Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 424 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 424 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in SVIZZERA il 21/07/1966
avverso l’ordinanza del 26/04/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
dato avviso al difensore
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta avanzata nell’interesse di NOME COGNOME volta a ottenere il riconoscimento della continuazione in sede esecutiva tra i reati degli artt. 73, 80 e 74 del d.p.r. n. 309 del 1990 oggetto delle sentenze emesse nei procedimenti penali “Traffic” (Corte d’appello di Reggio Calabria in data 18 dicembre 2006, irrevocabile il 20 marzo 2007), “Nasca e Timpano” (Corte d’appello di Reggio Calabria in data 5 febbraio 2008, irrevocabile il 21 maggio 2008) e “Panama” (Corte d’appello di Reggio Calabria in data 6 giugno 2014, irrevocabile il 6 luglio 20:16).
Ricorre NOME COGNOME a mezzo del difensore avv. NOME COGNOME che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, denunciando il vizio di motivazione, in relazione agli artt. 125 e 671 cod. proc. pen., e 81 cod. pen.
Secondo la difesa, la motivazione della pronuncia, che ha ritenuto non ricorrere l’unicità del disegno criminoso, sarebbe illogica là dove ha considerato troppo ampio l’arco temporale (dal 2000 al 2006), nonostante Fosse intercorso un periodo di latitanza durante il quale COGNOME aveva continuato a mantenere rapporti con i sodalizi criminali, proseguendo nel proprio proposito criminoso, funzionale alla commissione di una serie indeterminata di delitti nel settore degli stupefacenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Come correttamente sottolinea il Procuratore generale, il ricorso è nel complesso infondato.
Il giudice dell’esecuzione ha premesso che un’istanza cli analogo petitum, concernente proprio le sopra indicate sentenze, era già stata rigettata con ordinanza in data 25 novembre 2019, sul rilievo: della diversa composizione soggettiva delle organizzazioni dedite al narcotraffico; del diverso modus operandi di tali organizzazioni; del non trascurabile lasso temporale tra le condotte; del fatto che i reati risultavano sganciati da qualsivoglia contesto associativo mafioso (cosca COGNOME–COGNOME).
2.1. Tanto premesso, il giudice dell’esecuzione rilevava che la difesa aveva presentato la nuova istanza, allegando elementi in forza dei quali, a suo giudizio, doveva ritenersi superata la preclusione processuale.
In particolare, il giudice dell’esecuzione giludicava la nuova istanza come non consentita nella parte che conteneva una critica alla ratio decidendi del precedente provvedimento; ciò non di meno la riteneva ammissibile, ancorché manifestamente infondata, nella parte che allegava il novum costituito, secondo la prospettazione difensiva: dal riconoscimento della continuazione disposto a favore di alcuni co-imputati (NOME COGNOME; NOME COGNOME); dalla dedotta contiguità all’associazione di ‘ndrangheta che aveva caratterizzato la posizione di altri co-imputati (Italiano; COGNOME); dal provvedimento di prevenzione assunto a carico di COGNOME nel quale si evidenziava che le condotte espressive della pericolosità sociale erano state poste in essere in un “breve” lasso di tempo.
In tema di continuazione, l’unicità del disegno criminoso, costituente il presupposto indispensabile per la sua configurabilità, non può identificarsi con la generale inclinazione del soggetto a commettere reati sotto la spinta di fatti o circostanze occasionali, più o meno collegate tra loro, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente e neanche con la tendenza a porre in essere reati della stessa indole, dovendo le singole violazioni costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato sin dall’inizio nelle sue linee essenziali, per conseguire un determinato fine, a cui, di volta in volta si aggiungerà l’elemento volitivo necessario per la sua attuazione.
Anche perché, seguendo la tesi opposta di fatto propugnata dal ricorso – si attuerebbe uno sconto premiale a colui che delinque un numero maggiore di volte.
