Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10968 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10968 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nata il 23/05/1988 a GRAVINA DI PUGLIA NOME COGNOME nato il 13/07/1984 in INDIA avverso la sentenza in data 07/02/2024 della CORTE DI APPELLO DI NA- visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli;
a seguito di trattazione in camera di consiglio, senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto dagli articoli 610, comma 5 611, comma 1-bis, del codice di procedura penale.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME e NOME COGNOME per il tramite del comune procuratore speciale e con ricorsi congiunti, impugnano la sentenza in data 07/02/2024 della
COGNOME;
Corte di appello di Napoli, che ha confermato la sentenza in data 08/02/2023 del Tribunale di Avellino, che li aveva condannati per il reato di tentativo di estorsione.
Deducono:
Inosservanza di norma processuale.
Si denuncia la «nullità del decreto che disponeva il giudizio e degli atti successivi per omessa notifica al difensore e agli imputati dell’avviso di fissazione dell’udienza del 10.11.2021 dopo un precedente rinvio dell’udienza per motivi d’ufficio, già fissata al 14.07.2021. L’udienza preliminare tenutasi in data 10.11.2021, all’esito della quale veniva emesso il decreto che disponeva il giudizio, veniva dal precedente rinvio d’ufficio disposto all’udienza del 14.07.2021, tenutasi in assenza degli imputati e del difensore, a cui non seguiva alcuna comunicazione della nuova data d’udienza (ovvero quella del 10.11.2021) alle parti assenti».
Si precisa che l’omessa comunicazione era stata eccepita alla stessa udienza del 10.11.2021.
Viene, quindi, dedotta la nullità assoluta del decreto di rinvio a giudizio e degli atti successivi.
1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla competenza territoriale in relazione alla sussistenza del reato continuato.
A tale proposito si premette che la Corte di appello ha rigettato l’eccezione d’incompetenza territoriale osservando che era stata proposta tardivamente e che, comunque, era infondata.
I ricorrenti fanno presente che -diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello- l’eccezione era stata tempestivamente sollevata nella fase introduttiva del giudizio di primo grado, con memoria del 18/02/2022, per come annotato nel verbale di udienza del 23.02.2023 e del 19.10.2024.
Si deduce, quindi, la violazione delle norme relative alla competenza territoriale, in relazione alla continuazione.
A tale ultimo proposito si osserva che i giudici hanno ritenuto la sussistenza di una pluralità di condotte estorsive, mentre -in realtà- doveva ritenersi configurata un’unica condotta estorsiva, in quanto ci si trova in presenza di una pluralità di atti, ma tutti finalizzati a ottenere il denaro richiesto.
Osservano, dunque, che ove si riconosca l’esistenza di un unico reato di estorsione, nella forma del tentativo, emerge anche l’incompetenza del giudice, atteso che l’ultimo atto diretto alla commissione del delitto è stato realizzato nell’ambito della competenza territoriale del tribunale di Potenza e non di quello di Avellino.
1.3. Violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento dei fatti in relazione alla valutazione delle prove per omessa valutazione delle censure difensive in ordine alla sussistenza del delitto di tentativo di estorsione.
Si assume che il quadro probatorio non dimostra la sussistenza del reato e i giudici non hanno motivato in ordine alle censure esposte con l’atto di appello, con particolare riguardo alle conversazioni tra i due connazionali avvenute in lingua indiana e mai tradotte, sulle contraddizioni emerse a dibattimento e sulla mancanza di prova a carico di NOME in ordine alla condotta estorsiva e alla sua presenza presso l’abitazione della Cascarano, con conseguente travisamento dei fatti.
Si aggiunge che non è stata raggiunta la prova dell’ingiustizia del profitto e dell’elemento psicologico (atteso che la somma di denaro era stata richiesta per l’ospitalità offerta), oltre che della minaccia di strappare i documenti (non emergente dai file audio nessun tipo di minaccia).
