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Uso di atto falso: Cassazione su inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso per il reato di uso di atto falso. L’ordinanza sottolinea che la Corte non può riesaminare i fatti e che le censure sulla manifesta illogicità della motivazione erano infondate, dato che il documento falso era idoneo a ingannare. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Uso di atto falso: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

L’uso di atto falso è un reato che mina la fiducia pubblica nei documenti. Ma cosa succede quando una condanna per tale reato viene impugnata fino in Cassazione? Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ribadisce i confini invalicabili del proprio giudizio, chiarendo perché un ricorso basato su una diversa valutazione dei fatti sia destinato all’inammissibilità. Questo caso offre spunti cruciali sui limiti del sindacato di legittimità e sulla valutazione della capacità ingannatoria di un documento.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva condannato in sede di rinvio per il reato di uso di atto falso, ai sensi dell’art. 489 del codice penale. L’imputazione verteva sull’aver utilizzato un documento falso, specificamente un provvedimento giurisdizionale inesistente, pur non avendo concorso alla sua materiale creazione. Contro la sentenza di condanna della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando sia la violazione di legge sia un vizio di motivazione manifestamente illogico.

I Motivi del Ricorso

La difesa del ricorrente si basava su due argomenti principali:

1. Errata qualificazione della condotta: Si sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente ricostruito i fatti, attribuendo al ricorrente una sorta di concorso nella formazione del documento falso, mentre la contestazione era limitata al solo uso.
2. Inidoneità dell’atto a ingannare: Veniva eccepito che il documento fosse talmente grossolano da non poter trarre in inganno nessuno, rendendo quindi impossibile la configurazione del reato (il cosiddetto ‘falso grossolano’).

In sostanza, il ricorso tentava di indurre la Corte di Cassazione a una nuova e diversa valutazione degli elementi di prova già esaminati dai giudici di merito.

Le Motivazioni della Cassazione: i limiti al sindacato sull’uso di atto falso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la propria decisione su principi consolidati della giurisprudenza di legittimità. In primo luogo, i giudici hanno ribadito con forza che il giudizio di cassazione non costituisce un ‘terzo grado’ di merito. Alla Suprema Corte è preclusa la possibilità di rileggere gli elementi di fatto e di adottare nuovi parametri di valutazione. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata, non sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti.

Citando precedenti specifici, la Corte ha specificato che le censure che attaccano la ‘persuasività’, ‘l’inadeguatezza’ o la ‘mancanza di rigore’ della motivazione non sono ammissibili, a meno che non si traduca in una manifesta illogicità o contraddittorietà. Nel caso specifico, le critiche del ricorrente non denunciavano un vizio logico palese, ma sollecitavano una diversa interpretazione delle prove, attività non consentita in sede di legittimità.

Per quanto riguarda la capacità ingannatoria del documento, la Corte ha osservato come la sentenza d’appello avesse chiarito, in termini ‘ineccepibili’, che l’imputato aveva ‘utilizzato’ un atto falso che ‘presentava tutti i crismi dell’atto originale’. Di conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il documento era pienamente in grado di ingannare i destinatari, facendo cadere anche la doglianza relativa al falso grossolano.

Le Conclusioni

L’ordinanza si conclude con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questa decisione comporta due conseguenze dirette per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali e il versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Tale sanzione viene comminata in assenza di elementi che possano escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. La decisione riafferma un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso per Cassazione è uno strumento per controllare la legittimità della decisione, non per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, che rimane di competenza esclusiva dei giudici di merito.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate miravano a una rilettura dei fatti del caso e a una diversa valutazione delle prove, attività preclusa al giudice di legittimità. Inoltre, i vizi di motivazione denunciati non erano manifestamente illogici, ma criticavano la persuasività della sentenza impugnata.

Qual era l’oggetto principale del reato contestato?
Il reato contestato era l’uso di un atto falso, come previsto dall’art. 489 del codice penale. Nello specifico, si trattava di un inesistente provvedimento giurisdizionale che, secondo i giudici di merito, presentava tutte le caratteristiche per sembrare autentico.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della proposizione di un ricorso inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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