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Uso illecito contrassegno: quando scatta il reato?

Un imputato è stato condannato per il reato di uso illecito di un contrassegno distintivo. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che per configurare il reato è sufficiente che il contrassegno simuli la funzione di quello in uso alle forze dell’ordine, anche se non ne è una replica fedele. La Corte ha inoltre confermato che le attenuanti generiche non possono prevalere sulla recidiva in base all’art. 69 c.p.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Uso Illecito Contrassegno: Anche una Brutta Copia Può Costare Caro

L’uso illecito di un contrassegno delle forze dell’ordine è un reato che non richiede la perfetta imitazione dell’originale. È sufficiente che il distintivo sia in grado di simulare la funzione di quello autentico per trarre in inganno. Questo è il principio chiave ribadito dalla Corte di Cassazione in una recente ordinanza, che ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per questo specifico delitto.

I Fatti del Processo

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un uomo, prima da parte del Tribunale di Pavia e poi confermata dalla Corte d’Appello di Milano, per il reato previsto dall’articolo 497-ter del codice penale. L’imputato aveva illecitamente utilizzato un contrassegno che, secondo l’accusa, era idoneo a simulare quelli in uso alle forze di polizia. Non accettando la condanna, l’uomo ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali.

I Motivi del Ricorso e l’Illecito Uso del Contrassegno

L’imputato ha contestato la decisione dei giudici di merito sotto due profili.

In primo luogo, ha sostenuto la mancanza dell’elemento oggettivo del reato. A suo dire, il contrassegno utilizzato non era una riproduzione fedele di quello in uso alla Polizia di Stato, e quindi non sarebbe stato idoneo a configurare il delitto contestato. In sostanza, una ‘brutta copia’ non sarebbe penalmente rilevante.

In secondo luogo, ha lamentato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulla recidiva contestatagli, un fattore che avrebbe potuto comportare una pena più mite.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto entrambe le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. Le motivazioni fornite chiariscono in modo netto i confini applicativi della norma incriminatrice e i limiti alla discrezionalità del giudice in presenza di recidiva.

La Simulazione della Funzione è Sufficiente

Per quanto riguarda il primo motivo, la Cassazione lo ha ritenuto una semplice riproposizione di argomenti già esaminati e respinti in appello, rendendolo quindi un motivo non specifico e, di conseguenza, inammissibile. Nel merito, i giudici hanno ribadito la correttezza del ragionamento della Corte territoriale: ciò che conta non è la perfetta identità tra il contrassegno falso e quello vero, ma la sua capacità di simulare la funzione di quello in uso alle forze dell’ordine. La norma, infatti, mira a punire chiunque utilizzi un segno distintivo per ingannare gli altri sulla propria qualifica, a prescindere dalla qualità del falso.

Circostanze Attenuanti e Recidiva: Un Limite Insormontabile

Anche il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha richiamato il disposto dell’articolo 69, comma 4, del codice penale. Tale norma vieta espressamente al giudice di considerare le circostanze attenuanti generiche come prevalenti sulla recidiva reiterata, come quella contestata nel caso di specie. Si tratta di un limite normativo chiaro che non lascia spazio a interpretazioni discrezionali.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione di inammissibilità su due pilastri. Il primo motivo di ricorso è stato considerato una ‘pedissequa reiterazione’ delle argomentazioni già presentate e disattese in appello, prive quindi della specificità necessaria per un esame nel merito. Sul punto centrale, la Corte ha chiarito che il reato di uso illecito contrassegno (art. 497-ter c.p.) si perfeziona con l’utilizzo di un distintivo che simula la funzione di quello autentico, essendo irrilevante che non ne sia una copia fedele. Per il secondo motivo, la Corte ha applicato rigorosamente il divieto previsto dall’art. 69, comma 4, c.p., che impedisce alle circostanze attenuanti generiche di prevalere sulla recidiva contestata, rendendo la richiesta dell’imputato palesemente infondata in diritto.

le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un’interpretazione rigorosa della normativa in materia di uso illecito di segni distintivi. La decisione sottolinea che l’intento fraudolento e la capacità del contrassegno di ingenerare confusione sulla qualifica di chi lo usa sono gli elementi centrali del reato, più che la perfezione della sua fattura. Inoltre, viene riaffermato un importante principio relativo al bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti, ricordando come la legge ponga limiti precisi alla discrezionalità del giudice in presenza di determinate forme di recidiva. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Per commettere il reato di uso illecito di un contrassegno, è necessario che questo sia una copia identica all’originale?
No, secondo la Corte di Cassazione non è necessaria una riproduzione fedele. È sufficiente che il contrassegno venga utilizzato per simulare la funzione di quello in uso alle forze dell’ordine, anche se non è una copia perfetta.

È possibile ottenere le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva contestata in un caso simile?
No, la Corte ha stabilito che ciò è manifestamente infondato. Il disposto dell’art. 69, comma 4, del codice penale inibisce la possibilità che le circostanze attenuanti generiche prevalgano sulla recidiva contestata nel caso specifico.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché il primo motivo era una ‘pedissequa reiterazione’ di argomenti già dedotti in appello e quindi non specifico, mentre il secondo motivo era ‘manifestamente infondato’ in quanto si scontrava con un chiaro divieto di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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