Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33859 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33859 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/12/2023 della Corte di appello di Napoli letti gli atti, il ricorso e il provvedimento impugnato; udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; preso atto della dichiarazione del ricorrente di rinunciare alla prescrizione e udite le conclusioni dei difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
I difensori di NOME COGNOME hanno proposto ricorso avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa il 10/09/2020 dal locale Tribunale, ha rideterminato in anni 2 di reclusione e 600 euro di multa la pena inflitta all’imputato per il reato di cu all’art. 353 cod. pen., per avere, in qualità di amministratore giudiziario
nominato il 7 marzo 2013 dal Gip del Tribunale di Napoli nel procedimento penale relativo al sequestro preventivo del 90% del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE e del relativo patrimonio, tra cui vi era il capannone ex IPAM al cui acquisto era interessato NOME COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, con accordo collusivo con questi turbato la gara diretta all’aggiudicazione del capannone, mediante le condotte descritte nell’imputazione, consistenti in suggerimenti, indicazioni e informazioni sull’offerta presentata dalla RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, sollecitando il COGNOME ad integrare e allineare l’offer prevedendo un maggiore acconto ed un incremento del prezzo.
Il ricorso si articola in nove motivi di seguito illustrati.
1.1 Con il primo motivo si denuncia l’erronea applicazione della norma penale per avere la Corte di appello ritenuto integrato il reato di cui all’art. 353 cod. pen. anziché una trattativa privata, nonostante la mancanza degli elementi tipici della gara quali: la determinazione del prezzo minimo di acquisto, la fissazione di un termine per la presentazione delle offerte, delle modalità di acquisto e dei criteri di valutazione delle offerte. Si sottolinea che la stessa decisione del giudice di annullare la precedente aggiudicazione del capannone ai RAGIONE_SOCIALE COGNOME e di indire una gara nel febbraio 2016 dimostra che quanto avvenuto in precedenza rientrava in una trattativa privata. Tale deve ritenersi la prima fase della procedura, in quanto il giudice delegato aveva dato mandato agli amministratori giudiziari di vendere il bene secondo le modalità ritenute più opportune, senza fissare alcun criterio di presentazione e selezione delle offerte.
1.2. Con il secondo motivo si denunciano vizi della motivazione per avere la Corte di appello ritenuto configurabile una gara atipica o informale in contrasto con dati documentali e dichiarativi.
Si sostiene che gli elementi indicati in sentenza non costituirebbero criteri predeterminati per la presentazione delle offerte, ma mere indicazioni o preferenze indicate dall’imputato nelle interlocuzioni con i potenziali acquirenti, peraltro, mai cristallizzati in un regolamento, né costituivano conditio sine qua non per la formulazione dell’offerta: infatti, il COGNOME aveva presentato l’offert per l’acquisto diretto senza maxi-rata iniziale. In ogni caso, manca l’atto equipollente al bando, contenente l’indicazione dei criteri essenziali su cui sarebbe stata fondata la scelta dell’amministrazione, essenziale per la configurabilità di una gara o per la trasformazione della trattativa privata in gara nel periodo tra l’ottobre e il dicembre 2015, secondo la ricostruzione operata in sentenza. Si segnala, inoltre, che l’esistenza di una gara informale è stata desunta solo dalla circostanza della autonoma presentazione di offerte da parte di più imprese, in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale più recente, riportato nel ricorso.
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1.3. Con il terzo motivo si denuncia l’omessa motivazione e il travisamento della prova in ordine alla documentazione prodotta in primo grado, dalla quale risulta l’inesistenza di criteri predeterminati per la presentazione dell’offerta d acquisto e la natura privata delle trattative, in quanto gli interessati potevano presentare qualsiasi tipo di offerta e il giudice delegato avrebbe stabilito in piena discrezionalità a quale offerta accordare preferenza.
