Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20677 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20677 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti dal
Procuratore g enerale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano nel procedimento a carico di
NOME NOME, nato a Partinico il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Como il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Como il DATA_NASCITA
NOME, nato a Campobasso il DATA_NASCITA
NOME, NOME a Como il DATA_NASCITA
nonché da g li imputati
NOME, NOME g eneralizzato
COGNOME NOMENOME NOME g eneralizzato
COGNOME NOMENOME NOME g eneralizzato
COGNOME NOME, nato a Como il DATA_NASCITA
COGNOME NOMENOME NOME a Vi gg iano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/01/2023 della Corte di appello di Milano ;
visti g li atti del procedimento, il provvedimento impu g nato ed i ricorsi ; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano, con trasmissione degli atti al giudice civile per le relati statuizioni; per il rigetto del ricorso dell’imputato COGNOME; per l’inammissibilità restanti ricorsi;
udito il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE di Como, AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che si è riportato alle conclusioni scritte depositate, chiedendo di accogAVV_NOTAIO il ricorso del Procuratore generale;
uditi i seguenti difensori nell’interesse degli imputati per ciascuno rispettivamente indicati, che hanno rassegnato le seguenti richiese conclusive:
AVV_NOTAIO per COGNOME: accoglimento del proprio ricorso ed inammissibilità o rigetto di quello del Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano;
AVV_NOTAIO, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per NOME: inammissibilità del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano, assoluzione dell’imputato, revoca delle statuizioni civili;
AVV_NOTAIO per COGNOME: accoglimento del proprio ricorso ed inammissibilità di quello del Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano;
AVV_NOTAIO per COGNOME: accoglimento del proprio ricorso ed inammissibilità di quello del Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano;
AVV_NOTAIO per NOME: inammissibilità o rigetto del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano.
RITENUTO IN FATTO
Oggetto d’impugnazione è la sentenza della Corte di appello di Milano del 13 gennaio 2023, che ha parzialmente riformato quella del Tribunale di Como del 16 gennaio 2019.
All’esito dei due giudizi di merito, residua una condanna degli imputati COGNOME e COGNOME per il delitto di cui all’art. 326, primo comma, cod. pen. (capo 22 dell’imputazione), per avere il primo, pubblico funzionario, rivelato all’altro imprenditore interessato ad alcune procedure di gara, i nominativi delle ditte invitate a partecipare alle stesse.
Le ulteriori statuizioni della sentenza d’appello interessate dal presente giudizio di legittimità sono le seguenti:
-estinzione per prescrizione del delitto di turbata libertà di scelta de contraente di cui al capo 1), contestato a COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME;
estinzione per prescrizione del delitto di falso ideologico di cui al capo 2), contestato a COGNOME e COGNOME;
conferma dell’assoluzione di COGNOMECOGNOMECOGNOME COGNOME COGNOME dal delitto di turbata libertà di scelta del contraente di cui al capo 4), perché il fatto n sussiste;
assoluzione dei medesimi imputati dal delitto di falso ideologico di cui al capo 5), perché il fatto non sussiste;
conferma dell’assoluzione di COGNOME dai delitti di falso ideologico di cui ai capi 15) e 16), perché il fatto non sussiste;
assoluzione di COGNOME e COGNOME dal delitto di corruzione ex art. 318 cod. pen. (così riqualificato in primo grado il delitto di corruzione “propria” contesta al capo 23), perché il fatto non sussiste.
Ricorre avverso tale decisione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano, per cinque motivi.
2.1. I primi due possono essere esposti congiuntamente, in quanto relativi ad un’unica vicenda amministrativa ed a reati – la turbata libertà di scelta del contraente ed i falsi ideologici rispettivamente contestati ai capi 4) e 5 dell’imputazione – strettamente connessi tra loro, in quanto strumentali, i secondi, alla realizzazione della prima.
