Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19101 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19101 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in MOLDAVIA il 20/08/1970
Parte civile:
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 21/03/2024 della Corte d’appello di Venezia Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Venezia ha confermato la pronunzia del Tribunale di Verona del 17.01.2023, che condannava
•
NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 624 e 61 n.11, cod. pen., alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, RAGIONE_SOCIALE quantificati in complessivi euro 1.076,00.
Avverso la suindicata sentenza l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, Avv. NOME COGNOME affidato a quattro motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’uso illecito della carta carburante. Si deduce di avere replicato, al preavviso di licenziamento, con lettera, di avere usufruito della carta carburante solo per la stretta necessità di andare al lavoro, e che, nel periodo in questione, per prassi, il datore di lavoro autorizzava il lavoratore ad utilizzare la carta carburante anche per rifornire i propri veicoli per recarsi al lavoro, indicando quale riscontro l’agenda del ricorrente, e che i rifornimenti sono stati effettuati nel tragitto casa-lavoro.
In punto di elemento soggettivo, si deduce che la Corte di appello, da un lato, ha ritenuto neutro l’importo del gasolio, di volta in volta sottratto, e non quale indice di scaltrezza, dall’altro, ha escluso la sussistenza della buona fede e che, invece, la condotta sarebbe scevra di qualsivoglia rappresentazione e volontà.
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2.2 II secondo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali in relazione dt mancato accoglimento della richiesta di applicazione della disciplina della particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis cod. pen., deducendo la illogicità del ragionamento della Corte di merito in punto di elemento soggettivo e che alla mancanza di scaltrezza dovrebbe conseguire un dolo non particolarmente intenso e che il reato sarebbe bagatellare.
2.3 II terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge in relazione all’applicazione dell’art.538 cod. proc. pen., in punto di risarcimento del danno, in favore della parte civile, deducendo che la Corte di appello avrebbe ravvisato il danno nella condotta dell’imputato, senza che la parte civile abbia fornito prova dell’an e del quantum.
2.4 II quarto motivo di ricorso lamenta erronea applicazione di legge in punto di trattamento sanzionatorio e di mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, deducendo l’esiguità dell’importo, l’inserimento sociale del ricorrente ed il suo impiego fisso nonché la illogicità del ragionamento della Corte di merito che ritiene datati i precedenti penali ma non riconosce le attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2.1 Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso di fornire convincente risposta a tutte le doglianze contenute nell’appello, in particolare con riferimento alle allegazioni difensive, che dimostrano la liceità dei rifornimenti di carburante con la carta aziendale e l’assenza dell’elemento soggettivo del reato.
Le deduzioni riportate nel ricorso di carenza e di contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata costituiscono, in realtà, una richiesta di diversa valutazione degli elementi e del materiale probatorio, valutazione preclusa nel giudizio di legittimità, circoscritto alla verifica sulla completezza e sull correttezza della motivazione di una sentenza e non può esondare dai limiti cognitivi sanciti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen., mediante una rinnovata valutazione o rivalutazione degli elementi probatori acquisiti al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Il controllo di legittimità non è, in altri termini, diretto a sindacare la intrins attendibilità dei risultati della interpretazione delle prove, né a ripercorrere l’anali ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della conseguenzialità, le conclusioni tratte (S.U. n.47289 del 24.09.2003, COGNOME).
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed
adeguato la ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. Un., 16 dicembre 1999, n. 24, S., Rv. 214794 e Sez. III, 11 gennaio 1999, n. 215, F., Rv. 212091 al cui lungo iter motivazionale si rinvia).
Pertanto, non è denunciabile il vizio di travisamento del fatto, ove lo stesso non risulti dal testo del provvedimento, giacché è inibito alla Corte di legittimità di saggiare la tenuta logica della pronuncia mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati da atti esterni alla pronuncia (Sez. Un., 23 giugno 2000, n. 12, l, Rv. 216260, che ha definitivamente escluso un sindacato precluso dalla chiara lettera dell’art. 606 c.p.p.).
Alla stregua del costante orientamento di questa Corte (Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024 Rv. 286406 – 02), la motivazione “per relationem” alla sentenza di primo grado nel giudizio di appello è legittima nel caso in cui il complessivo quadro argomentativo fornisca una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità.
