Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9250 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9250 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 26/09/1978 NOMECOGNOME nata a Caserta il 30/06/1981
avverso la sentenza del 22/03/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
lette le richieste dell’avvocato NOME COGNOME della parte civile RAGIONE_SOCIALE che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 110 e 353 cod. pen. per aver turbato la gara pubblica indetta dalla Fondazione “San Giuseppe”,
già IPAB- Asilo infantile di Tuoro, di cui la COGNOME era direttore amministrativo, per il restauro e la ristrutturazione edilizia dell’immobile sede dell’ente, gara vinta dalla RAGIONE_SOCIALE, di cui COGNOME era amministratore.
La Corte di appello di Napoli ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per essere il reato loro ascritto estinto per intervenuta prescrizione e ha confermato le statuizioni civili, limitatamente ai profili attinenti al danno morale.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME e di NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce che la sentenza impugnata non contiene alcuna motivazione in ordine al primo motivo di appello, con cui si denunciava la mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza. Rileva il difensore che agli imputati viene contestato il reato di turbativa d’asta posto in essere attraverso collusioni, e precisamente accordi clandestini con i componenti della commissione di gara, con il segretario di tale commissione e con il progettista dell’opera. La sentenza di primo grado ha ritenuto la gara «sotto il profilo della valutazione delle offerte, svolta in modo regolare» e ha fondato la responsabilità dei ricorrenti su una condotta del tutto diversa da quella contestata, consistita nel fatto che, prima della gara, NOME COGNOME, componente del consiglio di amministrazione della fondazione “San Giuseppe”, si è dimesso, mentre la moglie NOME COGNOME, già amministratrice della società RAGIONE_SOCIALE, ha trasferito le proprie quote al marito che, in virtù della pregressa appartenenza alla fondazione, ha usufruito della conoscenza dello stato dei luoghi e del progetto a base del bando di gara. All’imputata COGNOME viene, invece, addebitata l’omessa astensione dal proprio ruolo all’interno della fondazione, una volta che il marito aveva preso parte alla gara.
La sostanziale difformità tra il fatto contestato e il fatto per il quale è intervenuta condanna è stata dedotta in appello ma la doglianza non è stata presa in esame.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce il vizio di travisamento della prova. Nella prospettazione difensiva la deduzione secondo cui la pregressa conoscenza dei luoghi dell’imputato COGNOME titolare della ditta aggiudicataria, avrebbe determinato l’alterazione della gara, costituendo un vantaggio sugli altri concorrenti, è del tutto apodittica, in quanto non trova alcun fondamento delle prove assunte.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce il vizio di difetto di motivazione in relazione alla omessa pronuncia di sentenza assolutoria ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. La Corte ha escluso l’evidenza dell’innocenza degli imputati, in primo luogo, dando rilievo al vantaggio conoscitivo di NOME COGNOME e, in secondo luogo, valorizzando il conflitto di interessi dell’imputata COGNOME. Sotto il primo profilo, la difesa rileva che non risulta dagli atti che privilegio conoscitivo sia stato elemento concretamente in grado di alterare la par condicio tra i partecipanti; sotto il secondo profilo, deduce che la ricorrente COGNOME non ha preso parte ad alcun atto di gara e che, anche a voler ritenere sussistente un conflitto di interessi, esso non è stato idoneo a porre concretamente in pericolo la par condicio tra i partecipanti, tenuto conto che lo stesso Tribunale ha esplicitamente escluso che vi sia stato qualsiasi tipo di condizionamento sui membri della commissione esaminatrice.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce il vizio di travisamento della prova in relazione alla partecipazione del ricorrente NOME COGNOME all’approvazione del progetto posto a base del bando. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, l’imputato ha dato le dimissioni nel luglio 2014, prima dell’approvazione del bando da parte della Regione Campania, avvenuta nell’agosto 2014. La circostanza che le dimissioni siano state ratificate soltanto nel settembre 2014 è dovuta a ragioni indipendenti dalla volontà degli imputato e determinate dalla mancata riunione del consiglio di amministrazione prima di quella data.
2.5 Con il quinto motivo di ricorso si riduce il vizio di violazione dell’art. 7 d.P.R. 62/2013 in tema di obbligo di astensione dei dipendenti pubblici.
Rileva la difesa che, in epoca precedente alla gara, la fondazione “San Giuseppe” si è trasformata da IPAB in ente giuridico di diritto privato, per cui i suoi dipendenti non sono assoggettati alla disciplina di cui al d.P.R. 62/2013; né essa è qualificabile come organismo di diritto pubblico, per difetto del requisito della sottoposizione all’influenza dominante della pubblica amministrazione. Aggiunge che, in ogni caso, è illogico sostenere la violazione dell’obbligo di astensione in quanto l’imputata NOME COGNOME non ha posto in essere alcuna condotta, da cui avrebbe eventualmente astenersi, nello svolgimento della gara.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e il difensore della parte civile hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicato.
pc
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Con il primo motivo si denuncia il difetto di motivazione in ordine alla censura di difetto di correlazione tra imputazione e sentenza.