Lamentano, ancora, l’omessa considerazione delle contraddizioni emerse nelle dichiarazioni dei due testimoni sentiti in dibattimento, oltre che delle censure mosse in ordine alle modalità della loro assunzione, svoltasi con inammissibili domande suggestive.
1.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 393 cod. pen..
Secondo la difesa, mancando la prova della compartecipazione di Kumar, la richiesta della somma di denaro era legittima e non arbitraria, perché accompagnata dalla convinzione di pretendere una somma dovuta per l’ospitalità offerta, così configurandosi l’ipotesi dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni e non il delitto di estorsione.
1.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla richiesta di integrazione probatoria ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen..
Anche in questo caso si denuncia il vizio di omessa motivazione sulle censure mosse con l’atto di appello in ordine al rigetto della richiesta di integrazione probatoria avanzata ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. davanti al giudice di primo grado.
Si precisa che l’integrazione probatoria era indispensabile e rilevante ai fini della decisione.
1.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della continuazione piuttosto che l’unicità del reato.
Vengono ribadite le medesime argomentazioni esposte con il secondo motivo.
1.7 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla negazione delle circostanze attenuanti generiche, alla determinazione della pena e alla sospensione condizionale della pena.
Si denuncia la mancata considerazione degli elementi favorevoli, quali la scarsa gravità dei fatti, l’incensuratezza e il comportamento processuale degli imputati.
Si aggiunge che le medesime argomentazioni potevano essere valutate ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena.
1.8. Sopravvenuta illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen..
Con l’ultimo motivo d’impugnazione si osserva che l’art. 629 cod. pen. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la pena comminata sia ridotta fino a un terzo quando il fatto risulti di lieve entità.
Rimarca come la sentenza n. 120 del 2023 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sia intervenuta dopo il deposito dei motivi di appello e che per tale ragione viene dedotta per la prima volta in cassazione, al fine di richiedere una rivalutazione della decisione impugnata alla luce dei principi con essa fissati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo d’impugnazione è manifestamente infondato.
1.1. I ricorrenti deducono la nullità del decreto dispositivo del giudizio in quanto l’udienza preliminare fissata per il 14/07/2021, assenti il difensore e l’imputato, veniva rinviata alla successiva udienza del 10/11/2021 senza che del rinvio fosse dato avviso al difensore e all’imputato. Osserva che anche in tale udienza non comparivano il difensore e l’imputato e al suo esito veniva emesso il decreto di rinvio giudizio.
La dedotta nullità viene correlata alla mancata comunicazione alle parti assenti del rinvio disposto all’udienza del 14/07/2021.
L’assunto è infondato.
1.1.1. Dalla lettura del verbale del 14/07/2021 (consentito in ragione della natura processuale della questione) emerge che l’udienza preliminare era presieduta dal dott. NOME COGNOME in sostituzione del dott. NOME COGNOME G.u.p. titolare del ricorso.
Nel verbale risulta altresì annotato: che il giudice verificava che l’avviso di fissazione dell’udienza era stato regolarmente notificato agli imputati e che non era emerso alcun legittimo impedimento a comparire, così che ne veniva dichiarata l’assenza, ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. pen.; che il giudice verificava l’assenza del difensore di fiducia nominato dai difensori e, pertanto, provvedeva alla sua sostituzione, nominando un difensore d’ufficio ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen..
1.1.2. Va, dunque, rimarcato come la difesa -in coerenza con quanto emergente dal verbale di udienza- non deduca l’omessa notifica ovvero la nullità dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare per la data del 14/07/2021; parimenti non viene dedotto neanche che l’assenza del difensore e degli imputati all’udienza fosse dovuto a un legittimo impedimento emerso e non riconosciuto ovvero negato dal giudice.
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Proprio da tale preliminare notazione discende che né gli imputati, né il difensore avevano diritto alla rinnovazione dell’avviso di fissazione dell’udienza in ragione del rinvio disposto dal giudice.