2.1.1. Secondo l’accusa, COGNOME (allora AVV_NOTAIO di Como), COGNOME e COGNOME (dirigenti comunali dei competenti settori tecnici) nonché NOME COGNOME (dirigente del settore legale di quel RAGIONE_SOCIALE) avrebbero colluso tra loro al fine di evitare la risoluzione di un appalto pubblico già in corso e la conseguente indizione di una nuova gara d’appalto, decidendo di procedere ad una variante in corso d’opera e concertando di dissimulare, all’interno della relativa perizia, l’esistenza delle condizioni in presenza delle quali l’art. 132, commi 1, lett. b) ed e), e 4, d.lgs. n. 163 del 2006, imponeva la risoluzione del contratto d’appalto: ovvero l’assenza di cause impreviste e imprevedibili ed un errore progettuale tale da comportare lavori in variante di importo superiore al 20% di quello del contratto.
Attraverso tale stratagemma, era stata bandita sì una nuova gara d’appalto, ma con un oggetto assai più limitato di quello che sarebbe stato dovuto e necessario in applicazione di detta disciplina normativa.
2.1.2. Entrambe le sentenze di merito sono pervenute ad una pronuncia assolutoria, ritenendo insussistente la contestata turbativa, in quanto non sarebbe stato dimostrato il presupposto di fatto dell’accusa, ovvero l’importo della variante superiore alla predetta soglia normativa, e di conseguenza – ha ulteriormente stabilito la sentenza d’appello – la falsità degli atti da cui risultava il mancat superamento di quel valore percentuale.
2.1.3. Con il primo motivo di ricorso, il Procuratore generale distrettuale contesta essenzialmente tale mancanza di dimostrazione, sostenendo che il giudizio della Corte d’appello derivi da un acritico recepimento delle sole conclusioni del consulente tecnico della difesa di COGNOME, avendo quei giudici trascurato, invece, senza darne spiegazione, le plurime e severe censure mosse dall'”RAGIONE_SOCIALE” nei relativi atti e le conversazioni intercettate tra gli imputati, d quali emergerebbe nitidamente la loro volontaria deliberazione di offrire una falsa rappresentazione della realtà, onde eludere l’obbligo di risoluzione dell’appalto in corso.
2.1.4. Il secondo motivo si sofferma particolarmente sull’erronea applicazione dell’art. 353-bis, cod. pen., rilevando che il concerto fraudolento tra gli imputa ha condizionato la formulazione del bando di gara conseguente alla scelta di procedere a variante, riducendone il contenuto ad opere minori e secondarie rispetto a quelle del contratto illegittimamente non risolto, e sostenendo che la delibera di variante debba considerarsi atto equipollente ad un bando di gara.
2.2. Il terzo motivo riguarda un’altra vicenda ed un reato di corruzione “propria”, derubricato in primo grado a corruzione per l’esercizio della funzione, ma ritenuto insussistente dalla sentenza impugNOME.
2.2.1. In sintesi, secondo l’accusa (capo 23 dell’imputazione), l’imprenditore NOME COGNOME – separatamente giudicato – ha versato tremila euro in contanti ad NOME COGNOME, dirigente del settore competente del RAGIONE_SOCIALE di Como, ed ha fatto ottenere al suo successore COGNOME COGNOME incarico professionale, per un corrispettivo di quattordicimila euro, di cui quattromila versati in acconto, affinch essi si adoperassero, nella loro qualità istituzionale, per superare gli ostacoli sort nella realizzazione, da parte della RAGIONE_SOCIALE da lui rappresentata, la “RAGIONE_SOCIALE, di un complesso intervento edilizio.
2.2.2. La Corte d’appello ha mandato assolto NOME, per difetto della qualità di pubblico ufficiale, in quanto la somma gli è stata versata allorché era stato già collocato in quiescenza e non era più in servizio.
2.2.3. COGNOME, invece, è stato assolto, per difetto di prova del sinallagma tra il conseguimento dell’incarico professionale e l’atto in tesi da lui compiuto pe favorire COGNOME, ovvero la redazione e trasmissione alla Giunta AVV_NOTAIO del proprio parere favorevole al progetto definitivo ed al piano particellare necessari
per l’avvio della procedura di espropriazione di alcuni terreni, la quale avrebbe consentito alla RAGIONE_SOCIALE di aggirare l’ostacolo che impediva la realizzazione del predetto intervento edilizio (la titolarità altrui, cioè, dei te necessari per allargare la strada di accesso al sito, posta da altro dirigente del RAGIONE_SOCIALE come condizione per l’avvio dei lavori).
