Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 16979 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 16979 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
/1. Marchio NOMECOGNOME nato a Lamezia Terme il 24/05/1966
COGNOME NOMECOGNOME nato a Penne il 23/05/1973
COGNOME NOMECOGNOME nato a Sarnico il 11/05/1960
avverso la sentenza del 13/03/2024 della Corte di appello di Cagliari, Sez. dist. Sassari visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per essere il reato estinto per prescrizione, ed il rigetto del ricorso di NOME COGNOME; uditi i difensori di COGNOME e di COGNOME, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei loro ricorsi, associandosi, in subordine, alle richieste del Procuratore generale; udito il difensore di COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per
l’accoglimento dei motivi d ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Sezione distaccata di Sassari della Corte di appello di Cagliari confermava la sentenza del 7 giugno 2021 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Nuoro, che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 110 e 353-bis cod. pen. agli stessi ascritti alla pena mesi sei di reclusione e trecento euro di multa ciascuno.
In particolare, i primi due imputati erano stati ritenuti responsabili del capo 2) e il terzo del capo 7).
Secondo quanto enunciato al capo 2), gli imputati COGNOME e COGNOME, in concorso con il Presidente, NOME COGNOME COGNOME e il Direttore, NOME NOME COGNOME del Consorzio Industriale Provinciale di Nuovo (di seguito, C.I.P.) – giudicati separatamente – avevano, con collusioni, turbato il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando di gara o altro atto equipollente per l’affidamento da parte del C.I.P. di una consulenza specialistica per la progettazione di un impianto per il trattamento di rifiuti; incarico prodromico alla realizzazione dei lavori per la realizzazione di una piattaforma per il trattamento dei rifiuti, finanziata dalla Regione Sardegna con uno stanziamento di due milioni e mezzo di euro, e alla cui effettuazione era stato delegato il C.I.P. di Nuoro con determinazione della Direzione Generale dell’Assessorato all’Industria n. 44052 del 30 dicembre 2015, cosicché l’effettuazione da parte di COGNOME della relativa progettazione avrebbe garantito alle società riconducibili al Marchio una posizione di vantaggio nella gara per la realizzazione dell’opera (tra 12 giugno e 7 luglio 2017).
In base al capo 7), l’imputato COGNOME in concorso con il Presidente e il Direttore del C.I.P., sopra indicati – giudicati separatamente – aveva, con collusioni, turbato il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando di gara o altro atto equipollente per la concessione del diritto di superficie di alcune aree da destinare ad impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile e condizionare le modalità di scelta del contraente: in particolare, andato deserto il bando di gara del 12 aprile 2018 e, nonostante fossero in seguito pervenute manifestazioni di interesse di alcuni imprenditori sul lotto di terreni, venivano indetti due bandi escludendo i terreni di interesse del COGNOME, titolare dell’Antica Fornace (che non intendeva destinarli alla suddetta finalità), con la quale veniva instaurata sin dal giugno 2018 una trattativa privata per l’assegnazione dei suddetti terreni (dal 14 giugno 2018 al 3 ottobre 2018).
Avverso la suddetta sentenza, con atti distinti, hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
I difensori di COGNOME e COGNOME (avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME) hanno proposto alcuni motivi che declinano censure comuni, che possono pertanto essere illustrate congiuntamente.
3.1. Vizio di motivazione in relazione alle questioni dedotte con l’appello.
La sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado ripercorrendola fedelmente e riproducendola a tratti anche graficamente, senza tenere in alcuna considerazione gli elementi di criticità segnalati con l’appello.
3.2. Inutilizzabilità delle intercettazioni ex art. 270 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Va premesso che le intercettazioni costituiscono il fondamento del postulato accusatorio per entrambi i ricorrenti e le rispettive difese avevano sollevato con l’appello la questione della loro inutilizzabilità con riferimento all’art. 270 cod. pro pen. (in quanto autorizzate in un procedimento diverso) e all’art. 407 cod. proc. pen. (per il superamento dei termini massimi delle indagini preliminari).
La Corte di appello ha escluso entrambi i profili di inutilizzabilità con motivazione non condivisibile ed erronea in diritto.
3.3. Inutilizzabilità dei tabulati telefonici; violazione dell’art. 191 cod. pro pen. in relazione all’art. 132 d.lgs. 196 del 2003; , GLYPH vizio di motivazione.
Sebbene abbiano valore neutro, le sentenze di merito hanno utilizzato gli esiti dei tabulati telefonici (per le contestazioni all’Ing. NOME e nell’interrogatorio)
Si rammentano i principi dettati dalla sentenza della Corte di giustizia U.E. n. 746 del 2021, che hanno trovato attuazione nell’intervento normativa del d.l. 30 settembre 2021, che ha novellato l’art. 132 del d. Igs. n. 196 del 200, introducendo una procedura giudiziaria per l’acquisizione dei tabulati telefonici, garantita dalla sanzione della inutilizzabilità.