1.1.3. Occorre fare riferimento, infatti, alla disciplina contenuta agli artt. 420, 420-bis e 420-ter cod. proc. pen., nella loro formulazione vigente all’epoca della celebrazione dell’udienza preliminare, ossia tra il 24.07.2021 e il 10.11.2021.
Anzitutto, l’art. 420, comma 2, dispone che il giudice dispone la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui dichiara la nullità; il 420, comma 3, cod. proc. pen. dispone che se il difensore dell’imputato non è presente il giudice provvede a norma dell’articolo 97, comma 4.
L’art. 420-bis, comma 1, cod. proc. pen. dispone che il giudice procede nell’assenza dell’imputato quando questi non compaia all’udienza ovvero se qeusti rinunci a comparirvi ancorché impedito.
L’art. 420-ter cod. proc. pen., per quello che qui interessa, dispone che l’udienza sia rinviata quando risulti che l’imputato sia assolutamente impossibilitato a comparire per forza maggiore o caso fortuito ovvero perché legittimamente impedito.
In tali ipotesi il rinvio deve essere comunicato all’imputato.
L’art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen. dispone che il giudice rinvia l’udienza anche nel caso in cui il difensore non compaia per legittimo impedimento, prontamente comunicato.
Anche in questo caso l’ordinanza di rinvio va comunicata al difensore.
L’art. 420-ter, comma 4, cod. proc. pen, dispone che «in ogni caso la lettura dell’ordinanza che fissa la nuova udienza sostituisce la citazione e gli avvisi per tutti coloro che sono o devono considerarsi presenti»
1.1.4. Dalla lettura combinata delle norme così sintetizzate emerge come la rinnovazione degli avvisi alle parti sia prevista soltanto in relazione agli avvisi si cui dichiari la nullità, ovvero quando l’udienza sia o debba debba essere rinviata per legittimo impedimento dell’imputato o del difensore ovvero quando rilevi d’ufficio l’assoluta impossibilità a comparire dell’imputato, per caso fortuito o forza maggiore.
In tali casi il giudice è tenuto a disporre la notificazione del rinvio al difensore e/o all’imputato.
Al di fuori di tali casi, invece, non è dovuta alcuna notificazione del rinvio, alla luce di quanto disposto dall’art. 420, comma 4, cod. proc. pen. che stabilisce che -al di fuori di tali ipotesi- la lettura dell’ordinanza che fissa la nuova udienza sostituisce la citazione e gli avvisi per tutti coloro che sono o devono considerarsi presenti, per come già visto.
Nel caso in esame, al difensore e agli imputati era stato regolarmente notificato l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare ed essi non sono comparsi,
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senza addurre un legittimo impedimento e senza essere impossibilitati a comparire per forza maggiore o caso fortuito.
Da ciò discende che al difensore che agli imputati non era dovuta la notificazione del rinvio dell’udienza, trovando applicazione l’art. 420, comma 4, cod. proc. pen..
Va dunque fissato il seguente principio di diritto: In tema di costituzione delle parti a norma degli artt. 420 cod. proc. pen., la notifica del rinvio della trattazione disposto dal giudice in udienza, nell’assenza dell’imputato e in presenza del difensore nominato ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen., è dovuta al difensore di fiducia e/o all’imputato solo quando sia dichiarata la nullità degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni o delle notificazioni ovvero quando risulti che il difensore e l’imputato sono assenti per assoluta impossibilità a comparire per legittimo impedimento, mentre, al di fuori di tali ipotesi, la lettura in udienza dell’ordinanza che fissa la nuova udienza sostituisce la citazione e gli avvisi per tutti coloro che sono o devono considerarsi presenti (in tal senso, cfr. Sez. 2, n. 6488 del 16/01/2003, Rendola).
Nel caso in esame, come già evidenziato, il difensore e l’imputato non sono comparsi all’udienza del 14/07/2021 senza addurre un legittimo impedimento e il rinvio non è stato disposto per l’eventuale dichiarazione della nullità nei loro confronti dell’avviso di fissazione dell’udienza, così che il giudice non doveva disporre la notificazione all’odierna ricorrente e al suo difensore l’ordinanza di rinvio dell’udienza.
