggettivamente incompatibile con un consumo puramente personale, anche per un consumatore abituale.
2. Le modalità di presentazione: Il frazionamento della sostanza in singole dosi è una modalità tipica dell’attività di spaccio, preparata per la vendita al dettaglio. Questo elemento, unito alla quantità, rafforza l’ipotesi accusatoria.
3. I precedenti penali: La Corte ha dato rilievo ai plurimi precedenti penali specifici dell’imputato. La presenza di condanne passate per reati legati agli stupefacenti è stata considerata un elemento di valutazione significativo per interpretare la condotta attuale, indicando una persistenza nell’attività illecita.

Inoltre, proprio sulla base di questi elementi, i giudici hanno ritenuto corretto escludere l’applicazione di una pena sostitutiva, evidenziando come l’accurata preparazione dell’attività di spaccio e la storia criminale del soggetto fossero incompatibili con sanzioni alternative alla detenzione.

Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione ribadisce un principio consolidato: per distinguere l’uso personale di droga dallo spaccio, il giudice deve compiere una valutazione globale di tutti gli indizi a sua disposizione. Il superamento delle soglie quantitative ministeriali è un indicatore importante, ma non automatico. Sono le circostanze concrete, come le modalità di detenzione, la suddivisione in dosi e i precedenti specifici dell’imputato, a fornire un quadro completo e a fondare una sentenza di condanna per spaccio. La decisione, pertanto, serve come monito: la detenzione di quantitativi ingenti e già suddivisi rende estremamente difficile sostenere la tesi dell’uso esclusivamente personale.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché contestava in modo generico la motivazione della sentenza precedente, senza confrontarsi specificamente con le ragioni logiche e basate su massime di esperienza addotte dalla Corte d’Appello per confermare la condanna.

Quali elementi hanno portato i giudici a escludere l’uso personale di droga?
I giudici hanno escluso l’uso personale basandosi su una serie di elementi convergenti: l’ingente quantità di sostanza (1,6 kg di marijuana, pari a oltre 444 dosi medie), il fatto che fosse già suddivisa in dosi pronte per la vendita e i numerosi precedenti penali specifici dell’imputato in materia di stupefacenti.

Per quale motivo non è stata concessa una pena sostitutiva?
La concessione di una pena sostitutiva è stata esclusa a causa dei plurimi precedenti penali dell’imputato e dell’accurata preparazione dimostrata nell’attività di spaccio. Questi fattori sono stati ritenuti indicativi di una pericolosità sociale incompatibile con sanzioni alternative al carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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