Nella specie, difetta il provvedimento del giudice e la risposta sul punto della Corte di appello è illogica ed errata.
3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62-bis, 133 e 175 cod. pen.
Censurabile è la motivazione anche sul fronte del trattamento sanzionatorio. Immotivato è il diniego delle attenuanti generiche, a fronte di soggetto incensurato e che ha tenuto un buon comportamento processuale. La risposta è apodittica. Parimenti immotivato è il diniego della non menzione basato su non meglio precisate ragioni di opportunità.
I difensori di COGNOME hanno inoltre proposto i seguenti motivi di annullamento.
4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 353-bis cod. pen.
Il Giudice per le indagini preliminari aveva assolto il ricorrente con la formula “il fatto non sussiste” dal reato di corruzione descritto al capo 1).
La assoluzione determinava pertanto l’insussistenza del fatto storico contestato relativo all’affidamento della consulenza tecnica specialistica di cui al capo 2).
Secondo il Giudice per le indagini preliminari, difettava la prova che vi fossero stati condizionamenti del processo amministrativo culminato con l’affidamento della consulenza. Già il Giudice per le indagini preliminari in sede cautelare aveva escluso che il Marchio avesse effettuato alcuna promessa di danaro (il che ridondava anche sul capo 2).
Le due contestazioni erano infatti formulate in via alternativa e pertanto l’assoluzione dal capo 1) non poteva non riversare i suoi effetti sul capo 2).
Sul punto la Corte di appello ha motivato in modo errato e carente.
Ha infatti affermato che il primo giudice non avrebbe dovuto assolvere il ricorrente dal capo 1), poiché le intercettazioni avevano rivelato in modo inequivocabile sia gli affari in corso gestiti dal Sabatino con il C.I.P. sia l’accor collusivo da questi realizzato con la sua opera di intermediazione.
Inoltre, la Corte di appello ha travisato il dato probatorio del messaggio (sms) del 7 luglio 2017 quanto al ruolo del ricorrente fche non era partecipe al messaggio (il messaggio intercorreva in realtà tra COGNOME e COGNOME). Né è possibile sostenere che quella risposta sia il contenuto della chiamata tra Sabatino e Marchio del 7 luglio 2017 tra Sabatino e COGNOME.
Il ricorrente è solo “evocato” nei suddetti messaggi con l’appellativo di “bmw”. Quindi tale dato non ha alcun valore di prova, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di intercettazioni di dialoghi tra terzi (Sez. n. 3882 del 2012).
/ 1 Quanto alla configurabilità del reato contestato, nel caso in esame, difetta la condotta che deve caratterizzare la turbativa: violenza, minaccia, doni o promesse, collusioni.
E’ valorizzato dalla Corte di appello un messaggio del 6 luglio 2017, che la sentenza di primo grado, nel valutare complessivamente i messaggi, aveva definito “equivoco” (“frasi scarne ed equivoche”) ed inidoneo a provare l’accordo corruttivo sull’opera in questione.
Lo stesso Giudice per le indagini preliminari aveva motivato sul capo 2) in modo apparente: dal mero legame tra COGNOME e COGNOME era fatta derivare una posizione di vantaggio del primo nella gara; né le frasi del COGNOME sono dirette a COGNOME (l’uso del “noi” è di per sé equivoco e in ipotesi attribuibile alla compagine della sua società); lo scambio di messaggi del 18 aprile 2017 non riguardava una vicenda collusiva (la difesa aveva collegato tali frasi alla vicenda COGNOME di cui a capo 3); il ricorrente ebbe a rifiutare la proposta corruttiva relativa al medesimo oggetto del reato sub 2).
In definitiva, manca nella sentenza impugnata la prova della presenza dei mezzi tassativamente indicati dalla fattispecie penale e del dolo specifico che non può essere ricavata da due messaggi neutri.
La Corte di appello, oltre ad attribuire lo scambio di messaggi del 7 luglio a Marchio, lo indica come protagonista dell’accordo collusivo che era stato escluso per il capo 1), ravvisa il mezzo fraudolento in una condotta del tutto sganciata dal punto di vista temporale con il conferimento dell’incarico e il vantaggio del ricorrente in modo apodittico, senza indicare la concreta condotta inquinante.
I difensori di COGNOME hanno inoltre proposto i seguenti motivi di annullamento.
5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 353-bis cod. pen.
