Turbata Libertà degli Incanti: Quando un Ricorso è Manifestamente Infondato
La corretta gestione delle gare pubbliche è un pilastro fondamentale per la trasparenza e l’efficienza della pubblica amministrazione. Il reato di turbata libertà degli incanti, previsto dall’art. 353 del codice penale, sanziona proprio le condotte che minano questo principio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di come la giustizia affronti i tentativi di contestare condanne basate su prove evidenti, dichiarando inammissibile un ricorso palesemente infondato. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.
I Fatti del Caso: La Partecipazione alla Gara Pubblica
Il caso trae origine dalla condanna di un soggetto per il reato di turbata libertà degli incanti. L’imputato aveva partecipato, per conto dell’ente che rappresentava, a una gara ad evidenza pubblica. La gara era stata indetta da una società a capitale pubblico, incaricata della gestione dei rifiuti per un consorzio comunale. Le corti di merito avevano ritenuto che la sua condotta avesse integrato gli estremi del reato, influenzando illecitamente l’esito della procedura di appalto.
Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo di impugnazione. L’obiettivo era contestare la configurabilità stessa del reato nel caso di specie.
La Decisione della Cassazione sulla turbata libertà degli incanti
La Suprema Corte, con una decisione tanto sintetica quanto netta, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che l’unico motivo presentato dal ricorrente fosse “manifestamente infondato”. Questa formula indica che le argomentazioni della difesa erano prive di qualsiasi pregio giuridico, al punto da non meritare un esame approfondito nel merito.
La conseguenza di tale declaratoria è stata duplice: la conferma sostanziale della condanna e l’imposizione di sanzioni accessorie a carico del ricorrente.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha motivato la propria decisione evidenziando che gli elementi costitutivi del reato di turbata libertà degli incanti erano pienamente riscontrabili nella condotta dell’imputato. La partecipazione alla gara pubblica, nelle modalità contestate, era sufficiente a integrare la fattispecie criminosa prevista dall’art. 353 c.p. Il motivo di ricorso non ha quindi scalfito l’impianto accusatorio confermato in appello, rivelandosi un tentativo sterile di rimettere in discussione una valutazione di merito già correttamente effettuata.
La Corte ha quindi applicato il principio secondo cui i ricorsi privi di fondamento devono essere rigettati in rito, senza entrare nell’analisi di merito. A questa decisione è seguita, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende, una sanzione prevista per scoraggiare la presentazione di impugnazioni dilatorie o pretestuose.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio cardine del sistema processuale penale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti, ma un controllo di legittimità sulla corretta applicazione della legge. Quando un ricorso si basa su motivi manifestamente infondati, l’esito è una declaratoria di inammissibilità. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questa decisione sottolinea la serietà con cui l’ordinamento tutela le procedure di gara pubblica e l’onere, per chi impugna una sentenza, di presentare argomentazioni giuridiche solide e pertinenti.
Qual è stato l’esito del ricorso presentato alla Corte di Cassazione?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, in quanto l’unico motivo presentato è stato ritenuto manifestamente infondato.
Per quale reato era stato condannato il ricorrente?
Il ricorrente era stato condannato per il reato di turbata libertà degli incanti, previsto dall’articolo 353 del codice penale, per aver partecipato in modo illecito a una gara pubblica per la gestione dei rifiuti.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente dopo la decisione della Cassazione?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4290 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4290 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SALERNO il 02/12/1968
avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
(COGNOME)
Rilevato che l’unico motivo di ricorso dedotto si rivela manifestamente infondato in ordine alla piena configurabilità del reato di cui all’art. 353 cod pen., derivante dalla partecipazione dell’ente per conto del quale l’imputato operava ad una gara ad evidenza pubblica indetta da società a capitale pubblico incaricata della gestione dei rifiuti per conto di un consorzio comunale
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
NOME