Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15991 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15991 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 408/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 3724/2025
NOME SESSA
Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in BULGARIA il 01/09/1989
avverso la sentenza del 21/03/2024 della Corte d’appello di Bari Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21.3.2024, la Corte di Appello di Bari, all’esito di trattazione scritta, in riforma della pronuncia emessa in primo grado nei confronti di NOME COGNOME che l’aveva dichiarato colpevole del reato di cui agli artt. 477-482 cod. pen., ha qualificato il fatto limitatamente al certificato di attestazione del controllo del tecnico nel reato di cui all’art. 489 cod. pen., confermando nel resto la decisione del primo giudice.
Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Col primo motivo lamenta vizio di motivazione, avendo la Corte territoriale riqualificato il fatto nel reato di cui all’art. 489 cod.pen. senza valutare la sussistenza del dolo. In particolare, non ha indicato su quale base si debba ritenere che il ricorrente fosse a conoscenza della circostanza che l’atto/documento, ricevuto al momento dell’acquisto dell’auto, fosse appunto un atto falso; circostanza da escludere anche alla luce del fatto che il ricorrente era in buona fede, tant’è che subito lo consegnò ai carabinieri in sede di controllo.
2.2. Col secondo motivo lamenta violazione dell’art. 131-bis cod.pen., non essendo state correttamente considerate le modalità della condotta e l’esiguità del danno e del pericolo cagionato.
2.3. Col terzo motivo lamenta violazione di legge in ordine alla omessa concessione della sospensione condizionale della pena, atteso che il cumulo di pena tra la precedente condanna indicata nel certificato del casellario giudiziale e quella statuita in sentenza avrebbero potuto comportare il riconoscimento del beneficio.
Il ricorso, proposto anteriormente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi della disciplina vigente prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni – senza l’intervento delle parti, che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è inammissibile. Esso deduce vizio di motivazione senza confrontarsi adeguatamente con la sentenza impugnata, che, sebbene sinteticamente, nel riqualificare il fatto nella fattispecie di uso di atto falso, ha indicato le ragioni per le quali dovesse ritenersi la sussistenza sia dell’elemento oggettivo del reato – essendo risultato pacificamente falso il certificato in argomento – che di quello soggettivo, essendo richiesto ai fini dell’integrazione del reato il dolo generico. Hanno in buona sostanza ritenuto i giudici di merito che non possono nutrire dubbi sulla consapevolezza del ricorrente in ordine alla falsità dell’atto alla stregua delle circostanze concrete che denotano il compimento, da parte
dell’imputato, di una condotta tesa ad accreditare il possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi afferenti la circolazione stradale, avendo egli proceduto ad esibire, oltre un falso certificato di attestazione di controllo tecnico del veicolo da lui condotto, anche una patente di guida falsa (rispetto alla quale non risultano contestazioni né sotto il profilo oggettivo che soggettivo).
A fronte di tali emergenze, il ricorso, pur adducendone l’inutilizzabilità, contrappone, a sostegno della buona fede dell’imputato, la versione offerta dallo stesso in sede di dichiarazioni rese nella fase delle indagini – poste a base anche dell’appello in cui si dà atto della loro acquisizione al fascicolo del dibattimento evidenziando, sulla base di esse, come il COGNOME avesse spiegato di avere ricevuto il certificato tecnico dal venditore dell’autovettura all’atto dell’acquisto, intervenuto proprio qualche giorno prima del fermo dei carabinieri per la somma di euro 1.200 euro.
La genericità di una tale affermazione, non supportata da elementi concreti né da allegazioni (la sentenza di primo grado evidenzia la mancanza di una versione alternativa, anche solo come mera allegazione, idonea ad insinuare quanto meno il dubbio sulla veridicità dei fatti accertati), ha evidentemente indotto i giudici di merito – quelli di primo grado, prima, e quelli di appello, poi – a ritenere granitico il quadro accusatorio sia con riferimento all’accertamento delle falsità riscontrate, sia in relazione alla consapevolezza delle stesse da parte dell’imputato.
Il motivo pecca in definitiva di genericità intrinseca ed estrinseca.
1.2. Analoghe considerazioni debbono essere svolte con riferimento al secondo motivo, avendo la Corte territoriale già indicato le ragioni per le quali ha ritenuto che non vi sia spazio per l’applicazione dell’art. 131-bis. cod.pen., alla luce della obbiettiva gravità dei reati commessi, in specie l’utilizzo di patente di guida falsa da parte di soggetto che non ha mai conseguito l’abilitazione alla guida, unitamente all’uso di un attestato di idoneità del veicolo adoperato per la circolazione, condotte potenzialmente fonte di pericolo per la pubblica incolumità, pericolo acuito proprio dall’uso combinato dei due documenti falsi.
Sicché il motivo – che in appello si incentrava sulla possibilità di ravvisare la fattispecie della particolare tenuità del fatto anche in caso di continuazione dei reati sulla base di quanto affermato da Sez. U, Sentenza n. 18891 del 27/01/2022, COGNOME, Rv. 283064 – 01, che ha spiegato che la continuazione non necessariamente depone per la abitualità nel reato – finisce con l’argomentare aspetti che, sebbene in precedenza non evidenziati, hanno comunque già ricevuto risposta esauriente nella sentenza impugnata, la quale, nel sottolineare la elevata gravità del fatto nel suo complesso considerato, ha supportato con adeguata e congrua motivazione il rigetto
della richiesta di applicazione della condizione di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
La motivazione addotta nella sentenza impugnata è in definitiva in perfetta assonanza proprio con la pronuncia delle Sezioni Unite Ubaldi sopra citata, che ha affermato che la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, la quale può essere riconosciuta dal giudice all’esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che – salve le condizioni ostative tassativamente previste dall’art. 131-bis cod. pen. per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale – tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall’entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall’intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti. Laddove, peraltro, nel caso di specie, il ricorso si è limitato ad evidenziare genericamente un non meglio specificato comportamento collaborativo che l’imputato avrebbe assunto e ad asserire che il danno ed il pericolo paventato fossero da ritenere tutto sommato tenui se non inesistenti non essendo state riscontate condotte azzardate alla guida).
1.3. Anche le argomentazioni spese per negare la sospensione condizionale della pena sono congrue e persuasive. Nella sentenza impugnata si è, invero, messo in luce come dopo il reato oggetto del procedimento il ricorrente abbia continuato a delinquere, manifestando una proclività a commettere reati (segnalando peraltro il certificato penale anche altro precedente a suo carico). Quindi -di là del superamento o meno del limite di cui all’art. 164, ultimo comma, cod. pen. – i giudici di merito hanno ritenuto che non possa formularsi alcuna prognosi positiva in ordine alla futura astensione dalla commissione di reati, elemento imprescindibile per la concessione dell’invocato beneficio. Ed il giudice di primo grado aveva, invero, altresì, evidenziato che – di contro – non fossero emersi elementi positivi di valutazione in tal senso, mentre il ricorso si limita ad evidenziare apoditticamente che il ricorrente avrebbe oramai assunto nuovo stile di vita, dedicandosi al lavoro e alla famiglia.
Si rammenta che il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena presuppone la formulazione di una prognosi favorevole in ordine al futuro comportamento dell’imputato in relazione ai fatti di reato per i quali ha riportato condanna, prognosi che, nel caso di specie, è stata svolta, come sopra esposto, in
termini negativi in considerazione della pluralità delle condotte poste in essere anche nel tempo dal ricorrente.
Per altro verso, costituisce principio consolidato anche quello secondo cui: ‘in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti’ (Sez. 7 Num. 43167 Anno 2021).
Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 27/3/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME