Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27004 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27004 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Grosseto il 17/03/1968; avverso l’ordinanza del 18/02/2025 del G.I.P. del Tribunale di Latina; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATI -0
Con ordinanza in data 18 febbraio 2025, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il decreto del medesimo giudice per le indagini preliminari del 29 luglio 2024, con il quale veniva rigettata l’istanza volta ad ottenere la facoltà d’uso dell’immobile sito in Aprilia, INDIRIZZO, scala A, int. 6, con annesso garage, sotto sequestro preventivo finalizzato alla confisca in relazione al reato di cui agli artt. 10-bis e 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., nullità dell’ordinanza ex art. 125, comma 3, cod. proc. pen. per motivazione apparente.
La difesa lamenta che le argomentazioni addotte dal giudice per le indagini preliminari a fondamento della propria decisione siano del tutto apparenti, poiché incentrate sul richiamo ai principi enunciati in tema di sequestro impeditivo, senza tener conto delle differenti finalità perseguite dal sequestro preventivo per equivalente a fini di confisca, nonché del fatto che un uso lecito del bene sequestrato è del tutto compatibile e coerente con tali finalità.
In particolare, l’ordinanza impugnata presume un pericolo di deterioramento del bene, senza fornire ulteriori spiegazioni, quando invece un uso lecito, qual è quello a fini abitativi, non risulta contrastare con le esigenze cautelari ed è funzionale a mantenere l’integrità strutturale dell’immobile, il quale sarebbe in ogni caso suscettibile di confisca.
Quanto alle spese di mantenimento, contrariamente a quanto dedotto nella ordinanza impugnata, dette spese rimarrebbero in ogni caso a carico del ricorrente e proprio la presenza dell’amministratore giudiziario assicurerebbe che il bene venga gestito in modo trasparente ed adeguato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
L’impostazione seguita dal giudice per le indagini preliminari appare immune da censure, dovendosi richiamare la condivisa affermazione di questa Corte, secondo cui la facoltà d’uso residenziale privato di un manufatto sottoposto a sequestro preventivo è incompatibile con le finalità della misura cautelare; e questo sia nel caso di sequestro innpeditivo, la cui finalità è quella di inibire le conseguenze antigiuridiche, ulteriori rispetto alla consumazione dei reati, finalità che si pongono in evidente contraddizione con la facoltà d’uso del bene in
sequestro (cfr. Sez. 3, n. 30482 del 28/05/2015, Rv. 264303; Sez. 3, n. 16689 del 26/02/2014, COGNOME, Rv. 259540; Sez. 3, n. 48924 del 21/10/2009, COGNOME, Rv. 245766), sia nel caso di sequestro finalizzato alla successiva confisca, configurandosi anche in tal caso la necessità di non vanificare l’esigenza di sottrarre fisicamente la disponibilità del bene al destinatario della misura, poiché consentirne l’utilizzazione renderebbe il sequestro efficace nella forma e non anche nella sostanza, senza contare il rischio di un possibile deterioramento del bene (Sez. 3, n. 2296 del 06/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278020; nello stesso senso, Sez. 3, n. 2525 del 19/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282800, non massimata sul punto).
In sintonia con tali principi affermati anche per il sequestro funzionale alla successiva confisca, il giudice per le indagini preliminari, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, ha affermato che, pur trattandosi di sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria, la ratio della misura cautelare impone l’apprensione del bene perché altrimenti la confisca rischierebbe di divenire impraticabile, essendo l’obiettivo quello di preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo, mentre l’uso dell’immobile – la cui gestione, unitamente a quella della società e degli altri beni in sequestro, è affidata all’amministrazione giudiziaria, che deve non solo provvedere alla custodia ed al mantenimento, ma deve anche gestirne i frutti – potrebbe comportare il deterioramento dello stesso.
Emerge, in definitiva, uno sviluppo argomentativo del provvedimento impugnato tale da far ritenere come il giudice per le indagini preliminari, in funzione di giudice dell’esecuzione, non sia venuto meno all’obbligo di esaustiva verifica della compatibilità della invocata facoltà d’uso con le finalità del sequestro preventivo.
La ricostruzione dell’ordinanza impugnata è, dunque, il frutto di una esauriente e razionale rassegna degli elementi prospettati, dei quali la difesa propone sostanzialmente una diversa lettura, che non può trovare ingresso in questa sede.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616
cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 03/07/2025.