Da qui il rigetto del primo motivo di ricorso, non configurandosi alcuna nullità per la mancata notificazione del rinvio di che trattasi al difensore e agli imputati, non essendo dovuta.
Con il secondo motivo d’impugnazione, i ricorrenti sostengono che le condotte contestate a Cascarano configurano un solo reato, trattandosi di un unico tentativo di estorsione e non di una pluralità di reati in continuazione, atteso che le minacce erano comunque rivolte a ottenere una somma di denaro.
2.1. Al fine di stabilire se le plurime minacce contestate siano riferibili a un’unica condotta estorsiva ovvero a una pluralità di estorsioni in continuazione occorre guardare alla condotta così come ricostruita dai giudici della doppia sentenza conforme.
Il tutto origina dal temporaneo soggiorno della vittima del reato (NOME COGNOME classe 1991) presso l’abitazione di Cascarano Luigina, sita in Oppido Luceno (in provincia di Potenza). In occasione di tale soggiorno NOME cl. 1991 -in accordo con la Cascarano- si faceva inviare dei documenti presso l’abitazione della stessa Cascarano e, nelle more del loro arrivo, si trasferiva in una diversa abitazione, sita in Solofra (in provincia di Avellino).
Una volta arrivati i documenti -secondo il narrato della vittima- la COGNOME chiedeva 500,00 euro per la loro consegna, dietro la minaccia rivolta a NOME di strapparli o di farlo uccidere se non avesse pagato. Tali minacce venivano profferite più volte, tramite messaggi WhatsApp e tramite video chiamate e telefonate, alla presenza di NOME classe 1984, che suggeriva alla COGNOME cosa dire alla vittima.
NOME classe 1991 riferisce, quindi, che, per soddisfare le richieste della Cascarano, si recava presso la sua abitazione, in Oppido Lucano, dove, alla presenza di NOME classe 1984 e con il suo apporto, continuava a minacciarlo di strappare i documenti. Precisava che mentre per la via telefonica gli era stata richiesta la somma di 500 euro, invece, nell’abitazione e di presenza, gli veniva chiesta la maggior somma di 1.000,00 euro.
Al rifiuto di pagare tale somma, i documenti venivano effettivamente strappati.
2.2. Così riassunto il fatto, va ricordato che «in tema di estorsione, le diverse condotte di violenza o minaccia poste in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonome ipotesi di reato, consumate o tentate, unificabili con il vincolo della continuazione quando, singolarmente considerate, in relazione alle circostanze del caso concreto, alle modalità di realizzazione e all’elemento temporale, appaiano dotate di una propria completa individualità, dovendosi invece ravvisare un unico reato allorché i molteplici atti di minaccia costituiscano singoli momenti di un’unica azione» (Sez. 2, n. 37297 del 28/06/2019, C. Rv. 277513 – 01; Sez. 2, n. 2542 del 16/10/2014, dep. 2015, Marseglie, Rv. 261854 – 01 Sez. 2, n. 41167 del 02/07/2013, COGNOME, Rv. 256729 – 01).
Nel caso in esame, l’unico elemento differenziale tra la richiesta estorsiva avanzata a distanza e quella rivolta con la presenza fisica della vittima è costituita dalla diversa somma di denaro richiesta nelle due occasioni.
La diversità della somma di denaro richiesta a distanza (cinquecento euro) rispetto a quella richiesta di presenza (mille euro) non può da sola condurre a ritenere che vi siano una pluralità di estorsioni, a fronte dell’identità della minaccia (la distruzione dei documenti) e all’identità degli autori, ossia in presenza di circostanze che manifestano l’unicità del fatto, atteso che le molteplici minacce profferite in più tempi dalla COGNOME e da Kumar vengono ricondotte a unità dall’obiettivo cui erano finalizzate, ossia il perseguimento della somma di denaro in danno di NOME classe 1991.