Riepilogata la sequenza degli atti della procedura, che smentisce l’affermazione contenuta in sentenza circa il fatto che sino al luglio 2015 il COGNOME era stato l’unico offerente, in quanto vi erano già state due offerte, rifiutate dal Giudice per incongruenza del prezzo – troppo basso rispetto a quello stimato dal perito nominato-, si evidenzia che proprio nel periodo indicato in sentenza (ottobre-dicembre 2015) pervennero, come documentato in atti, offerte diversissime tra loro, che furono valutate e non scartate a priori, come sarebbe avvenuto qualora si fosse trattato di criteri inderogabili. Neppure il provvedimento del 4 gennaio 2016 con il quale il capannone fu assegnato ai RAGIONE_SOCIALE COGNOME dimostra l’esistenza di una gara atipica, trattandosi di un provvedimento di assegnazione e non di selezione delle offerte; peraltro, il giudice privilegiò l’offerta del COGNOME, nonostante avesse offerto un prezzo più basso e senza l’impegno ad assumere i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE sequestrata, ma, a seguito delle contestazioni del COGNOME, indisse una gara a buste chiuse dinanzi a sé, a riprova dell’inesistenza di una gara in precedenza. Ed infatti, solo il provvedimento del 3 febbraio 2016 contiene l’indicazione dei criteri di presentazione delle offerte, mai precisati in precedenza.
1.4. Con il quarto motivo si deduce l’omessa valutazione di prove decisive e il travisamento del contenuto delle deposizioni, riportate nei passaggi più rilevanti, dei dr. COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME COGNOME e del consulente tecnico della difesa dr. COGNOME, concordi nel riferire che sino al provvedimento del 3 febbraio 2016 la procedura di vendita era avvenuta nelle forme della trattativa privata senza individuazione di un criterio vincolante per la formulazione e la presentazione delle offerte. Erroneamente la Corte di appello ha ravvisato improprietà terminologiche nella deposizione della dott.ssa COGNOME, risultando, invece, chiaro che la gara ebbe inizio solo nel febbraio 2016 quando / per la prima volta il giudice aveva fissato i criteri ai quali si sarebbe attenut nella valutazione delle offerte. Omessa risulterebbe anche la valutazione della consulenza tecnica.
1.5. Con il quinto motivo si deduce il travisamento della prova in ordine alla asserita presenza di più offerenti nel momento in cui (11-13 novembre 2015) l’imputato invitò il COGNOME ad aumentare la propria offerta sino ad almeno 1.400.000 euro, atteso che in quel momento il COGNOME aveva già revocato la sua offerta (10/11/2015). Essendo il COGNOME l’unico interessato all’acquisto, non vi
era competizione in atto, sicché l’invito dell’imputato ad innalzare l’offerta non ha falsato la procedura di vendita ovvero alterato la par conclicio tra gli offerenti, né poteva avere la finalità di favorire il COGNOME nell’aggiudicazione, essendo solo diretto ad ottenere un prezzo di vendita più alto nell’interesse dello Stato.
1.6. Con il sesto motivo si deduce l’assenza o apparenza della motivazione e il travisamento della prova in ordine alla presunta condotta di favore tenuta dallo COGNOME nei confronti del COGNOME e non del COGNOME.
Oltre ad evidenziare che il COGNOME non ottenne l’aggiudicazione in quanto il COGNOME aveva presentato un’offerta più vantaggiosa e che già tale dato mette in crisi la tesi accolta in sentenza, si rimarca che dalla deposizione del COGNOME, riportata nel ricorso, risulta che anche a lui erano stati forniti gli ste suggerimenti e le stesse indicazioni date al COGNOME nel corso delle frequenti interlocuzioni con lo COGNOME e che, contraddittoriamente, la sentenza in un passaggio dà atto che anche il RAGIONE_SOCIALE era a conoscenza, perché informato dall’imputato, del presunto prezzo di partenza, della formula di acquisto ritenuta preferibile, della maxi-rata iniziale e dell’impegno ad assumere i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE in sequestro, salvo poi, in altro passaggio, affermare il contrario, travisando la prova dichiarativa, che, invece, dimostra che non vi fu disparità di trattamento né violazione degli obblighi di imparzialità da parte dell’imputato.
1.7. Con il settimo motivo si denuncia l’omessa motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, in particolare, in ordine al sensibile scostannento dal minimo edittale non giustificato.