La Corte d’appello ha giustificato la sua decisione, rilevando: che l’imputato ha rifiutato una precedente offerta corruttiva esplicita di COGNOME; che l prospettazione dell’incarico è stata del tutto estemporanea e COGNOME non l’ha percepita come un corrispettivo per una sua attività d’ufficio, tanto da aver sùbito cambiato discorso; che egli ha svolto effettivamente l’incarico, previa rituale autorizzazione da parte del RAGIONE_SOCIALE; che l’acconto sul compenso gli è stato versato mediante bonifico, dunque con una modalità tracciabile; che tale versamento è avvenuto dopo che la pratica d’interesse per COGNOME si era nuovamente arrestata in AVV_NOTAIOglio AVV_NOTAIO, e dunque dopo che l’interessamento di COGNOME si era rivelato inutile; che, infine, non sono risultati rapporti tra COGNOME e la “RAGIONE_SOCIALE, quella, cioè, che ha conferito l’incarico professionale a COGNOME.
2.2.4. Osserva il Procuratore ricorrente che la motivazione, anzitutto, opera illogicamente una scissione di una vicenda unitaria nel suo complesso e che, inoltre, finisce per contraddirsi, in quanto esclude la sussistenza del reato pur avendo ritenuto accertate le intenzioni corruttive di NOME e la corresponsione di denaro o altre utilità da questi effettuata ai due funzionari.
2.2.4.1. In particolare, poi, quanto a COGNOME, rileva come questi sia il soggetto che ha dato avvio all’attuazione delle richieste di COGNOME e che, successivamente alla propria collocazione in quiescenza, ha operato quale suo tecnico e, NOMEttutto, ha interceduto per lui presso il proprio successore COGNOME; evidenzia, inoltre, come la contestazione riguardi non solo l’attività da lui compiuta quale funzionario pubblico, ma anche quella di mediazione verso COGNOME, e quindi il suo indiscusso concorso nella corruzione di quest’ultimo. Infine, il ricorso denuncia l’inosservanza, da parte della Corte distrettuale, del disposto dell’art. 360 cod. pen., per cui la cessazione della qualità di pubblico ufficiale non esclude la configurabilità del reato proprio, se il fatto si riferisce alla funzione pubblica esercitata.
2.2.4.2. Relativamente a COGNOME, invece, replicando agli argomenti della sentenza, il Procuratore distrettuale ne lamenta l’erroneità e comunque l’illogicità, rappresentando: a) che le intenzioni corruttive di COGNOME fossero a costui ben note; b) che, dopo aver ricevuto l’offerta di denaro da quell’imprenditore, non ha chiuso i rapporti con lui, né ha chiesto che fossero altri ad occuparsi della relativa pratica; c) che, anzi, dopo l’offerta dell’incarico, COGNOME ha superato le remore
inizialmente manifestate per firmare il progetto redatto dal NOME per conto della “RAGIONE_SOCIALE” ed ha addirittura contattato di sua iniziativa COGNOME per farsi mandare i flles di quell’elaborato tecnico nonché ha cercato NOME e si è incontrato con lui per parlare dello stesso; d) che, nella richiesta rivolta al RAGIONE_SOCIALE per ottenere la necessaria autorizzazione a svolgere l’incarico affidatogli dalla “RAGIONE_SOCIALE“, consistente nel collaudo di un immobile, COGNOME ha taciuto che lo stesso gli era stato procurato da un soggetto con cui aveva rapporti per ragioni del proprio ufficio e che gli aveva espressamente detto del mandato ricevuto da quella RAGIONE_SOCIALE per affidarglielo; e) che, per effettuare il computo metrico dei lavori necessari per la pratica edilizia d’interesse per COGNOME, COGNOME si è rivolto ad un suo excollaboratore, chiedendogli di non indicare nell’oggetto il nome dell’area di riferimento (“salita Peltrera”) e pagandolo di tasca propria, a riprova di un suo interesse personale e non istituzionale nella vicenda; f) che, infine, non è vero che non vi fossero rapporti professionali tra RAGIONE_SOCIALE e la “RAGIONE_SOCIALE“, essendo costui, all’epoca, il tecnico incaricato da tale RAGIONE_SOCIALE per la progettazione dell stessa opera che COGNOME è stato incaricato di collaudare.