Il motivo è, dunque, fondato dovendosi ritenere l’unicità del fatto, con esclusione della continuazione.
La sentenza va, dunque, annullata sul punto.
L’annullamento può essere disposto senza rinvio, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., atteso che il trattamento sanzionatorio può essere rideterminato sulla base delle statuizioni del giudice di merito, essendo
sufficiente l’eliminazione dell’aumento di pena applicato per la continuazione, pari a mesi due di reclusione, ed euro 100,00 di multa, così pervenendosi alla pena di anni due, mesi quattro di reclusione, ed euro 400,00 di multa per ciascun imputato.
Va, comunque, affermata la manifesta infondatezza della questione relativa alla competenza territoriale, che la corte di appello ha correttamente ritenuto tardiva.
La difesa sostiene di avere sollevato tempestivamente l’eccezione sulla competenza territoriale, nella fase introduttiva del giudizio di primo grado.
In ciò consiste la manifesta della mozione difensiva, atteso che l’incompetenza per territorio deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare.
Nel caso in esame nessuna eccezione di incompetenza territoriale è stata sollevata nel corso dell’udienza preliminare, con la conseguenza che i giudici del merito hanno correttamente rilevato la tardività della stessa.
Il terzo e il quarto motivo d’impugnazione sono inammissibili perché si risolvono ma una ricostruzione dei fatti e in una valutazione delle emergenze processuali alternativa a quella dei giudici della doppia sentenza conforme, che: a) hanno ritenuto la responsabilità sulla base della testimonianza della persona offesa riscontrate dalla trascrizione di una videochiamata, con nove file audio di messaggi inviati dall’imputata, con le dichiarazioni della teste NOME COGNOME (moglie della persona offesa) e dagli esiti delle perquisizioni personali e domiciliari, nel corso della quale ultima venivano rinvenuti i documenti strappati alla vittima; b) hanno escluso che il fatto configurasse un esercizio arbitrario delle proprie ragioni perché dagli elementi sopra indicati emerge l’illegittimità della pretesa e che soltanto in una fase successiva veniva aggiunto che la somma (peraltro aumentata nel corso delle richieste) era dovuta per il soggiorno.
Le questioni sollevate a tale riguardo si sostanziano in una valutazione delle risultanze processuali alternativa a quella ritenuta dai giudici di merito e, in quanto tali, non sono scrutinabili in sede di legittimità, atteso che il compito demandato dal legislatore alla Corte di cassazione -per quanto qui d’interesse- non è quello di stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti ovvero quello di condividerne la giustificazione. Il compito del giudice di legittimità è quello di verificare la conformità della sentenza impugnata alla legge sostanziale e a quella processuale, cui si aggiunge il controllo sulla motivazione che, però, è restrittivamente limitato alle ipotesi tassative della carenza, della manifesta illogicità e della contraddittorietà. Con l’ulteriore precisazione che la carenza va identificata con la mancanza della motivazione per difetto grafico o per la sua apparenza; che l’illogicità deve essere manifesta -ossia individuabile con immediatezza-
e sostanzialmente identificabile nella violazione delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche, così configurandosi quando la motivazione sia disancorata da criteri oggettivi di valutazione, e trascenda in valutazioni soggettive e congetturali, insuscettibili di verifica empirica; la contraddittorietà si configura quando la motivazione si mostri in contrasto -in termini di inconciliabilità assoluta- con atti processuali specificamente indicati dalla parte e che rispetto alla struttura argonnentativa abbiano natura portante, tale che dalla loro eliminazione deriva l’implosione della struttura argomentativa impugnata.
Patologie che non si riscontrato nel tessuto argonnentativo della sentenza impugnata.
4.1. Tali motivi sono inammissibili anche nella parte in cui lamentano la mancata risposta alle deduzioni difensive in relazione alle risultanze probatorie, in quanto tale deduzione si risolve in una valutazione di merito alternativa a quella della corte di appello, che ha evidentemente ritenuto infondata la prospettazione difensiva. Si deve considerare, infatti, che il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento eventualmente acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente.