1.8. Con l’ottavo motivo si deduce l’omessa motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella loro massima estensione, ma solo nella misura di un quinto.
1.9. Con il nono motivo di deduce l’omessa motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna, pur a fronte degli elementi concreti indicati nell’atto di appello che l’avrebbero giustificata.
Con motivi nuovi i difensori hanno ribadito e ampliato le argomentazioni poste a base del ricorso, insistendo sulla non configurabilità del reato per insussistenza di una gara, sia pure atipica o informale, per la mancanza di un atto essenziale, in forma scritta, che fissasse le regole e il perimetro della competizione; sulla inidoneità della presenza di più offerenti a dar vita ad una gara; sull’erronea individuazione dell’atto del 4 gennaio 2016 quale elemento identificativo della gara, trattandosi di atto di assegnazione e non di regolazione di una procedura competitiva, che deve precedere l’assegnazione; sulla omessa valutazione e sul travisamento delle prove dichiarative e documentali decisive al
fine di sottolineare l’illogicità della motivazione che ha inserito la condotta de ricorrente nella fattispecie della turbativa d’asta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente va dato atto che l’imputato, presente in udienza, ha dichiarato di rinunciare alla prescrizione, maturata, in ragione delle sospensioni verificatesi in primo e secondo grado, il 4 marzo 2024, essendo le condotte collusive contestate e specificamente indicate nel capo di imputazione commesse dall’Il novembre 2015 al 7 dicembre 2015.
La rinuncia a far valere gli effetti dell’estinzione del reato per il decorso del termine prescrizionale implica l’opzione per la prosecuzione del processo verso l’epilogo di una pronuncia nel merito, con accettazione del rischio connesso a tale scelta irretrattabile, che, nel caso di specie, comporta l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per le ragioni di seguito esposte.
I motivi di ricorso, pur con le precisazioni e i limiti di seguito indicat non sono infondati e la sentenza impugnata non fornisce esaustive risposte ai rilievi posti dalla difesa del ricorrente, con particolare riferimento al tema centrale e di natura assorbente, relativo alla qualificazione giuridica del fatto, risultando in più punti carente e contraddittoria.
2.1. Secondo la tesi difensiva la procedura seguita per la vendita del capannone industriale della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, posta in liquidazione, si era svolta nelle forme della trattativa privata che, collocandosi al di fuori del perimetro applicativo dell’art. 353 cod. pen. per l’assenza di una procedura di gara, esclude la configurabilità del reato, e di ciò avrebbero offerto ampio riscontro non solo i dati documentali, ma anche le dichiarazioni dei collaboratori del ricorrente, la consulenza tecnica di parte e il provvedimento del 3 febbraio 2016 con il quale il Giudice delegato indisse per la prima volta una gara, fissando il termine per la presentazione delle offerte e stabilendo le condizioni ed i criteri di valutazione cui si sarebbe attenuto, a seguito delle contestazioni del COGNOME per la precedente aggiudicazione del bene alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Già questo dato oggettivo dimostrerebbe, secondo la prospettazione difensiva, che in precedenza non vi era stata alcuna gara, non essendo mai stati fissati prima criteri di valutazione delle offerte né dettate regole precise per porre i concorrenti in posizione paritaria ed in grado di conoscere gli elementi essenziali per predisporre le offerte. Infatti, il Giudice aveva lasciato ampia libertà agli amministratori, autorizzandoli a procedere alla vendita alle migliori condizioni, ed essi avevano proceduto a trattativa privata, individuando nel Di
COGNOME il potenziale acquirente, la cui offerta era stata accettata; con provvedimento del 20 luglio 2015 il Giudice aveva autorizzato la stipula del contratto, poi non conclusosi per i problemi urbanistici scoperti.