La motivazione sulla penale responsabilità del ricorrente non corrisponde all’addebito contestato, nel quale l’epoca dei fatti è individuata tra il 12 giugno e1 7 luglio 2017. L’incarico al ricorrente, oggetto della turbativa, è stato invece affidato successivamente ? ovvero nel settembre 2017.
In ogni caso, difetta la condotta materiale che deve caratterizzare la turbativa: violenza, minaccia, doni o promesse, collusioni.
Il fatto collusivo, unica ipotesi nella specie astrattamente configurabile, è insussistente.
E’ stata valorizzata una captazione del 16 novembre 2017 tra il ricorrente e COGNOME. Peraltro, non è sufficiente la esistenza di un legame tra il ricorrente e COGNOME per dimostrare il vantaggio di quest’ultimo nella gara e della quale Marchio neppure conosceva l’esistenza. Né le frasi captate sono sintomatiche del fatto illecito e comunque COGNOME non è stato mai sentito per chiarire l’effettivo significato della conversazione. Il termine “noi” che i giudici riconducono a Marchio ben poteva riferirsi alla compagine societaria di Roncone.
Va poi considerato che all’epoca dell’incarico e delle date indicate nella imputazione era già vigente il Codice degli appalti come modificato dall’art. 50 d.lgs. n. 56 del 2017 che non richiedeva (lett. a, comma 2 dell’art. 36 “anche’
senza previa consultazione di due o più operatori economici”) alcuna comparazione come richiesto dal capo di imputazione.
In ogni caso ; il ricorrente non era tenuto a sapere dell’esistenza di una procedura di comparazione da parte della stazione appaltante.
Né alcuna responsabilità poteva derivare da fatti precedenti di per sé neutri. Va precisato che l’incarico giammai era stato formalizzato nel marzo 2017 e comunque tale circostanza non è stata contestata nel capo di imputazione.
definitiva, la sentenza non fornisce una base argomentativa congrua per delineare la penale responsabilità del ricorrente ovvero la prova della presenza dei mezzi tassativamente indicati dalla fattispecie penale e del dolo specifico.
Nessun concorso può trarsi dalla generica indicazione di un vantaggio (mai esteriorizzato) che COGNOME avrebbe avuto dal conferimento dell’incarico ricevuto. Né COGNOME era a Nuoro nelle date indicate nel capo d’imputazione.
Illogica è la motivazione là dove attribuisce a COGNOME il ruolo di parte privata del rapporto collusivo, posto che questi veniva assolto dal capo 1).
Non vi è un collegamento neppure temporale tra l’incarico di progettista affidato al ricorrente e la condotta collocata tra il 12 giugno e il 7 luglio 2017.
In modo assertivo è attribuito a COGNOME una posizione di vantaggio nella gara.
Ricorso di COGNOME (avv. NOME COGNOME).
6.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 191, 270, 335, 266 cod. proc. pen. e 109 disp. att. cod. proc. pen. e alla inutilizzabilità delle intercettazioni.
La Corte di appello ha disatteso le doglianze difensive sulla inutilizzabilità delle intercettazioni in ordine sia alla violazione dell’art. 270 cod. proc. pen. sia a termini di durata delle indagini preliminari.
La difesa aveva contestato l’utilizzazione delle intercettazioni riversate nel procedimento n. 3010/19 e segnatamente quelle relative ai RIT 556/16, 369/17 e 595/17. Analoga eccezione di inutilizzabilità era stata sollevata con riferimento alla violazione ai termini di indagine e alla carenza di motivazione dei provvedimenti autorizzativi.
I Giudici del merito non hanno attribuito rilevanza alla circostanza che le intercettazioni disposte nel procedimento numero n. 2639/15 avevano dato esito negativo in ordine alle ipotesi di reato per cui era state erano state autorizzate. Nè poteva aver rilievo la nota del NORM del 2016, che poteva influire sulla l’iscrizione di Saba nel registro di reato, ma non nei confronti del decreto autorizzativo, che aveva cessato i suoi effetti, e del ricorrente, all’epoca non sottoposto ad indagini, e comunque le intercettazioni era state autorizzate per reati differenti per titolo, soggetti e epoca rispetto a quello contestato al COGNOME.
Aspetti sui quali la motivazione risulta del tutto carente.
Quanto alle intercettazioni tratte dal procedimento n. 1509/16 (nel quale il ricorrente non è stato mai iscritto) e utilizzate come fonte di prova, la stessa ricostruzione della vicenda processuale dimostra la diversità dei procedimenti.
In modo errato non si è dato rilievo al fatto che difettava un formale provvedimento di riunione dei procedimenti nn. 2639/15 e 1509/16.
L’iscrizione di COGNOME avvenne il 10 aprile 2019 per il reato di cui all’art. 353bis cod. pen. commesso dal 14 giugno 2018 al 3 ottobre 2018.
