Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22923 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22923 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato il DATA_NASCITA a RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del 20/07/2023 della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE riduceva la pena irrogata a NOME COGNOME a otto mesi di reclusione e 344,00 euro di multa, confermandone nel resto la condanna in primo grado per il delitto di turbativa d’asta (art. 353, commi 1 e 2, cod. pen.).
NOME COGNOME ha presentato ricorso, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, deducendo i seguenti tre motivi.
2.1. Violazione di legge penale in rapporto al concorso di persone nel reato di turbativa d’asta.
La Corte d’appello non avrebbe adeguatamente replicato alle osservazioni della difesa, precisando ruolo, condotta e contributo causale offerto alla realizzazione dell’evento-reato, a titolo di concorso, dall’imputato, del quale emerge soltanto una condotta passiva – suscettibile, al più, di configurare una connivenza non punibile – e la cui responsabilità sarebbe stata desunta da conversazioni telefoniche tra soggetti terzi coinvolti nel disegno illecito sulla cu base i Giudici dell’appello hanno ipotizzato, nell’imputato, l’implicita conoscenza e la volontà di manipolare e regolare la procedura di gara.
Neppure emergerebbe, quindi, il dolo del concorso, che deve consistere nella consapevolezza e volontà di concorrere alla realizzazione dello specifico delitto.
In particolare, la Corte avrebbe fornito una risposta solo apparentemente puntuale alle deduzioni difensive con specifico riferimento a quanto riferito dai testi COGNOME e COGNOME.
2.2. Vizio di motivazione in relazione ai criteri di valutazione delle prove.
Non sarebbe stato raggiunto lo standard penalistico dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio” (art. 530, comma 2, cod. proc. pen.), non avendo i Giudici replicato alle eccezioni difensive che avevano escluso qualsiasi rapporto di favoreggiamento o agevolazione alla società favorita dalla gara (“RAGIONE_SOCIALE“).
La Corte avrebbe, infatti, artificiosamente decontestualizzato le conversazioni dal cui senso unitario non si evinceva il contributo alla realizzazione del disegno criminoso del ricorrente ed alcune delle guaii ne avevano, anzi, espressamente escluso la partecipazione. Al più, tali conversazioni avrebbero potuto essere considerate come indizi che, tuttavia, non avevano i requisiti richiesti dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
2.3. Violazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla concessione della non menzione della condanna nel certificato giudiziale.
In appello era stata invocata la valutazione di circostanze fattuali, l’estraneità dell’imputato all’esecuzione del delitto, il suo comportamento collaborativo, l’assenza di precedenti penali.
La Corte di appello ha negato le circostanze attenuanti generiche alla luce delle modalità della condotta, estrinsecantesi in plurimi contatti con i soggetti privati, in particolare con la COGNOME, che gli avrebbero consentito di veicolare
informazioni rilevanti, e del ruolo rivestito dall’imputato, tralasciando, quindi, valutare tutti gli indici dell’art. 133 cod. pen.
La stessa argomentazione è stata usata dai Giudici dell’appello per negare il beneficio della non menzione della condanna nel certificato giudiziale, violando pure in questo caso i criteri dell’art. 133 cod. pen. ed incorrendo, oltretutto, in u bis in idem sostanziale.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta, nei termini ivi previsti, di discussione orale, il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
Hanno presentato conclusioni scritte rimputato, esprimendosi per il rigetto delle deduzioni del AVV_NOTAIO Generale e l’accoglimento d& ricorso, nonché la parte civile RAGIONE_SOCIALE, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto, invece, che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è reiterativo e sollecita una rivalul:azione delle prove preclusa in sede di legittimità, vieppiù in presenza di una motivazione completa, non manifestamente illogica né contraddittoria, con cui non si confronta.