Nel periodo successivo erano state presentate offerte da altri operatori economici, tra i quali i RAGIONE_SOCIALE COGNOME il 28 ottobre 2015 e lo stesso COGNOME il novembre 2015, dopo la revoca dell’offerta dei COGNOME in data 10 novembre 2015, sicché non vi era alcuna competizione in atto nel momento in cui fu formulata l’offerta del COGNOME, rimodulata secondo le indicazioni del ricorrente, dirette unicamente ad ottenere un maggiore introito per la procedura; tuttavia, a seguito della presentazione di un’offerta migliorativa da parte della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con provvedimento del 4 gennaio 2016 il Giudice delegato l’aveva accolta, autorizzando la vendita del bene a detta RAGIONE_SOCIALE, salvo poi revocare il provvedimento a seguito delle contestazioni del COGNOME e deciso di indire una gara a buste chiuse dinanzi a sé, conclusasi con l’assegnazione del bene alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE: dato, questo, che esclude l’ipotizzata condotta del ricorrente diretta a favorire il COGNOME.
2.2. Secondo il ricorrente, pertanto, la Corte di appello ha errato nell’applicazione della norma incriminatrice e reso una motivazione apparente, in contrasto con l’orientamento di legittimità che richiede, anche per la gara atipica, l’esistenza di un atto che fissi le regole del gioco della competizione: atto inesistente nella fattispecie e non individuato dalla Corte territoriale, che ha fondato l’esistenza della gara atipica sulla circostanza di fatto della mera presenza di più offerenti, distinguendo la fase iniziale, in cui la vendita stava avvenendo nelle forme della trattativa privata, da quella successiva in cui intervenne la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE quale ulteriore offerente. Impostazione, questa, erronea ed in contrasto con l’orientamento di questa Corte, secondo il quale la pluralità di offerenti non è idonea a configurare una gara se ciascun concorrente presenti autonomamente la propria offerta e l’amministrazione conservi libertà di scegliere secondo criteri di convenienza e opportunità propri della contrattazione tra privati.
La censura è frutto di una lettura non corretta e parziale della sentenza impugnata.
La sentenza sconta la difficoltà di aver dovuto colmare le lacune della motivazione della sentenza di primo grado, appellata dal P.m., in ordine all’assoluzione del ricorrente dal reato di tentata induzione indebita, originariamente contestato al capo A), in relazione all’aumento dell’offerta di 200 mila euro, richiesto al COGNOME 1’11 novembre 2015, per sollecitarlo a presentare una controfferta, stante la presentazione, il precedente 28 ottobre, di un’offerta di 1.400.000 euro da parte della RAGIONE_SOCIALE dei NOME: condotta, questa,
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che costituisce il primo segmento delle condotte collusive integranti il reato di turbativa d’asta, contestato al capo B), proseguite, secondo l’imputazione, con il suggerimento al COGNOME, nel corso dell’incontro riservato presso lo studio del ricorrente il successivo 13 novembre 2015, di presentare un’offerta integrativa di 1.450.000 euro e, da ultimo, con la comunicazione al COGNOME il 7 dicembre successivo della circostanza che in data 18 novembre 2015 la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE aveva presentato un’offerta integrativa della precedente proposta, con aggiunta di un acconto di 100 mila euro da versare alla stipula del contratto, suggerendo al COGNOME di inserire analogo acconto nella sua offerta.
La sentenza impugnata sconta, altresì, la difficoltà di superare la sommaria e stringata motivazione della sentenza di primo grado, che, senza confrontarsi con le deduzioni difensive e la consulenza di parte, aveva ritenuto pacificamente sussistente una gara, nonostante la complessità della vicenda, che aveva avuto uno sviluppo cronologico ben più ampio del periodo indicato nel capo di imputazione e complessità correlate sia alla natura del bene, sottoposto a confisca non ancora definitiva,- non trattandosi della vendita del solo capannone, ma di un’azienda in liquidazione con necessità di salvaguardare i livelli occupazionali-, sia alle difficoltà insorte nel corso della procedura, sia alla genericità della normativa applicabile nella fattispecie.
Complessità della vicenda, stretta connessione tra le due imputazioni e ridimensionamento del quadro probatorio per le dichiarazioni testimoniali riduttive rese in sede di rinnovazione istruttoria, come indicato in sentenza, che, da un lato, hanno reso più arduo il compito ricostruttivo del giudice di appello, dall’altro, avrebbero imposto un più analitico esame dei dati documentali per ricostruire in modo puntuale la procedura e il suo sviluppo, chiarendo le modalità con le quali si svolse l’attività finalizzata alla vendita del capannone nel segmento temporale oggetto dell’imputazione.