In modo elusivo la Corte di appello ha affrontato la doglianza difensiva sostenendo che le intercettazioni riguardavano fatti di cui all’art. 319 cod. pen. connessi soggettivamente e ipotesi di reato rientranti nei limiti di ammissibilità dell’art. 266 cod. proc. pen.
Doveva farsi applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite “COGNOME” (trattandosi di intercettazioni eseguite nel 2017) in tema di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi e in particolare sulla necessit del rispetto dei limiti di ammissibilità di cui all’art. 266 cod. proc. pen.
Per il reato di cui al capo 2) è da escludersi una diversa qualificazione giuridica di quello indicato nel decreto autorizzativo.
A rimarcare la diversità del procedimento va rilevato che l’iscrizione ex art. 335 cod. proc. pen. è avvenuta per il ricorrente il 10 aprile 2019 nel procedimento n. 2630/15, mentre le intercettazioni sono state disposte nel procedimento n. 1509/16.
Le sentenze si sono basate sulla connessione ex art. 12 cod. proc. pen., ma vi era tra i procedimenti solo una connessione investigativa.
Le intercettazioni sono inutilizzabili anche per l’altro profilo della scadenza dei termini delle indagini (nella specie 28 aprile 2017 per il fascicolo n. 26639/15).
Tale ipotesi di inutilizzabilità, in quanto di natura patologica, era deducibile anche nel giudizio abbreviato.
Quanto alla diversità o meno dei fatti contestati nei procedimenti nn. 2639/15 e quello 1509/16 va osservato che: la originaria iscrizione riguardava i reati di turbativa d’asta e di abuso di ufficio e gli indizi emersi con le intercettazioni potevano al più meglio definire il fatto originario e pertanto tutte le attivit eseguite dopo il 28 aprile 2017 sono inutilizzabili.
6.2. Violazione di legge in relazione all’art. 353-bis cod. pen. e al r.d. n. 2440 del 1993 e al relativo regolamento attuativo, 192 e 125 cod. proc. pen. e vizio di motivazione sulla sussistenza del reato e sulla prova della partecipazione del ricorrente.
Rispetto all’imputazione (turbativa del procedimento diretto a stabilire il bando, pubblicato il 12 aprile 2018), le condotte ascritte al ricorrente sono successive e commesse quando il bando era financo scaduto.
Tale bando prevedeva poi, nel caso che la gara andasse deserta, l’automatico conferimento al direttore del mandato di individuare altra procedura di gara e anche parti di aree ubicate nell’agglomerato industriale fissando anche le percentuali di superfici concedibili (“di autorizzare il Direttore, qualora la manifestazione di cui sopra andasse deserta ad individuare altra procedura per la cessione di parti di aree industriali ubicate nell’agglomerato industriale di Ottana,Bolotana, e Noragugume e del So/ago”). Quindi, già nell’aprile 2018 il consorzio aveva espresso la sua volontà per il tipo di procedura da adottare anche con riferimento all’individuazione dei lotti da cedere per la finalità di destinazione ad impianti fotovoltaici. Rispetto a questo tema e alle circostanze sopra evidenziate la Corte d’appello non ha risposto.
In ordine al profilo della sussistenza del bando, va ricordato il distinguo tra le due fattispecie di turbativa previste dal codice penale che risiede nella sussistenza o meno del bando.
Quanto alla attività svolta dal Consorzio una volta che la gara era andata deserta, la difesa aveva dimostrato che il direttore era autorizzato anche a cedere parte dei terreni ad imprese operanti in settori differenti dal fotovoltaico.
A riprova della tesi difensiva si ponevano le captazioni tra il RUP COGNOME e il COGNOME, incaricato della pubblicazione del bando, ovvero tra due soggetti intranei al Consorzio, che al 24 luglio 2017 avevano chiarito la finalità della cessione dei lotti alla Antica Fornace (rendere più appetibile la gara che era andata deserta), del tutto estranea ad accordi collusivi. Anche COGNOME aveva chiarito la finalità della cessione.
Né potevano avere rilevanza le manifestazioni di interesse (vieppiù generiche) pervenute dopo che la gara era andata deserta, che hanno soltanto la veste di mera suggestione.
Non si condivide l’argomento secondo cui ai contratti attivi della pubblica amministrazione e anche dei consorzi debbano applicarsi la normativa dei r.d. n. 2440 del 1923 e n. 827 del 1924. In ogni caso esistevano le condizioni giuridiche per farsi luogo alla trattativa privata, anche volendo applicare la normativa indicata dalla sentenza impugnata (cfr. art. 38 del regolamento di attuazione del del r.d. n. 2440 del 1923), senza rinunciare all’argomento che la fonte normativa in materia resta pur sempre il regolamento consortile e che nelle delibere del bando di aprile era prevista la disciplina della trattativa privata.
