Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22668 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22668 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a FAVARA avverso l’ordinanza in data 30/11/2023 del TRIBUNALE DI PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; ascoltata la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona della Sostitu procuratrice generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; sentito l’AVV_NOTAIO, che ha illustrato i motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, per il tramite del proprio difensore, impugna l’ordinanza in data 30/11/2023 del Tribunale di Palermo che, in parziale accoglimento dell’appello ex art. 310 cod. proc. pen. presentato dal pubblico ministero, ha riformat l’ordinanza in data 24.10.2023 del G.i.p. del Tribunale di Palermo, applicando congiuntamente l’obbligo di dimora nel comune di residenza e l’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria, in relazione ai reati di estors (capo 1) e di turbativa d’asta, entrambi aggravati dalle modalità mafiose.
Deduce:
Violazione di legge e vizio di motivazione per la mancanza di gravi indizi di colpevolezza, per la mancanza dei presupposti richiesti per la contestazion dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e per l’inesistenza di esi
cautelari.
«Leggendo l’ordinanza impugnata -scrive la difesa- si ha la sensazione che il Collegio giudicante non abbia letto tutti gli atti processuali e che abbia limitato la propria disamina a parte di essi traendone un convincimento errato. Se avesse letto con l’attenzione che meritano le intercettazioni tra COGNOME e COGNOME si sarebbe reso conto che la turbata libertà degli incanti contestata al capo 2 non sussiste e, di conseguenza, la stessa ipotesi di estorsione contestata al capo 1 non ha alcuna ragion d’essere».
Così introdotta l’impugnazione, il ricorrente dubita della credibilità di COGNOME, a cui viene attribuita la finalità di ricercare una “coccarda e della medaglia di paladino dell’antimafia”.
A sostegno dell’assunto evidenzia che COGNOME ha subito esecuzioni immobiliari ed è alla ricerca di un soggetto che lo aiuti a chiudere il proprio rapporto debitorio con la banca creditrice; che in tale ricerca -per il tramite di COGNOME, che gli propone di finanziarlo in cambio di una quota del compendio immobiliare; che l’intento speculativo è soprattutto di COGNOME; che COGNOME, consapevole di ciò, si rivolge a COGNOME, per reperire un altro finanziatore e insieme a questo dice a COGNOME di disinteressarsi della vicenda; che COGNOME, dunque, non fa nulla per impedire a COGNOME di partecipare all’asta.
Il ricorso prosegue spiegando le ragioni per cui nelle successive interlocuzioni con COGNOME non possono rinvenirsi minacce che, anzi, sono negate dallo stesso COGNOME.
Si aggiunge che la condotta di COGNOME non era intesa a turbare l’asta, così come non vi sono elementi per ritenere configurata l’estorsione, non essendo a tal fine sufficiente valorizzare il contenuto della conversazione intercorsa tra COGNOME e COGNOME -male interpretata dal tribunale-, ovvero i lontani trascors giudiziari di COGNOME, per i quali è stato assolto.
Con riguardo all’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen., il ricorrente denuncia l’omessa motivazione sul punto.
Precisa che non sussistono esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Va premesso che questa Corte ha ritenuto opportuno disporre un rinvio della trattazione dell’odierna impugnazione attesa la pendenza davanti alle Sezioni Unite della risoluzione della questione relativa alla possibilità di configurare un concorso formale tra i reati di estorsione e di turbativa d’asta.
Va ulteriormente specificato in nessuno dei motivi di ricorso risulta prospettata tale questioni e che le ragioni di opportunità sono state ritenute in via
offici osa.
Ciò premesso, dall’informazione provvisoria diramata, risulta che le Sezioni Unite, all’udienza del 28/03/2024 hanno risolto in senso affermativo il contrasto insorto in relazione alla possibilità di configurare un concorso formale tra il reato di estorsione e quello di turbativa d’asta a condizione che ricorrano gli elementi costitutivi di entrambi i reati, in rapporto di specialità reciproca fra loro.
1.2. Tale condizione, in effetti, ricorre nel caso in esame, atteso che il tribunale ha rinvenuto gli elementi costituitivi di entrambi i reati.
I giudici del riesame, infatti, hanno ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di turbata libertà degli incanti (già ritenuta anche dal G.i.p.) e del delitto di estorsione, sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, che riferiva di avere ricevuto la visita di COGNOME, il quale era a conoscenza della sua intenzione di partecipare all’asta dei beni immobili di COGNOME e gli aveva intimato di non partecipare alla gara. COGNOME precisava di essersi sentito intimorito dalla richiesta di COGNOMECOGNOME COGNOME le modalità o comunque per la conoscenza dei suoi trascorsi. A tale proposito il tribunale ha precisato che COGNOME si trova sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbltdi soggiorno e ha anche subito la confisca del suo intero patrimonio, il tutto a causa della vicinanza con ambienti mafiosi.