La Corte di appello ha ritenuto che vi fosse stata una gara atipica, informale, dunque, idonea a ravvisare nelle condotte specificamente descritte nel capo di imputazione, circoscritte al periodo dall’Il novembre al 7 dicembre 2015, il reato di turbativa d’asta contestato. E’, infatti, questo il segment temporale cui si riferisce l’addebito e in tale fase la Corte di appello ha ritenuto che la procedura per la vendita del capannone avesse già assunto i caratteri della gara pubblica, sebbene atipica e informale.
Diversamente, nella prima fase poteva ritenersi che la vendita si fosse svolta nella forma della trattativa privata, non solo in ragione del fatto che i giudice aveva autorizzato gli amministratori a procedere secondo le modalità ritenute più opportune, senza fissare regole o criteri predeterminati, lasciando ampia libertà di scelta, ma anche alla luce delle dichiarazioni del COGNOME, secondo le quali fu l’ingegnere COGNOME, coadiutore del ricorrente e incaricato di
eseguire la stima, ad informarlo della messa in vendita del bene ed a metterlo in contatto con il ricorrente. È, quindi, certo che nella prima fase non vi fu alcuna gara, in quanto il COGNOME fu l’unico interessato all’acquisto che ebbe varie interlocuzioni con il ricorrente, ne seguì le indicazioni e si aggiudicò il bene, assegnatogli con provvedimento del 20 luglio 2015, poi posto nel nulla poiché a causa dei problemi urbanistici esistenti il COGNOME aveva revocato l’offerta.
Secondo la ricostruzione operata in sentenza, proprio l’annullamento della prima vendita dell’immobile al COGNOME segna il passaggio alla fase della gara informale, in quanto i criteri di selezione delle offerte, le modalità delle offerte e gli obblighi che l’acquirente si sarebbe dovuto assumere erano già fissati nel decreto del 20 luglio 2015, che autorizzava la cessione onerosa del bene.
È, quindi, infondata la censura difensiva secondo la quale la sentenza non individua in alcun modo l’elemento essenziale che consenta di configurare una gara anche atipica ovvero un atto che detti le regole, fissi il perimetro della competizione e consenta agli aspiranti concorrenti di conoscere i requisiti per la formulazione delle offerte e i criteri sui quali l’amministrazione fonderà la sua scelta.
La Corte di appello ha, infatti, rimarcato che con quel provvedimento il Giudice delegato aveva ritenuto legittima la formula del rent to buy, indicata nella proposta del COGNOME, approvato il prezzo offerto, le modalità di pagamento e gli obblighi dei potenziali acquirenti, che l’amministratore giudiziario aveva reso noti anche ad altri soggetti interessati, i quali, pertanto, sapevano di dover inviare tramite p.e.c. all’amministratore giudiziario offerte che prevedevano il pagamento del prezzo con la formula sopra indicata e l’impegno ad assumere i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE; essi, inoltre, erano informati della presentazione di offerte da parte di altri soggetti, tant’è che furono presentate varie offerte.
Non è, dunque, né assertiva né illogica la valutazione della Corte di appello, che sul punto aderisce ai principi stabiliti da questa Corte secondo i quali è pacifico che nella nozione di “gara” rientra qualsivoglia «procedura di gara, anche informale o atipica, ogni volta che la pubblica amministrazione proceda all’individuazione del contraente su base comparativa, a condizione che l’avviso informale o il bando e comunque l’atto equipollente indichino previamente i criteri di selezione e di presentazione delle offerte, ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare le regole che presiedono al confronto e i criteri in base ai quali formulare le proprie» (Sez. 6, n. 2795 del 06/12/2018, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 30730 del 28/03/2018, COGNOME e altro; Sez. 6,
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n. 9385 del 13/04/2017, dei). 2018, Giugliano, Rv. 272227; Sez. 6, n. 8044 del 21/01/2016, COGNOME, Rv. 266118).