In assenza di una condotta perturbatrice a monte della procedura selettiva, c’è poi da affrontare la questione se possa essere configurabile il reato in esame rispetto ad una trattativa privata, ovvero se rilevi la condotta perturbatrice volta ad evitare la gara. Questione risolta in termini negativi dalla Suprema Corte (sentenza n. 5536 del 2022).
6.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 -bis, 133 cod. pen.
Censurabile è la motivazione anche sul fronte del trattamento sa nzionatorio.
La Corte di appello ha definito generica la richiesta di appello sulle attenuanti generiche, non considerando che difettava sul punto una motivazione in primo grado, pur avendo il primo giudice svolto argomenti sulla pena da applicare, rilevanti anche sul richiesto beneficio.
In ogni caso, gli argomenti ostativi alla concessione sono illogici perché non hanno considerato che l’assegnatario del lotto ha rinunciato all’assegnazione, che l’RAGIONE_SOCIALE è una realtà imprenditoriale importante in Sardegna nella quale lavorano oltre duecento persone e che necessitava i pertanto ( dell’ampliamento dell’attività.
La motivazione finisce per essere di puro stile / non agganciata alla personalità del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di COGNOME e COGNOME, in quanto non inammissibili, sono da accogliere con l’annullamento della sentenza impugnata, in quanto è oramai decorso per il reato, contestato ad entrambi i ricorrenti, il periodo massimo di prescrizione.
Il ricorso di Buso va invece rigettato.
Con riferimento ai ricorsi proposti da COGNOME e COGNOME, come preannunciato, va preso atto dell’avvenuto decorso del termine prescrizionale concernente il reato agli stessi contestato (fatto commesso al più tardi il 7 luglio 2017), in assenza di fatti sospensivi.
E’ principio ripetutamente affermato dalla Corte di cassazione quello secondo cui i in presenza di una causa di estinzione del reato, l’ambito di controllo di legittimità sulla giustificazione della decisione è circoscritto all’evidenza dell condizioni di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (proscioglimento nel merito), sulla base di un criterio che attiene alla constatazione piuttosto che all’apprezzamento, giacché l’annullamento con rinvio è incompatibile con la declaratoria di estinzione del reato stabilita dagli artt. 129, comma 1, e 620, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 35490, 28/05/2009, dep. 15/09/2009, COGNOME, Rv. 244274).
A conferma della prevalenza della pronuncia di proscioglimento su ogni ulteriore approfondimento, la sentenza COGNOME ha infatti ribadito che i vizi della motivazione del provvedimento impugnato non sono rilevabili in sede di legittimità/
in presenza di una causa estintiva, in quanto il giudice, cui andrebbero rimessi gli atti per il giudizio rescissorio al fine di riparare il tessuto motivazionale del decisione, avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva.
Connesso a questo principio, è l’altro secondo cui, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità anche assoluta ed insanabile non è rilevabile nel giudizio di legittimità, con la sola eccezione che l’operatività della causa di estinzione non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito ovvero che la nullità afferisca direttamente alle modalità di rilevazione della causa estintiva: tanto, in forza della regola di immediata declaratoria delle cause di non punibilità (v. Sez. U, n. 1021, 28/11/2001, dep. 11/01/2002, Cremonese, Rv. 220511; Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403).
2.1. Premessi questi principi, il Collegio ritiene che, dall’esame delle sentenze di merito alla luce delle censure proposte dai ricorrenti, non vi sia spazio per una più favorevole pronuncia di proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di prescrizione.
Le censure difensive investono, infatti, quanto al punto della ritenuta responsabilità dei ricorrenti, essenzialmente pretesi vizi motivazionali in cui sarebbe incorsa la pronuncia impugnata, lamentando carenze di accertamento, ovvero erronee valutazioni degli atti processuali.
Anche la pur generica censura sulla configurabilità del reato di cui all’art. 353bis cod. pen. in relazione alla novella dell’art. 36, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 5 del 2016, che aveva eliminato la necessità di consultazione e comparazione di offerte nei contratti “sotto soglia”, non consente di pervenire alla evidente “constatazione” della mancanza nel caso in esame del requisito della “gara”.
L’esame della censura coinvolge infatti la verifica della tenuta logica della motivazione (quanto al momento temporale della collocazione dell’incarico) e quindi di un vizio recessivo rispetto all’immediata declaratoria della causa estintiva.