I giudici hanno altresì osservato che le dichiarazioni della persona offesa avevano trovavato riscontro sia nel tracciamento del GPS installato sull’autovettura di COGNOME, sia nel contenuto della conversazione intercorsa tra lo stesso COGNOME e COGNOME, il quale ultimo dice a quello di dovere intimare a qualcuno di non partecipare alla gara. E in effetti il tracciamento GPS confermava che nel pomeriggio di quel giorno l’autovettura di COGNOME giungeva presso il piazzale antistante la sede della società della famiglia di COGNOME, il quale – a sua volta- confermava di avere ricevuto la visita di COGNOME in quello stesso pomeriggio.
La natura intimidatoria delle richieste di COGNOME emergeva anche dalle registrazioni effettuate dallo stesso COGNOME. Registrazioni che confortavano ulteriormente il quadro indiziario fin qui delineato.
Quanto alla modalità mafiosa delle minacce, il tribunale ha ritenuto che il G.i.p. non avesse tenuto nella debita considerazione il contesto ambientale in cui quelle erano state profferite, così non tenendo conto di quanto spiegato dalla Corte di cassazione nelle sentenze n. 29646/2014 e n. 2702/2015), nelle quali -appuntovengono valorizzate le condizioni ambientali in cui sono calate le richieste estorsive e si assegna espressa rilevanza al fatto che la condotta sia stata realizzata in un contesto territoriale caratterizzato dall’essere notoriamente soggetto a consorterie mafiose, come nel caso in esame, i cui fatti si sono svolti nella provincia di Agrigento.
Quanto alle esigenze cautelari, il tribunale ha osservato che la difesa non ha
allegato alcun elemento utile a superare la presunzione di pericolosità; che il pericolo di reiterazione è attuale in quanto le condotte sono assai recenti; che, in punto di scelta della misura, le esigenze cautelari potevano essere soddisfatte con l’obbligo di dimora e con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, avendo riguardo allo stato di incensuratezza di COGNOME e alla sua età.
A fronte di ciò, il ricorrente denuncia l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, ma in realtà si limita a offrire una ricostruzione dei fatti e una valutazione degli stessi alternativa a quella dei giudici di merito.
A tale riguardo va ricordato che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità è restrittivamente limitato alle ipotesi tassative della carenza, della manifesta illogicità e della contraddittorietà. Con l’ulteriore precisazione che la carenza va identificata con la mancanza della motivazione per difetto grafico o per la sua apparenza; che l’illogicità deve essere manifesta -ossia individuabile con immediatezza- e sostanzialmente identificabile nella violazione delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche, così configurandosi quando la motivazione sia disancorata da criteri oggettivi di valutazione, e trascenda in valutazioni soggettive e congetturali, insuscettibili di verifica empirica; la contraddittorietà si configura quando la motivazione si mostri in contrasto -in termini di inconciliabilità assolutacon atti processuali specificamente indicati dalla parte e che rispetto alla struttura argomentativa abbiano natura portante, tale che dalla loro eliminazione deriva l’implosione della struttura argomentativa impugnata.
2.1. Ciò detto, nessuno di tali vizi vengono messi in evidenza con il motivo di ricorso in esame che, in realtà, si risolve nella reiterazione delle medesime argomentazioni di merito sviluppate con il riesame, che vengono ribadite in sede di legittimità, quale proposta valutativa antagonista alle argomentazioni dei giudici e che, in quanto tali, non sono scrutinabili in sede di legittimità, atteso che il compito demandato dal legislatore alla Corte di cassazione -per quanto qui d’interesse- non è quello di stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti ovvero quello di condividerne la giustificazione.
Tanto più a fronte di una motivazione che certamente non può dirsi carente, né manifestamente illogica, né contraddittoria.
2.2. Va ulteriormente rimarcato come il ricorso esprima soprattutto censure relative all’attendibilità della persona offesa e tale proposito va ribadito che ogni vaglio critico circa il giudizio di attendibilità della deposizione della persona offesa ovvero dei testimoni è precluso innanzi alla Suprema Corte in ossequio al principio incontroverso in giurisprudenza secondo il quale la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in
4 COGNOME
A C)Li si
manifeste contraddizioni (in tal senso cfr. Sezioni Unite, Sentenza n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, in motivazione).
Quanto COGNOME esposto COGNOME porta COGNOME alla COGNOME declaratoria COGNOME di COGNOME inammissibilità dell’impugnazione, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Il provvedimento impugnato, con la presente decisione, è divenuto esecutivo. Va dunque disposto che la Cancelleria provveda agli incombenti previsti dall’art. 28, del Regolamento per l’esecuzione del codice di procedura penale.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. Esec. Cod. Proc. Pen..
Così deciso il 15/05/2024