Tale vizio, laddove esistente, integrerebbe una nullità; tuttavia, va stabilito se esso sia rilevabile anche nel caso in cui il procedimento sia definito con sentenza dichiarativa della prescrizione.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili né nullità di ordine generale, né vizi di motivazione della decisione impugnata, dal momento che l’inevitabile rinvio determinerebbe comunque per il giudice l’obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione (Sez. un., 28 novembre 2001, n. 1021, Cremonese) e ciò anche se la sentenza di prescrizione abbia pronunciato condanna agli effetti civili, qualora il ricorso non contenga alcun riferimento ai capi concernenti gli interessi civili, come accade nel caso di specie (Sez. 6, Sentenza n. 23594 del 19/03/2013, COGNOME, Rv. 256625 01).
Il primo motivo di ricorso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile.
Il secondo motivo di ricorso, con i deducono vizi di motivazione della sentenza di prescrizione, non supera il vaglio di ammissibilità per i medesimi motivi.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha escluso la possibilità di emettere sentenza assolutoria ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. per mancanza del requisito dell’evidenza dell’innocenza degli imputati.
Su punto va premessi che il delitto di cui all’art. 353 cod. pen. è reato di pericolo concreto che si configura quando le condotte di tipo collusivo, violento o decettivo si siano manifestate in una minaccia concreta per la libera concorrenza, determinando un rischio di alterazione del corso degli incanti (Sez. 6, n. 12333 del 01/03/2023, Valentino, Rv. 284572 – 01). L’evento del reato è infatti integrato, oltre che dall’impedimento della gara o dall’allontanamento degli offerenti, anche dal mero turbamento, consistente in una alterazione del regolare svolgimento, a condizione che tale condotta sia idonea a ledere i beni giuridici protetti dalla norma, che si identificano con l’interesse pubblico alla libera concorrenza ed alla maggiorazione delle offerte.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali criteri, rilevando che, nel caso di specie, vi è stata una alterazione del regolare svolgimento della gara, correlata alla asimmetria informativa dell’imputato NOME COGNOME rispetto agli altri partecipanti, in ragione del maggiore lasso di tempo di cui aveva usufruito per elaborare la propria offerta e della decisiva circostanza che aveva partecipato, unitamente alla moglie, all’approvazione del progetto, di cui conosceva i dettagli (il 04/10/2014 il consiglio di amministrazione della fondazione, di cui entrambi gli imputati facevano parte, ha esaminato gli atti progettuali, il quadro economico e il cronoprogramma, approvando il progetto).
La ricorrente NOME COGNOME era il dirigente amministrativo della fondazione, anche se non era parte della commissione aggiudicatrice, ha partecipato all’approvazione del progetto, poi vinto dalla società di cui è stata amministratrice fino al 24/09/2014, quando ha donato le quote al marito, che aveva appena rassegnato le dimissioni dal consiglio di amministrazione della fondazione.
La commissione aggiudicatrice, inoltre, era presieduta dalla coimputata NOME COGNOME legata agli imputati da vincoli di frequentazione abituale e priva ella professionalità necessaria, tanto che è stato nominato un aiuto RUP.
5. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Dalla sentenza impugnata, infatti, risulta che le dimissioni del ricorrente NOME COGNOME da componente del consiglio di amministrazione della fondazione risalgono al mese di luglio del 2014 ma sono state ratificate e trasmesse alla Regione Campania solo il 08/10/2014, e quindi successivamente alla data del bando di gara (15/09/2014).
Il sesto motivo di ricorso è inammissibile per difetto di correlazione tra le ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione.
Infatti, la sentenza impugnata non fonda la condanna dell’imputata NOME COGNOME sulla violazione dell’obbligo di astensione, dando piuttosto rilievo alla condotta fraudolenta complessivamente considerata, ossia a una serie di atti (approvazione degli atti progettuali unitamente al marito; donazione delle quote della RAGIONE_SOCIALE al marito, che contestualmente si era dimesso dal consiglio di amministrazione della fondazione; partecipazione alla gara della società RAGIONE_SOCIALE, assegnataria; posizione di vertice – direzione amministrativa- nell’ente appaltante) che «risultano chiaramente volte ad occultare la contiguità, se non l’intraneità della società RAGIONE_SOCIALE, riconducibile al COGNOME e alla COGNOME, all’ente appaltante».
In conclusione, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili. Alla declaratoria inammissibilità conseguono l’obbligo al pagamento delle spese processuali, la condanna al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende nonché l’obbligo di rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, spese che vanno liquidate, com da richiesta, in euro 1891,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel present giudizio dalla parte civile, RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, che liquida in complessivi euro 1891,00, così come richiesto, oltre accessori d legge.
Così deciso il 29/01/2025