A tal proposito questa Corte ha già avuto modo di affermare che «non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza» (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022 Ud., dep. il 2023, COGNOME, Rv. 284096 – 01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018 Ud., dep. 12/02/2019, Currà, Rv. 275500 – 01).
5. Quanto alla omessa risposta sulla richiesta di ammissione di prova ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. davanti al giudice di primo grado, va ribadito che «la mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo d’impugnazione ex art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione ai sensi dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente articolato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione» (Sez. 2, n. 884 del 22/11/2023, dep., 2024, COGNOME, Rv. 285722 – 01).
A ciò si aggiunga che la prova richiesta dalla difesa e che si assume decisiva è costituita da fonti dichiarative, consistendo nella testimonianza di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Tale rilievo conduce all’inammissibilità del motivo anche per un’ulteriore ragione, dovendosi ribadire che «la prova decisiva, la cui mancata assunzione può essere dedotta in sede di legittimità a norma dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non può consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato è destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l’ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente», (Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019, D., Rv. 277035 – 01).
La difesa si duole anche della mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Il motivo è manifestamente infondato, ove si consideri che la pena inflitta (anche eliminando la continuazione) è superiore al limite di due anni previsto dall’art. 163 cod. pen. per la concedibilità della sospensione condizionale della pena.
La corte di appello ha negato le circostanze attenuanti generiche osservando che non erano emersi elementi favorevoli, in ciò rendendo una motivazione conforme al principio di diritto a mente del quale «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato» (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01).
Va peraltro rilevato come i ricorrenti evidenzino lo stato di incensuratezza che, come visto, risulta legislativamente ininfluente ai fini voluti dalla difesa, mentre il comportamento processuale è risultato evidentemente insignificante da parte dei giudici.
Il motivo sul trattamento sanzionatorio -oltre che eminentemente generico- risulta altresì inammissibile perché non devoluto con l’atto di appello, dove si rinvengono questioni circa il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche, alla riduzione della pena per esclusione della continuazione e alla sospensione condizionale della pena, senza che siano dedotte censure in ordine alla quantità della pena.
Tanto ha comportato l’interruzione della catena devolutiva circa la questione in esame, dovendosi ribadire che «nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è
inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato (Massime Conformi n. 4712 del 1982, Rv. 153578; n. 2654 del 1983 Rv. 163291)» (Sez. 3, n. 2343 del 28/09/2018 Ud., dep. 18/01/2019, COGNOME, Rv. 274346).
Con l’ultimo motivo d’impugnazione i ricorrenti si dolgono della mancata considerazione dei contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023.
Anche tale censura è inammissibile, perché tardivamente proposta per la prima volta in cassazione.
E’ già stato spiegato, infatti, che «in tema di impugnazioni, non è deducibile con ricorso per cassazione l’omessa motivazione del giudice di appello in ordine al denegato riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del delitto di estorsione, prevista dalla sentenza della Corte cost. n. 120 del 2023, ove la questione, già proponibile in quella sede, non sia stata prospettata in appello con i motivi aggiunti ovvero in sede di formulazione delle conclusioni (Sez. 2, n. 19543 del 27/03/2024, G., Rv. 286536 – 01).
Nel caso in esame la sentenza oggi impugnata è stata pronunciata il 07/02/2024, così che la difesa era nelle condizioni di sollecitare alla corte territoriale la valutazione dei contenuti della sentenza della Corte costituzionale in questione, la cui motivazione è stata depositata il 15 giugno 203.
La sentenza va, dunque, annullata senza rinvio in relazione alla trattamento sanzionatorio, mentre i ricorsi sono inammissibili nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla continuazione che elimina e per l’effetto ridetermina la pena per ciascun imputato in anni due mesi quattro di reclusione ed euro 400,00 di multa. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Così deciso il 22/01/2025