Unico Disegno Criminoso: la Cassazione chiarisce i limiti
Il concetto di unico disegno criminoso è un pilastro del diritto penale che consente di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più reati in esecuzione di un medesimo programma. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione dei fatti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui criteri per escluderne l’esistenza, anche in presenza di reati gravi come l’estorsione con metodo mafioso.
I Fatti del Ricorso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un soggetto condannato per una serie di reati accertati con tre sentenze distinte. I crimini, commessi a partire dal biennio 2007-2008, includevano estorsione con modalità mafiose, reati in materia di stupefacenti e possesso di armi. Il ricorrente chiedeva alla Corte di riconoscere la “continuazione” tra questi reati, sostenendo che fossero tutti parte di un unico disegno criminoso concepito originariamente.
La difesa lamentava che la Corte d’Appello avesse respinto tale richiesta con una motivazione carente, trascurando gli indici che, a suo dire, provavano l’esistenza di un progetto criminoso unitario.
La Decisione della Cassazione e l’Esclusione dell’Unico Disegno Criminoso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Secondo gli Ermellini, le censure del ricorrente erano infondate e si limitavano a riproporre questioni di fatto già correttamente valutate in appello.
La Corte ha smontato la tesi difensiva analizzando tre elementi chiave che, nel loro insieme, rendevano impossibile configurare un unico disegno criminoso risalente al 2007.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un’analisi puntuale della cronologia e della natura dei fatti.
1. Distanza Temporale e Interruzione della Condotta
Il primo ostacolo alla tesi del ricorrente è l’ampio arco temporale in cui i reati sono stati commessi. La condotta di partecipazione all’associazione mafiosa era iniziata solo nel 2017, circa dieci anni dopo i primi reati di estorsione, droga e armi. Questo notevole lasso di tempo rende inverosimile un piano criminoso unitario concepito sin dall’inizio.
Inoltre, un fattore determinante è stata la presenza di due lunghi periodi di detenzione subiti dal ricorrente: dal 2008 al 2014 e dal 2015 al 2017. Queste interruzioni forzate della libertà personale, secondo la Corte, spezzano la continuità logica e temporale necessaria per sostenere l’esistenza di un programma criminoso perdurante.
2. La Portata Limitata dell’Aggravante Mafiosa
Un punto cruciale della decisione riguarda l’interpretazione dell’aggravante del metodo mafioso, contestata per il solo delitto di estorsione. I giudici hanno specificato che tale aggravante era stata riconosciuta solo nel suo “profilo oggettivo”, ovvero per le modalità con cui il reato era stato commesso. Non era stato invece provato che il reato fosse finalizzato a raggiungere gli obiettivi della consorteria mafiosa, né che l’imputato fosse organicamente inserito in essa all’epoca dei fatti.
Questa distinzione è fondamentale: l’uso di un metodo mafioso non implica automaticamente l’appartenenza a un’associazione criminale né la riconducibilità di ogni azione a un piano associativo.
3. Assenza di Prova di un Progetto Unitario
Alla luce dei punti precedenti, la Cassazione ha concluso che mancava la prova di un programma criminoso unitario. I reati commessi all’inizio del periodo (2007-2008) non potevano essere considerati come l’attuazione di un piano che comprendeva anche la successiva partecipazione a un’associazione mafiosa, iniziata solo nel 2017. La diversità dei reati e la discontinuità temporale e fattuale hanno portato a escludere che essi potessero essere espressione di una medesima, iniziale risoluzione criminosa.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per il riconoscimento dell’unico disegno criminoso, non è sufficiente una generica propensione a delinquere o la commissione di più reati nel tempo. È necessaria la prova concreta di un’originaria e unitaria programmazione che leghi tutte le condotte delittuose. Elementi come una significativa distanza temporale, lunghi periodi di detenzione e la natura specifica delle aggravanti contestate possono costituire prove decisive per escludere tale istituto, con importanti conseguenze sul calcolo finale della pena.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le censure sollevate erano manifestamente infondate, si limitavano a mere doglianze sui fatti e riproponevano argomenti già correttamente esaminati e respinti dalla Corte d’Appello.
La presenza dell’aggravante del metodo mafioso è sufficiente a dimostrare un unico disegno criminoso con reati associativi?
No. Secondo la Corte, il riconoscimento dell’aggravante mafiosa solo per il suo profilo oggettivo (le modalità di esecuzione del reato) non dimostra né la partecipazione organica all’associazione criminale all’epoca dei fatti, né che il reato fosse finalizzato agli scopi della stessa. Pertanto, non è un elemento sufficiente a collegare quel reato a successive condotte associative in un unico piano.
In che modo i periodi di detenzione hanno influito sulla decisione?
I due lunghi e distinti periodi di detenzione subiti dal ricorrente (2008-2014 e 2015-2017) sono stati considerati un ulteriore indice del fatto che i reati commessi non fossero espressione di un unico disegno criminoso. Tali interruzioni spezzano la continuità temporale e logica necessaria per configurare un programma criminoso unitario e perdurante.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2571 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2571 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CROTONE il 24/07/1975
avverso l’ordinanza del 21/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Osservato che sono inammissibili le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole del vizio di motivazione, lamentando che l’ordinanza emessa nei confronti del suddetto ha trascurato gli indici rivelatori dell’unicità del disegno criminoso a fondamento delle condotte delittuose poste in essere – perché, oltre ad essere manifestamente infondate, sono costituite da mere doglianze in punto di fatto.
Considerato che dette censure sono, altresì, riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte di appello di Catanzaro nel provvedimento impugnato. In esso, invero, si evidenzia, con riguardo alla richiesta continuazione tra i fatt di cui a tre sentenze, che: – a partire dagli anni 2007-2008 il ricorrente ha commesso sia il delitto di estorsione, caratterizzato da oggettive modalità mafiose, sia i reati materia di stupefacenti e armi, in ordine ai quali è stata esclusa l’aggravante di mafia; – le attività delittuose cui il COGNOME era dedito in quegli anni, pur se perpetra solo in un caso con metodo mafioso, non sono state ritenute dimostrative della sua organica partecipazione e neppure della sua appartenenza all’organizzazione criminale; – a tal proposito, significativo è il fatto che, in merito al deli estorsione, il Giudice ha ravvisato sì la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 L n. 203/19991 ma l’ha limitata al profilo oggettivo, il che esclude la finalizzazione dei reati in questione agli obiettivi della consorteria mafiosa oggetto della sentenza sub a) ed esclude, altresì, che la condotta associativa posta in essere dal 2017 con condotta perdurante fosse già in atto dieci anni prima; – nell’arco temporale di circa dieci anni che ha preceduto la commissione delle condotte partecipative oggetto della sentenza sub a) il ricorrente ha subito due distinti periodi di detenzione protrattis per molti anni (dal 2008 al 2014 e dal 2015 al 2017), il che è ulteriore indice del fatto che i reati commessi non siano espressione di unico disegno criminoso risalente al 2007. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.