2.3. Il quarto motivo riguarda i falsi ideologici strumentali all’appena esamiNOME ipotesi di corruzione del COGNOME: vale a dire, la falsa attestazione, negli atti con cui egli ha avanzato al RAGIONE_SOCIALE la richiesta di autorizzazione allo svolgimento dell’incarico per la “RAGIONE_SOCIALE“, di non avere rapporti per ragioni d’ufficio con l’impresa committente e l’omessa indicazione dell’esistenza di tali rapporti con colui che gliel’aveva procurato (capo 15 dell’imputazione); nonché il correlato falso per induzione, relativo alla delibera del AVV_NOTAIO con cui, sulla base di tali premesse, l’autorizzazione gli era stata rilasciata (capo 16).
Gli argomenti del ricorso sono sostanzialmente i medesimi esaminati al punto precedente, con l’aggiunta del richiamo alla possibilità di configurare il reato anche in relazione ad atti dispositivi, in presenza della mendace attestazione dei relativi presupposti di fatto significativi in funzione della finalità dell’atto.
2.4. Il quinto motivo di ricorso ribadisce le censure già avanzate con l’atto d’appello sulla qualifica della corruzione di cui al capo 23) ai sensi dell’art. 31 cod. pen., anziché del precedente art. 318, come invece ritenuto dalla sentenza di primo grado.
Il tema non è stato affrontato dai giudici d’appello, avendo essi escluso in radice – per le ragioni già dette – qualsiasi condotta corruttiva.
Secondo l’accusa, l’attività del COGNOME contraria ai doveri d’ufficio sarebbe consistita nell’avere rilasciato il proprio parere favorevole al progetto dei lavor relativi a “salita Peltrera”, redatto dal COGNOME in violazione dei presuppos soggettivi di cui all’art. 90, d.lgs. n. 163 del 2006, allora vigente, proget presentato alla Giunta municipale al fine di avviare la procedura di esproprio dei
terreni necessari per l’ampliamento della strada: procedura – ed è questo un secondo profilo di contrarietà ad attività doverosa – non sorretta da un interesse pubblico.
Il Tribunale aveva escluso la corruzione c.d. “propria”, ritenendo che non dovesse trovare applicazione la disposizione del citato art. 90, in quanto: l’allargamento di quella strada era stato valutato come opera funzionale all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio ed inserito nel relati piano di opere pubbliche del RAGIONE_SOCIALE sin dal 2012; la “RAGIONE_SOCIALE” aveva stipulato col RAGIONE_SOCIALE una convenzione con cui s’impegnava ad eseguire a proprie cura e spese l’opera, in tutto o in parte, previe le necessarie autorizzazioni; la condizione del previo allargamento della strada, apposta all’asseverannento della d.i.a., era patentemente illegittima («un mostro giuridico, altro che regalia», viene definita in quella sentenza).
Replica il ricorrente: a) che il Tribunale non indica le ragioni della ritenuta illegittimità clamorosa di quell’atto; b) che tale vizio non è mai stato adombrato neppure dalla RAGIONE_SOCIALE interessata, la quale non ha mai impugnato l’atto; c) che l’inserimento dell’opera nel piano AVV_NOTAIO delle opere pubbliche del 2012 e la conferma di esso nel successivo piano del 2016 sono stati giust’appunto il prodotto dell’attività corruttiva di COGNOME verso i rispettivi redattori NOME e NOME d) che l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera è smentito dalle dichiarazioni dell’AVV_NOTAIO e dalla successiva decisione del RAGIONE_SOCIALE di stralciare l’opera dal piano triennale di opere pubbliche dell’ente; e) che, non avendo il AVV_NOTAIOglio AVV_NOTAIO approvato il progetto definitivo dell’opera, non è mai intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità della stessa, necessaria per l’avvio della procedura di esproprio dei terreni da essa interessati; f) che, infine, la natura discrezionale di un atto d’ufficio non esclude la contrarietà dello stesso ai doveri istituzionali, quando l’esercizio della discrezionalità sia inquinato dalle promesse del privato interessato.