È principio consolidato che il delitto di turbata libertà degli incanti facci riferimento a qualsivoglia tipo di gara mediante la quale la pubblica amministrazione si determini per la scelta del contraente allo scopo di selezionare la fornitura più vantaggiosa per le proprie esigenze e più adeguata ai propri interessi pubblici orientati al buon andamento. Ciò comporta che le locuzioni “gara nei pubblici incanti” o “licitazioni private” non hanno un significato normativo mutuato dalle procedure per l’aggiudicazione degli appalti per le pubbliche forniture e con l’osservanza dei termini e delle disposizioni legislative sulla contabilità dello Stato, dovendo essere riferite ad ogni procedura di gara, anche informale e atipica, mediante la quale la singola pubblica amministrazione decida di individuare il contraente e concludere un contratto che assicuri una libera competizione tra più concorrenti. In tal senso, questa Corte si p ripetutamente espressa, affermando che il reato di turbata libertà degli incanti è configurabile in ogni situazione nella quale la pubblica amministrazione proceda all’individuazione del contraente mediante una gara, quale che sia il “nomen juris” conferito alla procedura ed anche in assenza di formalità, e che la norma si estende alle cosiddette “gare esplorative”, inerenti a una trattativa provata autoregolamentata dalla pubblica amministrazione mediante forme procedimentali attuative di un meccanismo selettivo delle offerte.
Logico corollario di tale principio è quello secondo il quale «non può dirsi integrata una gara per il solo fatto della pluralità dei soggetti interpellati, quand ciascuno di costoro presenti indipendentemente la propria offerta e l’amministrazione conservi piena libertà di scegliere secondo criteri di convenienza e opportunità propri della contrattazione tra privati» (Sez. 6, n. 44829 del 22/09/2004, COGNOME Vincenzo, Rv. 230522).
5. Tuttavia, se sin qui è condivisibile e lineare il ragionamento della Corte di appello, che valorizza le dichiarazioni del Giudice delegato secondo le quali il decreto del 20 luglio 2015 era stato emesso sulla scorta della consulenza dell’ingegnere COGNOME del 2 febbraio 2015 e delle relazioni degli amministratori del 12 e 17 luglio 2015, risulta, invece, meno preciso nella ricostruzione della tempistica dei fatti successivi, essenziale per sciogliere il nodo centrale della vicenda e verificare le modalità con le quali le suddette condizioni furono portate a conoscenza degli altri potenziali acquirenti.
Sul punto la sentenza è assertiva, non precisa alcuni dati e finisce per risultare contraddittoria, pur dovendosi, al contempo, rilevare che la prospettazione difensiva è fondata su un’analisi parcellizzata del materiale probatorio.
La sentenza non spiega come mai la “RAGIONE_SOCIALE” presentò un’offerta, subito esclusa, appena il 23 luglio 2015, in quanto la tempistica rimanda ad un’informazione precedente e di diverso tenore rispetto alle condizioni fissate nel provvedimento del 20 luglio 2015; nulla dice delle altre offerte presentate – cinque, secondo le dichiarazioni rese dal Giudice delegato, di cui tre di vendita e due di rent to buy (formula ritenuta preferibile nel caso di specie perché avrebbe consentito di sanare gli abusi edilizi e risolvere i problemi dell’ipoteca iscritta)-, il cui contenuto avrebbe potuto chiarire i tempi e l modalità con le quali i concorrenti avevano ottenuto informazioni sulle condizioni di vendita, specificando, in particolare, quali forme di pubblicità furono utilizzate; neppure chiarisce le ragioni della revoca in data 10 novembre 2015 dell’offerta della RAGIONE_SOCIALE, presentata appena il 28 ottobre 2015 con un prezzo di acquisto più elevato di quello originariamente offerto dal Di COGNOME e, quindi, sicuramente più favorevole per la procedura, né dà conto della revoca dell’offerta del COGNOME in data 4 novembre 2015 (documento 19 allegato al ricorso), omettendo altresì di spiegare le ragioni per le quali, a fronte dell’offerta formulata il 13 novembre 2015 dal COGNOME secondo i suggerimenti e le indicazioni del ricorrente, modulata su quella dei COGNOME ed unica in quel momento, la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE formulò una offerta migliorativa, appena 5 giorni dopo, offrendo condizioni migliori, nuovamente suggerite al COGNOME il successivo 7 dicembre 2015, che rimodulò l’offerta, allineandola a quella del concorrente, inserendovi l’acconto.