A ciò va aggiunto, per inciso, che, come si evince dal capo di imputazione sub 2), il procedimento di scelta del contraente, oggetto della turbativa ad opera dei ricorrenti, non si limitava al solo affidamento della consulenza tecnica specialistica per la progettazione dell’opera da realizzare (un impianto di trattamento dei rifiuti), ma coinvolgeva significativamente anche la gara di appalto per la realizzazione dell’opera stessa, in quanto attraverso l’incarico di progettazione sarebbe stata garantita a Marchio una posizione di vantaggio per la realizzazione dell’opera.
2.2. In definitiva, sulla base di quanto premessosi impone per RAGIONE_SOCIALE e Roncone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato agli stessi ascritto è estinto per prescrizione.
Il ricorso di COGNOME è invece complessivamente infondato, pur lambendo in alcuni tratti la inammissibilità.
3.1. il primo motivo relativo all’inutilizzabilità delle intercettazioni è generi e in parte anche manifestamente infondato.
3.1.1. Generico, in quanto è principio pacifico che non compete alla Corte di cassazione, in mancanza di specifiche deduzioni, verificare se esistano cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedimento che non appaiano manifeste, in quanto implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De brio, Rv. 244328).
È infatti onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416).
A tale onere si accompagna l’ulteriore incombenza di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale non rinvenibili nel fascicolo processuale del giudice (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244329).
Nel caso di intercettazioni, si è dunque affermato che grava sulla parte che deduce l’inutilizzabilità di un atto l’onere di indicare specificamente i documenti sui quali l’eccezione si fonda e altresì di allegarli, qualora essi non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità (tra tante, Sez. 5, n. 23015 del 19/04/2023, Rv. 284519).
Nel caso in esame, il ricorrente non ha indicato né la decisività delle specifiche intercettazioni, affette dai presunti vizi, né la precisa collocazione degli atti su quali si fonda l’eccezione nel fascicolo trasmesso al giudice di legittimità (né ha in alternativa allegato tali atti al ricorso).
3.1.2. Una volta che alla Corte di legittimità sia precluso, perché generico il motivo, l’esame del vizio di violazione di legge riguardante le intercettazioni, non è consentito su tale punto esigere i! solo controllo della motivazione della sentenza impugnata.
Secondo un principio consolidato, i vizi indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni
diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027).
Tra l’altro, è appena il caso di rilevare dall’esame della motivazione della sentenza impugnata che la Corte di appello – al di là di tutte le questioni sulle quali la difesa si era diffusa con il gravame per contestare la unicità dei “procedimenti” – ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite sui limit del divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati d captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277395). Secondo le Sezioni Unite, oltre al caso in cui le intercettazioni risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto i flagranza, il divieto non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati risultino connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata “ab origine” disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.
Quel che rileva dunque in tale ultimo caso è la connessione “sostanziale” tra i reati, ovvero l’esistenza di un legame indipendente dallo snodarsi della vicenda procedimentale che riguardi i singoli reati.
La Corte di appello ha ritenuto che tutte le vicende delittuose contestate agli odierni imputati (che rientravano nei limiti ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.) e per le quali era stato creato un separato fascicolo (n. 1509/16), fossero connesse ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen. a quella oggetto del procedimento n. 2639/15 (pag. 265). Connessione che viene rimarcata anche specificatamente per il COGNOME (pag. 273). Il reato ascritto al COGNOME era infatti emerso dalle intercettazioni disposte nei confronti del COGNOME per un reato (l’art. 319 cod. pen.) connesso con quello sub 7), che lo vede coimputato.
Al riguardo va rammentato che, secondo la disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal dl. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020 n. 70, i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato erano utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reato legati al primo dal vincolo della continuazione ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen., senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi (Sez. 5, n. 37697 del 29/09/2021, Rv. 282027).
3.1.3. E’ anche manifestamente infondato il dedotto profilo di inutilizzabilità GLYPH i.: n,. connesso alla durata delle indaginthe, secdndo un pacifico principio, la scelta del giudizio abbreviato preclude all’imputato la possibilità di eccepire l’inutilizzabili –
degli atti d’indagine compiuti fuori dai termini ordinari di inizio e fine delle indag preliminari in quanto, non essendo equiparabile alla inutilizzabilità delle prove vietate dalla legge (all’art. 191 cod. proc. pen.), la stessa non è rilevabile d’uffici ma solo su eccezione di parte, sicché essa non opera nel giudizio abbreviato (tra le tante, Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017, dep. 2018, Rv. 272196, caso in cui la Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso relativo all’inutilizzabilità delle intercettazioni attivate prima dell’iscrizione del ricorrente nel registro deg indagati e proseguite dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari).