2.5. L’ultimo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizi di motivazione in punto di riconoscimento di attenuanti generiche e di misura della pena.
2.5.1. Quanto alle prime, la sentenza – rinviando alle osservazioni del Tribunale ed espressamente dichiarando di condividerle – le ha giustificate perché: si tratta di soggetti incensurati e di persone apprezzate nella loro lunga attività professionale; COGNOME è persona soltanto poco attenta alle forme, con un approccio sostanzialistico all’attività, essenzialmente proiettato alla risoluzione dei problemi, insomma «l’uomo giusto al posto sbagliato»; tutti gli imputati hanno partecipato con attenzione alle udienze e, tranne uno, si sono sottoposti ad esame;
essi hanno agito in un contesto complicato, per la presenza di molteplici e contrapposti interessi e per la complessità della disciplina normativa di riferimento.
Ribatte il ricorrente: a) lo stato d’incensuratezza non solo non può giovare, per espressa disposizione di legge, ma rappresenta una precondizione per chi ricopre cariche pubbliche; b) l’imputata COGNOME si è mossa con spregiudicatezza, anche successivamente ai fatti addebitatile, contattando nel corso delle indagini le persone escusse dagli inquirenti; c) benché dichiarati prescritti, sono stati accertati plurimi falsi documentali commessi dagli imputati; d) COGNOME e COGNOME sono stati immediatamente reintegrati dall’ente, dopo la revoca della misura cautelare loro applicata, benché tale decisione fosse stata poi annullata dal Tribunale; e) l’imputato COGNOME è stato descritto come «un importante imprenditore… titolare di un’impresa solida e di lunga tradizione familiare», famiglia della quale, tuttavia, fanno parte il fratello NOME, condannato in via definitiva per bancarotta fraudolenta, e lo zio NOME, condannato in via definita per partecipazione ad associazione mafiosa; f) COGNOME ha tenuto un comportamento aggressivo verso la funzionaria che gli aveva rappresentato la dubbia legittimità del frazionamento degli incarichi oggetto degli affidamenti diretti di cui ai capi 1) e dell’imputazione, creandole un disagio tale da averla indotta, poco dopo, a trasferirsi presso un altro RAGIONE_SOCIALE; g) il giudizio degli imputati come stimati e competenti professionisti mal si concilia logicamente con l’assoluzione degli stessi da altre imputazioni di falso e truffa, giustificata dal Tribunale per avere essi agit per «dabbenaggine».
2.5.2. Riguardo al trattamento sanzionatorio, anche in questo caso replicando alle specifiche osservazioni rassegnate dal Tribunale e condivise dai giudici d’appello, il Procuratore distrettuale osserva: a) che l’assoluzione dalla corruzione di cui al capo 23) è ancora sub iudice; b) che, riguardo a COGNOME, la pluralità dei reati da lui commessi esclude l’occasionalità del suo agire illecito; c) che le intercettazioni illustrano il suo modus operandi spregiudicato; d) che i fatti di cui ai capi 19 e 2) dell’imputazione hanno determinato un incremento di costi per l’ente con il correlativo danno erariale; e) che, frazionando quegli incarichi, non si consentiva di individuare l’autore responsabile della progettazione, con conseguente pregiudizio per l’accertamento di eventuali responsabilità dei singoli; f) che, nella vicenda di cui al capo 4), gli ostacoli frapposti all’RAGIONE_SOCIALE” nell’esercizi della sua attività di vigilanza sono stati molteplici, reiterati e significativi, av gli imputati taciuto, nelle relazioni trasmesse a tale autorità, circostanze assai rilevanti.
Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato COGNOME consta di un unico motivo, ovvero la violazione della legge penale in relazione alla dichiarazione di
estinzione per prescrizione del delitto di cui all’art. 353-bis cod. pen., rubricato capo 1).
Si deduce, infatti, che il reato non sussiste, trattandosi di condotta riguardante l’attribuzione di incarichi mediante affidamento diretto e non attraverso un bando di gara od atto ed esso equipollente. Si citano, a sostegno, precedenti pronunce di questa Corte.
Il ricorso dell’imputato COGNOME COGNOME compone di quattro motivi
4.1. Il primo attiene alla rivelazione di segreto d’ufficio di cui al capo 2 dell’imputazione, per la quale la sentenza impugNOME ha confermato la condanna, pur escludendo l’ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 326 cod. pen..
Per tale capo il ricorrente lamenta:
violazione di legge e vizi di motivazione in punto di sussistenza del reato: la condotta è consistita nella consegna, ad uno dei concorrenti alla gara, della lista dei partecipanti alla stessa, il cui esito, tuttavia, per le particolari modalit selezione, non poteva essere alterato, come confermato dalle stesse sentenze di merito, che hanno per tal ragione escluso l’esistenza del delitto di cui all’art. 35 cod. pen., ipotizzato dall’accusa proprio quale conseguenza di quella notizia; pertanto, consistendo il delitto di rivelazione di segreto d’ufficio in una fattispec di pericolo concreto e non avendo il beneficiario della notizia rivelata ottenuto in concreto da essa alcun vantaggio (al contrario di quanto ritenuto in sentenza, la quale si esprime in termini di evidenza, tuttavia senza spiegare da dove ciò desuma), non può ritenersi realizzata l’offesa tipica della norma, trattandosi di condotta inidonea a mettere in pericolo il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa;
violazione dell’art. 131-bis cod. pen., in ragione della particolare tenuità dell’offesa, per le modalità della condotta, per la sua occasionalità e per l’esiguità del pericolo con essa semmai prodotto.
4.2. Il secondo motivo di ricorso riguarda il delitto di cui all’art. 353-bis co pen., contestato al capo 1) dell’imputazione, che la sentenza impugNOME ha dichiarato estinto per prescrizione.
In relazione ad esso si denunciano:
la non configurabilità del reato, per la stessa ragione dedotta nel ricorso del coimputato COGNOME;
violazione di legge e vizi di motivazione sui presupposti della ritenuta illegittimità del ricorso all’affidamento diretto degli incarichi, ovvero unitar delle opere e ragioni d’urgenza: si evidenzia, in proposito, il contrasto manifestatosi in dibattimento tra i consulenti tecnici delle parti.
4.3. Il successivo motivo attiene al connesso falso ideologico di cui al capo 2) dell’imputazione, rilevandosi, in proposito, che: a) l’attestazione sull’esistenza dei presupposti per il ricorso all’affidamento diretto degli incarichi non sarebbe mendace; b) il relativo documento non costituirebbe un atto pubblico, trattandosi di mera nota informativa, resa in assenza di un procedimento decisionale e non funzionale all’adozione di un atto da parte della Giunta AVV_NOTAIO o ad ottenere alcuna autorizzazione.
4.4. Il quarto motivo di ricorso consiste nella violazione dell’art. 578 cod. proc. pen. e nel vizio della motivazione, nella parte in cui la sentenza, relativamente ai reati di cui ai capi 1) e 2), si è limitata al rilievo della prescrizione senza analizz i motivi d’appello, come invece era obbligata a fare, avendo pronunciato condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Si fonda su quattro motivi anche il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato COGNOME.
5.1. Egli pure, con il primo motivo, deduce la violazione dell’art. 353-bis cod. pen., invocando una pronuncia assolutoria per il delitto di cui al capo 1) dell’imputazione, in luogo di quella d’improcedibilità per prescrizione, non versandosi in ipotesi di procedure di affidamento d’incarichi a base concorsuale.