Va anche ricordato che non rileva, ai fini della sussistenza dell’unicità del disegno criminoso (elemento che avvince i vari reati e giustifica la riduzione di pena prevista dalla legge), un generico programma delinquenziale, essendo necessaria, invece, la progettazione ab origine di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali, e che tale progett criminale non può, inoltre, essere desunto sulla base della sola identità o analogia dei titoli di reato commessi.
Il progetto deve essere positivamente e rigorosamente provato, non giovando a tal fine la mera indicazione della identità di natura delle norme violate, la lor prossimità temporale, la medesimezza del movente delle varie azioni criminose, circostanze che non dimostrano la preventiva ideazione dei singoli reati nei loro elementi essenziali (sulla “preventiva deliberazione a delinquere”, si veda Sez. 1,
n. 9876 dell’1/02/2007, COGNOME, Rv. 236547; sulla “verifica che i reati siano frutto della medesima, preventiva risoluzione criminosa”: Sez. 1, n. 20144 del 27/04/2011, COGNOME, Rv. 250297).
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che, in tema di continuazione, qualora sia riconosciuta l’appartenenza di un soggetto a diversi sodalizi criminosi, è possibile ravvisare il vincolo della continuazione tra i reat associativi solo a seguito di una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, avuto riguardo ai profili della contiguità temporale, dei programmi operativi perseguiti e del tipo di compagine che concorre alla loro formazione, non essendo a tal fine sufficiente la valutazione della natura permanente del reato associativo e dell’omogeneità del titolo di reato e delle condotte criminose (Sez. 6, n. 6851 del 9/2/2016, COGNOME, Rv. 266106).
Già in precedenza, era stato rilevato non essere configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attivit del sodalizio criminoso ed essendo finalizzali al suo rafforzamento, non erano programmabili ab origine perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione (così Sez. 6, n. 13085 del 3/10/2013 – dep. 2014, COGNOME e altri, Rv. 259481, in un caso di rapporti tra associazione per delinquere di tipo mafioso e tentato omicidio aggravato ex art. 7 del D.L. n. 152 del 1991; Sez. 1, n. 13609 del 22/03/2011, COGNOME, Rv. 249930; Sez. 5, n. 23370 del 14/05/2008, COGNOME, Rv. 240489).
In altri termini, è configurabile la continuazione tra reato associativo e reati fine esclusivamente qualora questi ultimi siano stati programmati nelle loro linee essenziali sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso (così Sez. 1, n. 8451 del 21/1/2009, COGNOME, Rv. 243199, relativamente ad una fattispecie in cui è stata esclusa la continuazione tra il reato di associazione di tipo mafioso e quello di traffico di stupefacenti).
3.1. L’indagine affidata al giudice risulta, quindi, avere carattere essenzialmente psicologico, atteso il non decisivo ruolo che, per espressa volontà del legislatore, assumono il dato cronologico (“anche in tempi diversi”) e la tipologia delle violazioni commesse (“violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”).
L’attuale configurazione dell’istituto esige dunque che lo scopo sia sufficientemente specifico, che la rappresentazione dell’agente ricomprenda tutta la serie di illeciti e che il programma criminoso sia concepito nelle sue linee essenziali e che i reati commessi dunque non si discostino da tali linee essenziali.
Naturalmente, tra gli indici rivelatori della identità del disegno criminoso non possono non essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo; in ogni caso, la sua esistenza deve essere accertata o esclusa caso per caso, in relazione alle modalità concrete di commissione dei reali dei quali si chiede l’unificazione, desumibili dalle sentenze.
Nel caso in esame, i giudici del merito, cui competeva tale valutazione, hanno dato conto di avere valutato che le violazioni commesse da ALBANESE, giudicate nei tre processi, pur offendendo il medesimo bene giuridico, si collocano in un ampio arco temporale e sono state commesse in un ambito geografico non circoscritto e con persone diverse.