Tanto premesso, va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungano a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2-, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, Rv. 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Così che essendo al cospetto di una condanna a seguito di sentenza in doppia conforme, l’eventuale asserito travisamento della prova doveva riferirsi a circostanza decisiva travisata utilizzata dal giudice di secondo grado e mai introdotta prima nella motivazione. Ma così non risulta dalle censure del ricorso, che appuntano le proprie doglianze, riproponendo quelle mosse alla sentenza di prime cure con i motivi di appello, su una diversa interpretazione di prove la cui portata non risulta per nulla travisata nel suo significante dalla Corte territoriale, che, anzi, su ogni motivo d’appello, ha argomentato e superato le doglianze mosse con argomentazioni logiche, coerenti e del tutto incensurabili.
La Corte di appello con motivazione, corretta ed immune da vizi logicogiuridici, premettendo che le censure formulate non contengono elementi ed argomenti diversi, già disattesi dal giudice di prime cure, alla cui motivazione precisa ed articolata si è riportata integralmente, ha fatto buon governo del compendio probatorio, valutando in sinergia gli elementi di prova in atti. In particolare, la Corte territoriale ha considerato che la condotta materiale dei rifornimenti non è contestata ed è corroborata dalle dichiarazioni della persona offesa e dalla documentazione in atti, e che il rifornimento di carburante è stato destinato per tre volte, in un breve arco temporale, al veicolo intestato alla moglie dell’imputato.
La Corte di appello ha, inoltre, confutato l’argomento difensivo della strumentalità della denuncia rispetto alla causa di lavoro di licenziamento, evidenziando che la contestazione disciplinare risale al 19.09.2017, e il successivo licenziamento per giusta causa al 28.09.2017, mentre il ricorso in materia di lavoro è proposto solo il 3.09.2021, e che il decreto penale veniva notificato il 28.04.2021, ossia quattro anni dopo il licenziamento, e dopo avere avuto contezza dell’azione penale, ritenendo invece la strumentalità del ricorso in materia di lavoro.
La Corte di merito ha evidenziato, con motivazione immune da vizi di illogicità e da censure, che le giustificazioni difensive di una asserita autorizzazione all’utilizzo della carta aziendale, da parte del datore di lavoro, non risultano avanzate nella immediatezza nel procedimento disciplinare, così da apparire una giustificazione costruita a posteriori; ha preso atto della assenza di una versione diretta fornita dall’imputato; ha rigettato le circostanze, indotte da deposizioni testimoniali della difesa, sulla asserita prassi aziendale, in quanto generiche e prive di valenza di riscontro della tesi difensiva, in relazione al dipendente COGNOME
Quanto alla esclusione della valenza probatoria dell’agenda del ricorrente, la Corte d’appello ha spiegato che trattasi di fogli privi di data certa, provenienti dall’imputato, che poteva scrivervi ciò che più gli conveniva, in relazione alla imputazione, di cui era a conoscenza in quanto prodotti solo nel dibattimento.
Quanto all’estratto della carta carburante, la Corte di merito ha evidenziato che l’aumento del consumo di carburante del mezzo, intestato alla moglie, era privo di giustificazione.
Parimenti, in punto di elemento soggettivo, la motivazione è immune da vizi di manifesta illogicità e da censure, laddove considera neutro l’importo di carburante, di volta in volta, sottratto, in quanto non costituiva indice di particolare accortezza per passare inosservato ma, al contempo, nemmeno indice di buona
fede tanto più che, in sede disciplinare, in cui COGNOME muove le proprie controdeduzioni, non menziona la tesi della prassi dell’autorizzazione da parte del datore di lavoro, anche mediante testimonianze di altri lavoratori, né giustifica e documenta i rifornimenti effettuati in quei giorni con l’autorizzazione ad utilizzare il mezzo proprio.
2.2 II secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico.
La disposizione in questione, nell’interpretazione fornita da codesta Corte, enuncia, quali indici idonei per la contemplata causa di proscioglimento, vale a dire, la “particolare tenuità” del fatto, la circostanza che la condotta si sia risolta non già in un episodio non particolarmente grave, ma, appunto, tenue, tale da arrecare in misura minima, quasi insignificante, la lesione del bene giuridico protetto dalla norma violata. Ciò ricorre quando sussista l’esiguità del danno o del pericolo, l’occasionalità della condotta antigiuridica ed il modesto grado di colpevolezza: indici, questi, che devono essere congiuntamente considerati in riferimento al fatto concreto nelle sue caratteristiche oggettive e soggettive e non all’astratta fattispecie (Sez. 5, n. 29831 del 13/03/2015, La Greca, Rv. 265143; Sez. 5, n. 34227 del 07/05/2009, Scalzo, Sv. 244910).