5.2. Con il secondo, adduce che l’insussistenza di quel delitto comporta necessariamente quella del falso ideologico ad esso strumentale, contestato al capo 2) dell’imputazione.
5.3. La terza doglianza riguarda sempre questo delitto di falso, che – si sostiene – comunque non sussisterebbe, in quanto il documento censurato in realtà non conterrebbe alcuna attestazione di legittimità degli affidamenti diretti, ma soltanto un’indicazione di opportunità degli stessi, pur sempre – ivi si legge -«fatte salve le condizioni di sussistenza dei presupposti di carattere giuridico amministrativo necessari per legittimare detti incarichi nel rispetto delle vigent normative».
5.4. Da ultimo, il ricorso lamenta, ai fini della ritenuta responsabilità civile d ricorrente verso la parte civile RAGIONE_SOCIALE di Como, l’assenza di una specifica risposta, in motivazione, ai motivi di appello riguardanti: a) il valore della firma da costui apposta, nella sua qualità di AVV_NOTAIO, alla relazione di COGNOME oggetto del falso ideologico di cui al capo 2) dell’imputazione; b) l’assenza, in tale documento, di un’attestazione falsa; c) l’inesistenza del dolo.
Poggia su due motivi il ricorso dell’imputato COGNOME.
6.1. Il primo consiste nel vizio della motivazione con cui è stata ritenuta la colpevolezza del ricorrente, quale concorrente extraneus, nella rivelazione di segreto d’ufficio di cui al capo 22) dell’imputazione.
Entrambe le sentenze di merito – si deduce – non sono state in grado di precisare una sua condotta ulteriore rispetto alla mera ricezione della notizia comunicatagli da COGNOME, che di per sé non vale ad integrare il reato (si citano, sul punto, precedenti di questa Corte).
6.2. Con il secondo motivo si rimprovera alla Corte d’appello di aver omesso di motivare sul terzo motivo del gravame, con il quale s’invocava l’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
Non vi sarebbe, sul punto, neppure una motivazione implicita, poiché, anzi, le considerazioni rassegnate in sentenza a proposito del riconoscimento delle attenuanti generiche e dei doppi benefici di legge (ridimensioNOME gravità dei fatti, prognosi favorevole sulla condotta futura dell’imputato) si presenterebbero coerenti con i presupposti di cui all’art. 131-bis, cod. pen.
L’imputata COGNOME chiede di annullare la sentenza impugNOME per tre ragioni.
7.1. Anch’ella lamenta, anzitutto, la violazione dell’art. 353-bis cod. pen., invocando una pronuncia assolutoria per il delitto di cui al capo 1) dell’imputazione, in luogo di quella d’improcedibilità per prescrizione, non versandosi in ipotesi di procedure di affidamento d’incarichi a base concorsuale.
7.2. La seconda doglianza consiste nella violazione di legge e nel vizio della motivazione, per avere la sentenza omesso uno specifico confronto critico con i motivi di gravame, invece necessario nel caso, come quello in esame, di confermata condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
7.3. NOMEzione di legge e vizi della motivazione minerebbero la sentenza, infine, nella parte in cui ha ritenuto illegittimo il ricorso alla procedur affidamento diretto, trascurando le osservazioni dei consulenti tecnici di parte e le ragioni che, invece, rendevano legittima quella procedura, ovvero: situazione di estrema urgenza, natura di lavori complementari (art. 57, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006), contratti rientranti nella categoria della “sponsorizzazione interna”, per la quale non trovano applicazione il codice dei contratti pubblici e le soglie di spesa per l’affidamento diretto.
I difensori di alcuni degli imputati hanno prodotto memorie di replica al ricorso del Procuratore generale.
8.1. Secondo le difese di COGNOME e di COGNOME i primi due motivi di tale ricorso sono inammissibili.
Il primo sarebbe volto ad una non consentita rivisitazione del fatto. È rimasto insuperabilmente dubbio, infatti, il presupposto di fatto del superamento della soglia di valore entro la quale sarebbe stato possibile procedere alla variante senza necessità di un nuovo appalto; in proposito, non può ipotizzarsi un travisamento della prova da parte della Corte d’appello, già solo ove si consideri la complessità delle vicende e del relativo compendio istruttorio.