3.2. Infondato è il motivo relativo alla responsabilità per il reato contestato.
3.2.1. Il primo rilievo difensivo, volto a contestare la collocazione temporale delle condotte ascritte al ricorrente rispetto al bando di gara, è privo di evidente fondamento e reitera in modo aspecifico una censura alla quale la Corte di appello ha fornito adeguata risposta (cfr. pag. 288)
Secondo l’imputazione, la turbativa (commessa tra il 14 giugno e il 3 ottobre 2018) riguardava il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando di gara o di altro atto equipollente per la concessione del diritto di superficie di alcune aree da destinare ad impianti per la produzione di energia da fonte rinnova bile ed era diretta a condizionare le modalità di scelta del contraente.
Come chiaramente si evince dalla stessa imputazione, vi era stato un primo bando (quello del 12 aprile 2018 indicato dalla difesa) che andava deserto; all’esito di questo bando, aveva inizio la fase del procedimento amministrativo (oggetto di turbativa) volta a stabilire le successive determinazioni per portare a termine la procedura selettiva.
3.2.2. La censura della difesa riguardante la configurabilità del reato non può essere accolta.
Preliminarmente deve ritenersi generica la questione sollevata dalla difesa quanto all’applicabilità ialla procedura indetta dal Consorzio industriale provinciale di Nuoro per la concessione in diritto di superficie di terreni /della disciplina del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, contenente disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, e d i a.( relativo regolamento di attuazione, r.d. 23 maggio 1924 n. 827.
In ogni caso, la questione, come si avrà modo di chiarire, non appare rilevante alla luce della complessiva motivazione della sentenza impugnata.
La difesa ha inoltre contestato la configurabilità del reato previsto dall’art. 353-bis cod. pen. nel caso in esame, invocando a sostegno l’orientamento di legittimità che richiede, ai fini dell’art. 353-bis cod. pen., che la condotta d turbamento debba innestarsi ed intervenire in un procedimento amministrativo che contempli una qualsiasi procedura selettiva, la pubblicazione di un bando o i di
un atto che abbia la stessa funzione; così da escludere la configurabilità del suddetto reato nel caso in cui la condotta perturbatrice sia finalizzata soltanto ad “evitare la gara” e a consentire l’affidamento diretto in assenza delle condizioni previsti dalla legge (tra tante, Sez. 6, n. 5536 del 28/10/2021, dep. 2022, Rv. 282902).
Questo principio non è tuttavia applicabile al caso in esame.
Come ha rilevato la Corte di appello, la condotta di turbativa si è innestata nell’ambito del procedimento per la concessione, mediante gara, del diritto di superficie su una serie di terreni. Dopo che una prima gara era andata deserta, erano pervenute ben quattro manifestazioni di interesse da parte di privati in ordine ai medesimi terreni (una di esse si riferiva in termini espressi all’intera superficie, originariamente individuata; le altre, se pur con espressioni meno precise, avevano comunque inteso riferirsi all’intero lotto); il successivo iter procedurale individuato da Guiso sin dal 14 giugno 2018 era quello di procedere ad una nuova gara per la totalità dei terreni. Ed è su tale procedimento che è intervenuta la condotta perturbatrice degli imputati per sottrarre alla gara pubblica una parte di questi terreni e destinarli ad un soggetto privato.
Che questa “deviazione” della procedura non fosse consentita, emergeva dalle delibere del 10 aprile 2018 degli organi del C.I.P., che avevano dato origine al procedimento amministrativo per la concessione dell’intero lotto di terreni e che avevano dettato precise direttive sulle modalità da seguire.
In particolare, nel caso che la gara fosse andata deserta, la delibera n. 16 aveva conferito al direttore del C.I.P. il mandato ad “individuare altra procedura per la cessione di parti di aree industriali nell’agglomerato industriale di Ottana, Bolotana e Noragugume e del Sologo”, mentre la delibera n. 15 aveva stabilito che la destinazione delle aree consortili doveva essere pur sempre quella “esclusiva” di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile e non altri scopi.
Pertanto, la “altra procedura”, indipendentemente dal richiamo della Corte territoriale all’art. 41 r.d. n. 827 del 1924, non poteva essere la trattativa privat con l’Antica INDIRIZZO che veniva a sottrarre i terreni all’originaria destinazione.
La sentenza impugnata ha dimostrato come il procedimento amministrativo fosse stato inquinato dalla collusione intercorsa tra Guiso e Busi: dopo che eran pervenute alcune manifestazioni di interesse, la scelta di indire una nuova gara sull’intero lotto – pur indicata espressamente da Guiso sin dal 14 giugno 2018 era stata modificata a seguito degli accordi intervenuti tra costoro, che si erano accordati affinché “quell’area” di interesse del Busi fosse tolta dal bando, per evitare che su di essa l’Antica Fornace fosse costretta a partecipare ad una procedura competitiva con altri con incerto esito; concordando anche le modalità
di presentazione della manifestazione di interesse da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, così da farla apparire “in regola”.
