Uso di gruppo stupefacenti: la Cassazione fissa i paletti per non incorrere nel reato di spaccio
La distinzione tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e per spaccio rappresenta uno dei temi più delicati del diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare chiarezza sui criteri per definire l’uso di gruppo stupefacenti, una situazione che, se provata, può escludere la responsabilità penale per il reato di spaccio. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la sua condanna e ribadendo la necessità di prove concrete per sostenere la tesi dell’acquisto destinato a un consumo collettivo.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dalla condanna di un uomo, inflitta in primo grado dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello, per due distinti episodi di spaccio di lieve entità, previsti dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti. Durante un controllo, l’imputato era stato trovato in possesso di otto dosi di sostanza stupefacente già confezionate singolarmente e di una considerevole somma di denaro contante, per la quale non era riuscito a fornire una giustificazione plausibile.
La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la droga fosse destinata a un uso di gruppo stupefacenti e non alla vendita, chiedendo quindi la riqualificazione del fatto come illecito amministrativo (art. 75 T.U. Stupefacenti) e non come reato. Secondo la tesi difensiva, l’acquisto era stato fatto per conto di più persone che avrebbero consumato la sostanza insieme.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che i motivi presentati dall’imputato non fossero altro che una “pedissequa reiterazione” di argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. Un ricorso formulato in questi termini, che non muove critiche specifiche e argomentate alla sentenza di secondo grado, risulta privo di specificità e, quindi, non può essere accolto.
Di conseguenza, la condanna a due mesi e venti giorni di reclusione e 465,00 euro di multa è diventata definitiva. L’imputato è stato inoltre condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: i requisiti dell’uso di gruppo stupefacenti
Nel motivare la propria decisione, la Corte ha innanzitutto ribadito che la valutazione dei giudici di merito era stata logica e coerente. Le prove a carico dell’imputato erano solide: non solo le dichiarazioni degli acquirenti, ma anche le circostanze oggettive del ritrovamento (le otto dosi e il denaro) deponevano chiaramente per un’attività di spaccio.
Il punto centrale dell’ordinanza riguarda però la confutazione della tesi dell’uso di gruppo stupefacenti. La Cassazione ha ricordato il suo orientamento consolidato, secondo cui l’uso di gruppo può essere riconosciuto solo in presenza di tre precise e inderogabili condizioni, che devono essere provate in giudizio:
1. L’acquirente è uno degli assuntori: La persona che materialmente compra la droga deve far parte del gruppo che la consumerà.
2. Acquisto per conto terzi sin dall’inizio: L’acquisto deve essere effettuato fin dal principio per conto degli altri membri del gruppo, non si tratta quindi di una cessione successiva di una sostanza acquistata per sé.
3. Certezza sui mandanti e contributo economico: Deve esserci certezza, fin dal momento dell’acquisto, sull’identità degli altri membri del gruppo, sulla loro manifesta volontà di procurarsi la droga tramite l’intermediario e sul loro contributo finanziario all’acquisto.
Nel caso specifico, la difesa non ha fornito alcuna prova a sostegno di queste circostanze. La semplice affermazione che la droga fosse destinata a un consumo collettivo non è sufficiente. Mancavano totalmente gli elementi per dimostrare l’esistenza di un mandato all’acquisto da parte di un gruppo predefinito e un contributo economico comune.
Le Conclusioni: implicazioni pratiche
Questa pronuncia della Corte di Cassazione rafforza un principio fondamentale: per evitare una condanna per spaccio, non basta affermare che la droga sia destinata all’uso di gruppo stupefacenti. È necessario fornire prove concrete che dimostrino la sussistenza di tutti i requisiti elaborati dalla giurisprudenza. In assenza di tali prove, elementi oggettivi come il frazionamento in dosi e il possesso di denaro non giustificato saranno considerati indicatori inequivocabili di un’attività di cessione a terzi, integrando così il reato di spaccio, seppur di lieve entità.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile per genericità?
Quando si limita a ripetere gli stessi motivi già presentati e respinti in appello, senza muovere una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata, risultando così una mera ‘pedissequa reiterazione’.
Quali sono i requisiti per configurare l’uso di gruppo di stupefacenti e non lo spaccio?
Secondo la Cassazione, devono sussistere tre condizioni cumulative: 1) l’acquirente deve essere anche uno degli assuntori; 2) l’acquisto deve avvenire fin dall’inizio per conto degli altri membri del gruppo; 3) l’identità dei mandanti, la loro volontà di acquistare e il loro contributo finanziario devono essere certi sin dall’inizio.
Il possesso di più dosi di droga e denaro contante può essere considerato uso personale o di gruppo?
No, secondo la sentenza, il possesso di otto dosi singolarmente confezionate e di una considerevole somma di denaro contante, senza una valida giustificazione, costituisce un elemento oggettivo che depone a favore dell’ipotesi di spaccio e contrasta con la tesi dell’uso personale o di gruppo, a meno che non vengano fornite prove concrete che dimostrino il contrario.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36815 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36815 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/09/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale di Perugia dell’8 luglio 2021 con cui NOME era stato condannato alla pena di mesi due, giorni venti di reclusione ed euro 465,00 di multa in relazione a due distinti reati di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
L’imputato ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità.
3. Il ricorso è inammissibile.
In ordine all’unico motivo di ricorso, va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708).
Ciò posto, la Corte di merito ha fornito una motivazione lineare e coerente in ordine agli elementi probatori a carico dell’imputato, evidenziando, oltre alle dichiarazioni degli acquirenti, l’esistenza di circostanze oggettive, già poste in luce dal giudice di prime cure, che permettono di attribuire la responsabilità all’imputato per i fatti di cui trattasi (tra cui il possesso da parte dell’imputato all’interno dell’auto di otto dosi singolarmente confezionate di sostanza stupefacente e di un considerevole importo di denaro contante, senza che egli riuscisse a giustificare diversamente tale circostanza). Il ricorrente si limita a reiterare la medesima doglianza relativa alla mancata riqualificazione del fatto nell’ipotesi penalmente irrilevante di cui all’art. 75 del D.P.R 309/90, sostenendo che la sostanza rinvenuta fosse destinata ad un uso di gruppo, nonostante tale tesi fosse già stata respinta con corretti argomenti giuridici dai giudici di merito, non essendo suffragata da alcuna risultanza processuale. Come rilevato nella sentenza impugnata, mancano del tutto gli elementi del rivendicato uso di gruppo che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, viene integrato alle seguenti condizioni: a) l’acquirente sia uno degli assuntori; b) l’acquisto avvenga sin dall’inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin dall’inizio l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo
anche finanziariamente all’acquisto (Sez. U, Sentenza n. 25401 del 31/01/2013 , in proc Galluccio, Rv. 255258 – 01).
Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – n sussistendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in fav della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 23 settembre 2024.