Il punto critico della motivazione è ravvisabile nei vuoti relativi alla comunicazione tra amministratori e potenziali acquirenti, essenziale per comprendere le ragioni dei progressivi aggiustamenti delle offerte, chiarire se anche gli altri offerenti furono in grado di conoscerle, atteso che lo stesso ricorrente, nel colloquio dell’Il novembre 2015, riportato in sentenza, riferiva al COGNOME che “erano ancora in quattro” a competere, in tal modo ammettendo, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, che vi era una gara, sebbene informale, e offerte ancora da valutare, in quanto ancora da sottoporre al giudice entro il termine per la presentazione delle relazioni periodiche. Soprattutto, la sentenza non chiarisce quali informazioni avevano ricevuto i RAGIONE_SOCIALE e se anche a loro era stata prospettata la presenza di altri offerenti.
5.1. Se quindi, da un lato, la sentenza non approfondisce tali aspetti, dall’altro, il ricorso segmenta la vicenda e offre una lettura selettiva dei fatt trascurando di considerare che se è vero che l’art. 60 I. n. 159 del 2011, cui rimanda l’art. 104 bis disp. att. cod. proc. pen., applicabile alla fattispecie come dichiarato dal Giudice delegato, non prevede una procedimentalizzazione della procedura di vendita di beni sottoposti a sequestro e confisca, limitandosi a prevedere il ricorso a procedure competitive sulla base del valore di stima
risultante dalle relazioni degli amministratori o da stime di esperti, è altrettanto vero che la stessa norma prevede che, con adeguate forme di pubblicità, sono assicurate, nell’individuazione dell’acquirente, la massima informazione e partecipazione degli interessati e che la vendita è conclusa previa acquisizione del parere ed assunte le informazioni di cui all’articolo 48, comma 5, ultimo periodo. È, inoltre, previsto che, se la vendita non è ancora conclusa, possono intervenire offerte irrevocabili di acquisto migliorative con una predeterminata percentuale di aumento del prezzo.
Infondata è anche la censura formulata in relazione al decreto del 4 gennaio 2016.
Il riferimento contenuto in sentenza a detto provvedimento, pacificamente fuori dal perimetro d’accusa, in realtà è solo diretto a dimostrare che era in atto una procedura di gara, ancorché atipica, tra due offerenti, cioè solo quelli che avevano proposto la formula di acquisto indicata nel decreto del 20 luglio 2015 /e ad evidenziare che nel provvedimento del 4 gennaio 2016 il Giudice aveva confermato le condizioni e i criteri valutativi già contenuti nel decreto del luglio precedente, sicché risulta infondata la censura del ricorso a detto provvedimento, pacificamente valutativo delle offerte e non di fissazione dei criteri di selezione delle offerte, che, come già detto, la sentenza impugnata ha individuato nel decreto del 20 luglio 2015, ignorato dal ricorso.
Analogamente fuori dal perimetro d’accusa è il provvedimento del 3 febbraio 2016 che, come già detto, per il ricorrente dimostra che in precedenza non vi era alcuna gara, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di appello, che ha, invece, valorizzato le dichiarazioni del Giudice delegato, che aveva precisato di aver “rifatto la gara” dopo i dubbi espressi dal COGNOME sulla correttezza della procedura (“a quel punto mi ero resa conto che la gara si doveva fare dinanzi a me con le buste chiuse e dovevo gestirla io punto. Questo è stato l’intento con il quale io ho rifatto la gara”). Dichiarazioni, queste, ritenute confermative dell’esistenza di una gara già in corso, solo proseguita dinanzi al Giudice a causa dei dubbi e dei sospetti avanzati da un partecipante. Peraltro, benché effettivamente il provvedimento fissava in modo chiaro e preciso le condizioni e il termine per la presentazione delle offerte, la Corte di appello le ha ritenute meramente confermative di criteri già noti ai due offerenti che avevano presentato le offerte, come, peraltro, dagli stessi ammesso, al fine di sostenere che già prima erano noti i criteri di selezione delle offerte ed escludere che quella del 3 febbraio 2016 fosse una nuova gara.