Quanto f in particolare alla sottrazione dei terreni destinati a quest’ultima società alla originaria destinazione indicata dalla delibera del consorzio, la Corte di appello ha posto in rilevo come gli accordi collusivi avessero riguardato anche tale aspetto (COGNOME aveva informato COGNOME che non intendeva destinare i terreni ad impianti per la produzione di energia; il Consorzio, quindi, aveva escluso dal progetto da realizzare i terreni da destinare al COGNOME).
A fronte di tali argomentazioni, che dimostrano come la turbativa contestata al ricorrente abbia riguardato il procedimento amministrativo per la scelta del contraente in corso, così da incidere sul contenuto dei due bandi del 25 luglio e 3 ottobre 2018, escludendo da essi i lotti indicati dal COGNOME, il ricorrente ha opposto rilievi da un lato I reiterativi di questioni già affrontate dalla Corte di appello e dall’altro t di merito (quanto in particolare alla rilevanza e consistenza delle manifestazioni di interesse).
Né può ritenersi la risposta offerta dalla Corte di appello elusiva delle questioni sollevate con l’appello (e in questa sede riproposte) a riprova della tesi difensiva, in quanto la sentenza impugnata ha adeguatamente esposto le evidenze, poste a fondamento del ragionamento probatorio, come sopra sintetizzato, che dimostravano anche la irrilevanza delle prove indicate dalla difesa.
In particolare, la Corte di appello, con argomentazioni non manifestamente illogiche, ha ritenuto irrilevanti le captazioni tra il RUP COGNOME e COGNOME, in quanto costoro, pur intranei al Consorzio, erano soggetti estranei agli accordi collusivi e quindi all’oscuro delle vere ragioni che avevano determinato sia la riduzione nel nuovo bando delle aree da destinare alla cessione sia la presentazione della richiesta rivolta alla Regione di autorizzazione dell’impianto nei suddetti termini; ovvero come non sostenibili le spiegazioni fornite da COGNOME sulle ragioni (consentire o agevolare lo sviluppo di imprese già operanti sul territorio) che avevano portato a distogliere quelle aree a favore dell’Antica Fornace (il Consorzio avrebbe potuto infatti concedere aree diverse da quelle già destinate; in ogni caso la tesi difensiva era contraddetta dalla trattativa tra il Consorzio e Busi proseguita fino all’ultimo bando del 3 ottobre 2018, che aveva ad oggetto la cessione di altra superficie di proprietà del Consorzio, già ricompresa nel primo bando, ma sempre con esclusione delle aree di interesse dell’RAGIONE_SOCIALE; nonché dalle recriminazioni dello stesso COGNOME che, a fronte della inaspettata rinuncia della RAGIONE_SOCIALE all’assegnazione dei lotti, riconosceva di aver sbagliato a non averli inseriti nel bando).
3.3. Non può essere accolto neppure l’ultimo motivo sul trattamento sanzionatorio.
GLYPH
IL
Correttamente la Corte di appello ha definito generico il motivo relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Se è pur vero che le Sezioni Unite hanno affermato che l’onere di specificità
dei motivi di impugnazione, proposti con riferimento ai singoli punti della decisione, è direttamente proporzionale alla specificità delle ragioni di diritto e
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, con riferimento ai medesimi punti, resta comunque necessario che i motivi di appello
siano diretti ad attivare uno strumento di controllo della decisione impugnata, enucleando le ragioni per la riforma della decisione impugnata (Sez. U, n. 8825
del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, in motivazione).
Nel caso in esame, il primo giudice non si era espressamente pronunciato sulle attenuanti generiche nel calcolo della pena e il ricorrente con l’appello si era
limitato a chiederne il riconoscimento sulla base dei parametri indicati dall’art. 133
cod. pen.
A fronte di tale genericità della richiesta del ricorrente, non è consentito in questa sede “recuperare” aspetti di merito che avrebbero giustificato una diversa
statuizione del giudice dell’appello.
Quel che è sufficiente rilevare è che la Corte di appello, con motivazione che si presenta adeguata e non manifestamente illogica, ha ritenuto la pena base, determinata in primo grado (nove mesi di reclusione), prossima al minimo edittale, non meritevole di ulteriori riduzioni, considerati proprio i parametri di cui all’art 133 cod. pen. (quali (nella specie, le concrete modalità dell’attività collusiva posta in essere da ciascun imputato; l’intensità del dolo manifestato; il rilevante danno economico arrecato alla pubblica amministrazione).
3.4. Conclusivamente, sulla base delle osservazioni che precedono, il ricorso di COGNOME va rigettato con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME perché il reato è estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 06/02/2025.