Ebbene, secondo i giudici di merito, la tendenziale omogeneità delle condotte costituisce indice sintomatico non dell’attuazione di un progetto criminoso unitario, quanto, piuttosto, di scelte di vita ispirate alla sistematica consumazione di illeciti non potendo confondersi l’identità della spinta criminosa sottesa alle plurime violazioni di legge con l’unicità del disegno criminoso richiesto per la configurabilità del reato continuato.
4.1. In modo ineccepibile, il giudice dell’esecuzione ha argomentato la propria decisione.
Dalla lettura delle sentenze di merito si evince, secondo la non contrastata ricostruzione del giudice dell’esecuzione, che l fatti oggetto del processo “RAGIONE_SOCIALE” erano stati realizzati dall’agosto 2001 al dicembre 2001; quelli del processo “Nasca e Timpano” erano stati accertati negli anni 2001 e 2002, mentre le singole condotte ex art. 73 TU Stup. si collocavano nell’anno 2001; le condotte associative del processo “Panama” erano state accertate tra il 2005 e il 2006, mentre l’importazione di stupefacenti si collocava nel settembre 2006.
Dunque, le condotte si diluivano lungo un rilevante segmento temporale, tra il 2000 e il 2006, nel corso del quale RAGIONE_SOCIALE era stato raggiunto da un
provvedimento restrittivo, a causa del quale si era dato alla latil:anza, continuando a trafficare stupefacenti dai luoghi ove aveva trovato rifugio.
È, in proposito, inconsistente la censura difensiva secondo la quale proprio la latitanza avrebbe svolto la funzione di collante, sicché sarebbe irrilevante il luogo ove le condotte sono state poste in essere: la latitanza, volontariamente scelta dall’imputato, gli ha consentito di agire indisturbato per anni, mantenendosi con i traffici illeciti, di volta in volta organizzati con nuovi correi, nuove modalit rinnovata capacità criminale, soltanto per sfuggire alla giustizia e trovare sostentamento nel delitto (come attesta la misura di prevenzione).
4.2. Il ricorso non contesta le conclusioni cui è giunto il giudice dell’esecuzione sulla base dell’analisi delle sentenze di merito.
Le modalità delle condotte, come accertate dai giudici della cognizione, sono diverse, in quanto le strutture associative, pur mantenendo nel reggino il centro decisionale, operavano con strutture aventi diversa localizzazione, operando anche in paesi esteri (è il caso di Panama 2005).
È diversa la componente soggettiva dei sodalizi nell’ambito dei quali sono maturati i cd. reati fine.
Sono diversi anche i canali di approvvigionamento del narcotico e le linee internazionali di fornitura nonché il modus operandi.
Le condotte partecipative si sono atteggiate con modalità tra loro completamente diverse e, sovente, del tutto contingenti ed occasionali.
In nessuno dei tre processi è stata, infine, accertata l’agevolazione mafiosa, apoditticamente predicata dalla difesa.
In conclusione la Corte d’appello, benevolmente ritenendo innovativa l’istanza della difesa, che in realtà riproponeva argomenti già esaminati nel 2019, ha ritenuto che non vi è neppure un principio di prova della sussistenza di quegli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso che la giurisprudenza di legittimità ha individuato nella vicinanza cronologica tra i fatti, nella tipologia d reati, nel bene tutelato, nella omogeneità delle violazioni, nella causale, nonché nelle condizioni di tempo e di luogo nella identità dell’azione delinquenziale, (Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, COGNOME, Rv. 246838).
Il giudice dell’esecuzione ha correttamente interpretato il parametro normativo dell’art. 81, secondo comma, cod. pen. e, con motivazione né podittica
né manifestamente illogica, ha fatto esatta applicazione dei suddetti condivisi principi.
D’altronde, la valutazione circa la sussistenza dell’unicità del disegno criminoso costituisce questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito che è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretta da adeguata motivazione (Sez. 6, n. 49969 del 21/09/2012, COGNOME, Rv. 254006), come è avvenuto nel caso in esame.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23 novembre 2023.