5.2. Ciò posto, deve ritenersi ancora irrisolto il punto critico indicato in precedenza, ovvero che il ricorrente avesse reso noti i requisiti e i criteri di selezione delle offerte, che danno avvio alla fase partecipativa e competitiva e che la sentenza impugnata individua nel decreto del 20 luglio 2015, a tutti i
potenziali acquirenti in modo da porre i concorrenti in condizioni paritarie per competere, tenendo conto della peculiarità del bene in liquidazione, delle problematiche emerse, della necessità di salvaguardare la forza lavoro e di massimizzare il ricavato della vendita di un bene confiscato non in via definitiva.
La lacuna va colmata mediante l’analisi delle dichiarazioni dei partecipanti e degli atti della procedura, del contenuto delle offerte, delle proposte migliorative e della tempistica delle stesse, investendo un profilo di rilievo potenzialmente assorbente, trattandosi di elemento indispensabile al fine di verificare se nella fattispecie fosse in corso una gara informale, atipica, e non una semplice comparazione di offerte non vincolante per la pubblica amministrazione, come si sostiene nel ricorso.
Posto, infatti, che gara significa competizione, secondo il risalente orientamento di questa Corte deve ritenersi sussistente una gara anche in quelle procedure amministrative cosiddette “informali” o di “consultazione” nelle quali la pubblica amministrazione fa dipendere l’aggiudicazione di opere, forniture o servizi dall’esito dei contatti avuti con persone fisiche o rappresentanti di quelle giuridiche che, consapevoli delle offerte di terzi, propongono le proprie condizioni quale contropartita di ciò che serve alla pubblica amministrazione. In tal caso non vi è trattativa privata, perché la consapevolezza per l’offerente di non essere il solo innesca quella contesa che è essenziale in ogni gara (Sez. 6, n. 4741 del 31/10/1995, dep. 1996, COGNOME e altri, Rv. 204646).
Elemento qualificante della gara è, pertanto, la circostanza che le persone che vi partecipano, consapevoli delle offerte di terzi, propongono le proprie condizioni quale contropartita di ciò che serve alla pubblica amministrazione, ciò da cui discende la consapevole contesa che dà contenuto alla gara (v. Sez. 6, n. 32237 del 13/3/2014, COGNOME, sul punto non massimata). Infatti, in difetto, di una reale e libera competizione tra più concorrenti non è a parlarsi di gara, come nel caso in cui singoli potenziali contraenti, individualmente interpellati, presentino ciascuno le proprie offerte e l’amministrazione resti libera di scegliere il proprio contraente secondo criteri di convenienza e di opportunità propri della contrattazione tra privati (Sez. 6, n. 12238 del 30/09/1998, COGNOME e altro, Rv. 213033; principio ribadito ancora di recente da Sez. 6, n. 32319 del 24/05/2023, COGNOME contro COGNOME e altri, n.m.).
Ribadito, pertanto, che il reato di turbata libertà degli incanti non è configurabile nell’ipotesi di contratti conclusi dalla pubblica amministrazione a mezzo di trattativa privata che sia svincolata da ogni schema concorsuale, a meno che la trattativa privata, al di là del “nomen juris”, si svolga a mezzo di una gara, sia pure informale, la possibilità di turbare la gara esiste solo laddove sussista la possibilità di influenzare negativamente il regolare funzionamento di
questo meccanismo competitivo; se esso manca, non essendovi una gara, dovrà necessariamente escludersi una sua turbativa.
Alla luce di detti principi e della lacuna motivazionale rilevata sui punti indicati, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio che dovrà eliminare i vizi riscontrati, assorbiti tutti gli altri motivi.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso, 9 luglio 2024