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Uso personale di droga: annullata condanna

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, sottolineando che la prova deve essere rigorosa. Nel caso in esame, la quantità di droga e l’accusa di un coimputato non sono state ritenute sufficienti a superare la presunzione di uso personale di droga, in assenza di altri elementi come bilancini, ingenti somme di denaro o attività di cessione osservata. La sentenza ribadisce che l’onere di provare la finalità di spaccio spetta all’accusa.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Uso personale di droga: quando la prova non basta per la condanna

La distinzione tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale di droga e quella finalizzata allo spaccio è uno dei temi più delicati e dibattuti nel diritto penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 18581/2024) ha riaffermato un principio fondamentale: per una condanna per spaccio non bastano meri indizi o la sola quantità di sostanza, ma servono prove concrete e univoche. La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la condanna di un imputato, stabilendo che ‘il fatto non sussiste’ per mancanza assoluta di prova.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per aver detenuto, in concorso con un’altra persona, sostanze stupefacenti (cocaina e hashish) non destinate a un uso esclusivamente personale. Durante un controllo, l’imputato era stato trovato in possesso di uno spinello e di una piccola quantità di hashish. Il suo accompagnatore, invece, occultava nei pantaloni nove dosi di cocaina, tre pezzi di hashish e 80 euro in contanti. Una successiva perquisizione a casa dell’imputato portava al rinvenimento di un’altra modica quantità di hashish e di un pacco di cartine.

I giudici di merito avevano basato la condanna su alcuni elementi: il quantitativo totale di droga, le dichiarazioni accusatorie del coimputato (che sosteneva di aver appena ricevuto la droga dall’imputato) e la presunta scarsa plausibilità delle dichiarazioni difensive.

Le Motivazioni della Cassazione: la prova incerta sull’uso personale di droga

La Corte di Cassazione ha smontato l’impianto accusatorio, evidenziando la debolezza e l’inadeguatezza dei criteri utilizzati per affermare la responsabilità penale. I giudici hanno sottolineato come mancassero elementi probatori cruciali per superare la ragionevole ipotesi dell’uso personale di droga.

In primo luogo, il dato quantitativo, in assenza di un’analisi sul principio attivo, non era di per sé sufficiente a dimostrare una finalità di spaccio. La Corte ha inoltre osservato che il confezionamento in dosi della cocaina, trovato addosso al coimputato, non era un indicatore decisivo, dato il numero limitato di dosi.

L’assenza di indicatori tipici dello spaccio

La Suprema Corte ha posto l’accento sulla totale assenza di altri elementi tipicamente associati all’attività di spaccio. Nello specifico, mancavano:

* Strumenti per il confezionamento: non sono stati trovati bilancini di precisione, cellophane, nastro isolante o altro materiale per preparare le dosi.
* Disponibilità finanziarie sospette: la somma di 80 euro trovata al coimputato è stata ritenuta non particolarmente rilevante.
* Contatti con acquirenti: gli agenti operanti non avevano notato alcuna manovra di avvicinamento da parte di potenziali acquirenti che potesse far pensare a un’attività di cessione in corso.

La Corte ha ribadito un principio cardine: l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio grava sulla pubblica accusa. Non è l’imputato a dover provare che la sostanza fosse per uso personale.

Le Motivazioni: l’inattendibilità dell’accusa del coimputato

Un altro punto fondamentale della decisione riguarda la valutazione della dichiarazione del coimputato, che aveva accusato il ricorrente di essere il suo fornitore. La Cassazione ha ricordato che, secondo l’art. 192 del codice di procedura penale, una simile dichiarazione ‘eteroaccusatoria’ non può da sola fondare una condanna. Essa necessita di essere corroborata da elementi di riscontro esterni, oggettivi e individualizzanti, che in questo caso mancavano completamente.

Enfatizzare la sola ‘relazione di vicinato’ tra i due soggetti, come fatto dai giudici di merito, non costituisce un riscontro valido per provare il concorso nel reato.

Le Conclusioni

La sentenza si conclude con l’annullamento senza rinvio della condanna perché ‘il fatto non sussiste’. Questa decisione rappresenta un importante monito sulla necessità di un rigoroso accertamento probatorio nei processi per droga. Non si può condannare sulla base di deduzioni logiche fragili o di un quadro indiziario ambiguo. Per distinguere l’uso personale di droga dallo spaccio, è indispensabile che l’accusa fornisca prove concrete e univoche che dimostrino, al di là di ogni ragionevole dubbio, la finalità di cessione a terzi della sostanza stupefacente.

La sola quantità di droga trovata è sufficiente per una condanna per spaccio?
No, la sentenza chiarisce che il dato quantitativo da solo, specialmente in assenza di un’analisi qualitativa sul principio attivo, non è sufficiente a escludere con certezza l’ipotesi dell’uso personale di droga e a fondare una condanna per spaccio.

L’accusa di un coimputato basta per provare la colpevolezza di un’altra persona?
No, secondo la Corte, la dichiarazione accusatoria di un coimputato non è sufficiente da sola. Deve essere supportata da elementi di prova esterni (‘riscontri estrinseci’) che ne confermino l’attendibilità e la veridicità in modo individualizzante.

Chi deve provare se la droga è per spaccio o per uso personale?
La sentenza ribadisce che l’onere della prova grava interamente sulla pubblica accusa. È il Pubblico Ministero che deve dimostrare con prove concrete e logiche che la sostanza era destinata allo spaccio, non l’imputato a dover provare che fosse per uso personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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