2.1. Infatti, nella sentenza si dà atto che COGNOME era un coordinatore infermieristico di sala operatoria, responsabile della revisione del processo di gestione informatizzata dell’approvvigionamento e dello stoccaggio di materiali in uso ai blocchi operatori, tra le cui funzioni rientrava fronteggiare con urgenza la gestione della teliera e dei camici sterili del presidio cui era addetto, e ch intervenne nella sola fase di valutazione dei beni, come componente della commissione di gara che già esisteva.
La sentenza di appello precisa, inoltre, che egli fu dapprima indicato quale soggetto non manovrabile, ma che successivamente si accertò come fosse in costante contatto con esponenti della ditta (‘RAGIONE_SOCIALE“) la quale agì per ottenere e che, in effetti, ottenne l’aggiudicazione della commessa dei camici chirurgici sterili monouso per vari servizi delle RAGIONE_SOCIALE torinesi.
2.2. Ciò premesso, è vero che il compendio probatorio non comprende dirette intercettazioni del COGNOME.
Precisato, tuttavia, che le dichiarazioni auto- ed etero-accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e che, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714, Sebbar), nel caso di specie: il compendio probatorio di cui si è detto si compone di numerose captazioni tra gli altri imputati (soprattutto COGNOME e COGNOME, entrambe agenti della “RAGIONE_SOCIALE“) da cui si desume che COGNOME fornì informazioni rilevanti relative alle gare sui tempi, sui concorrenti “scremati” e che ricevette da loro indicazioni sull’assegnazione ai camici della “RAGIONE_SOCIALE” di almeno dieci punti in più rispetto alle altre ditte; le conversazioni in oggetto – come precisa ampiamente la sentenza impugnata – si riscontrano reciprocamente; i Giudici dell’appello considerano – a ragione – dirimente il fatto che la ditta istruì i membr della commissione su come collegare i punti alle caratteristiche dei prodotti e dalle tabelle di valutazione del COGNOME emerse la stretta c:oincidenza con le indicazioni fornite dai soggetti privati.
Il motivo deve essere dichiarato, in conclusione, inammissibile.
Quanto al secondo motivo di ricorso, le Sezioni unite di questa Corte hanno precisato che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli arti. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limit all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027).
Ciò è quanto fatto dal ricorrente, il quale, deducendo questo motivo, ha in realtà chiesto una rivalutazione del compendio probatorio già apprezzato dai Giudici di merito, con motivazione, come poc’anzi osservato, esente da vizi.
Anche il secondo motivo va, quindi, dichiarato inammissibile.
Lo stesso deve dirsi, infine, del terzo motivo, concernente il diniego delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della non menzione nel certificato giudiziale.
Procedendo per gradi e premesso che la Corte d’appello ha argomentato, in entrambi i casi, dalla modalità della condotta, estrinsecatasi – si precisa – i plurimi e continui contatti con i soggetti privati, che hanno consentito agli stessi di essere costantemente aggiornati sul progredire del procedimento, secondo l’insegnamento consolidato di legittimità in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito formula un giudizio di fatto la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché – come nel caso di specie – sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
Neppure rileva che la Corte d’appello abbia fatto riferimento soltanto alle modalità della condotta. Sempre secondo questa Corte di legittimità, infatti, nel motivare il diniego della concessione di tali attenuanti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che egli faccia riferimento quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattes superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
Infine, e contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non concreta un bis in idem sostanziale l’aver valutato la condotta dell’imputato (oltre che per escludere le attenuanti generiche, anche) ai fini del diniego del beneficio della non menzione, solo che si rifletta sul fatto che tali ragioni avrebbero potuto addirittura ritenersi implicite nella motivazione con cui il giudice neghi le circostanze attenuanti generiche richiamando i profili di pericolosità del comportamento dell’imputato, dal momento che il legislatore fa dipendere la concessione dei predetti benefici dalla valutazione degli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Abbate, Rv. 280244; Sez. 3, n. 26191 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 276041).
5. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio della parte civile RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro 3.686, oltre accessori di legge.
Così deciso il 07/05/2024