Invero, la causa di non punibilità di cui all’art.131 bis cod. pen., è stata negata dai giudici di merito, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità e, dunque, immune da censure in sede di legittimità, sulla base della intrinseca gravità del fatto-reato, desunta dalla presenza di elementi sintomatici di cospicuo disvalore, con riferimento alla deliberazione e reiterazione della condotta, indice di un dolo intenso, alla violazione del rapporto fiduciario nell’ambito del contesto lavorativo, che deve essere connotato da correttezza nei rapporti reciproci, nonché del comportamento successivo che ha aggravato l’offesa, in quanto il ricorrente ha contestato, in sede disciplinare, l’accaduto e non ha corrisposto alcuna somma, a titolo di risarcimento nemmeno parziale, né ha dimostrato il buon inserimento sociale e l’attualità di altro rapporto di lavoro a tempo determinato, che ne precludono un giudizio di minima offensività, nell’ambito di una valutazione discrezionale che si mantiene nei limiti di un apprezzamento di fatto, immune da vizi logici e giuridici.
In ordine alle circostanze di fatto che contestualizzano il reato, esse sono argomento, di ferrea logica ed intrinseca correttezza ermeneutica, in nulla scalfito dalle argomentazioni svolte nell’odierno motivo di ricorso, nel quale non vengono prospettate argomentazioni tali da disarticolarlo, né sotto il profilo della sua eventuale erroneità in punto di stretto diritto, né sotto quello della sua possibile
illogicità o della insufficienza della sua espressione motivazionale. Ed invero non risulta una allegazione di fatti specifici da parte dell’imputato che possano essere letti in segno contrario. In tema di particolare tenuità del fatto, il disposto di cu all’art. 131-bis cod. pen. individua un limite negativo alla punibilità del fatto medesimo la prova della cui ricorrenza è demandata all’imputato, tenuto ad allegare la sussistenza dei relativi presupposti mediante l’indicazione di elementi specifici. (Sez. 3, n. 13657 del 16/02/2024 Rv. 286101 – 02).
Il motivo è, dunque, aspecifico e generico, poiché omette il confronto critico con una motivazione rigorosa, limitandosi all’asserzione, del tutto controvertibile, di una asserita assenza di scaltrezza per avere fatto un rifornimento ogni volta in quantità consistente, così dando nell’occhio e, perciò, denotando un dolo non particolarmente intenso.
2.3 II terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
“In tema di risarcimento del danno, la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non può che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l’obbligo motivazionale mediante l’indicazione dei fatti materiali presi in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza necessità di indicare analiticamente i calcoli dell’ammontare del risarcimento” (Sez. 6, n. 48086 del 12/09/2018, Rv. 27422; Sez. 1 n. 44477 del 25/10/2024, Rv. 287154 – 01).
Nella specie, la liquidazione, in via equitativa, del danno risulta ampiamente motivata, con la enunciazione dei dati materiali presi in considerazione, che hanno causato una diseconomia e un danno da organizzazione e da immagine dell’azienda per cui l’imputato lavorava, anche con gli altri dipendenti, nonché con riferimento alla vulnerabilità della società ai furti, commessi da un proprio dipendente, e per le risorse impiegate per controllare le carte carburanti e appurare le ragioni dei maggiori esborsi, e per la lesione del rapporto di fiducia.
Non era necessario che nel provvedimento impugnato venissero specificati e dettagliati i calcoli dell’ammontare.
2.4 n quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo non è consentito in sede di legittimità, in quanto affidato a deduzioni prive di confronto con il tenore della motivazione rassegnata a sostegno della statuizione censurata.
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La Corte di merito ha specificato le ragioni che impedivano il riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui si discute, argomentando sulla assenza di
documentazione circa la asserita attività lavorativa a tempo indeterminato del ricorrente.
Invero, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella
discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende
che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero
arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014,
Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre.
Quanto alla esiguità degli importi, la Corte territoriale ha richiamato, per relationem, condividendolo, il percorso logico-argomentativo della pronuncia del
Tribunale che, nel computo sia della pena base nel minimo edittale che degli esigui aumenti a titolo di continuazione, ha tenuto conto della esiguità degli importi.
Nella specie, l’onere di un logico apparato argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 25/03/2025.