Il secondo motivo di ricorso, invece, deve ritenersi manifestamente infondato, essendo giuridicamente errata la proposta considerazione della delibera di variante come atto equipollente ad un bando di gara.
8.2. La difesa di COGNOME sostiene anch’essa che il ricorso del Procuratore generale distrettuale sia inammissibile, in quanto ripropone questioni di fatto già risolte dai giudizi di merito, ricorrendo essenzialmente ad una lettura decontestualizzata di dichiarazioni testimoniali e conversazioni intercettate.
In particolare, poi, per i capi oggetto di doppia conforme liberatoria, non viene prospettato il carattere manifesto del vizio logico, necessario per superare il relativo giudizio di merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello.
1.1. I primi due motivi di ricorso, con i quali s’impugnano le assoluzioni dalle imputazioni dei delitti di turbata libertà di scelta del contraente contestati ai ca 4) e 5), sono inammissibili, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., non potendo ravvisarsi alcun interesse del Pubblico ministero ad impugnare.
1.1.1. L’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere concreto: deve, cioè, mirare a rimuovere l’effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subìto con il provvedimento impugnato e persistere sino al momento della decisione (così, per tutte, Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208165).
È perciò inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione con il quale – come nel caso in esame – il Pubblico ministero deduca carenze nell’accertamento dei fatti in ordine ad una pronuncia assolutoria adottata dal giudice di secondo grado perché il fatto non sussiste, qualora, nelle more del giudizio di legittimità, sia intervenuta la prescrizione del reato, giacché il mezz d’impugnazione deve perseguire un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (in questi termini, Sez. 2, n. 40373 del
27/09/2023, Pantano, Rv. 285254; Sez. 2, n. 37876 del 12/09/2023, COGNOME, Rv. 285026).
Né la sola presenza della parte civile nel processo può determinare l’operatività dell’art. 578 cod. proc. pen., e quindi la necessità, per il giud dell’impugnazione, di esaminare comunque la fondatezza o meno della stessa, essendo necessario, a tal fine, che detta parte abbia anch’essa impugnato la sentenza d’appello: ciò che, invece, in questo processo non è avvenuto, essendosi perciò formato il giudicato sulle connesse statuizioni civili liberatorie per imputati (in questo senso, in motivazione, Sez. 2, n. 40373/2023, cit.).
1.1.2. Nello specifico, dunque, va rilevato che, nelle more della presente impugnazione, i reati oggetto dei capi 4) e 5) dell’imputazione, quand’anche configurabili, si sono comunque prescritti.
Dalla data delle relative condotte – fissata, al più tardi, al 4 maggio 2016 per il capo 4) e per l’imputato COGNOME, ed al 5 ottobre 2015 per il capo 5) – è ormai interamente decorso il termine di sette anni e sei mesi, previsto a tal fine dalla legge al tempo vigente, pur con l’aggiunta del periodo di sospensione dello stesso, pari a ventinove giorni (vds. pag. 44, sent. appello).
Ove mai fondato, dunque, il ricorso del Pubblico ministero non potrebbe comunque conseguire un effetto concreto, rimanendo fermo il proscioglimento degli imputati, seppur eventualmente con una diversa formula, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244275).
1.2. Meritano, invece, di essere accolti il terzo ed il quinto motivo di ricorso con i quali il Pubblico ministero distrettuale censura l’assoluzione degli imputati COGNOME e COGNOME dal delitto di corruzione di cui al capo 23) e la relativ qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 318 cod. pen., anziché del successivo art. 319.
1.2.1. Quanto a COGNOME, il ragionamento che ha condotto la Corte d’appello alla sua assoluzione si fonda sostanzialmente su due aspetti: uno di tipo formale, in quanto, secondo il capo d’imputazione, la dazione di denaro effettuata in suo favore dall’imprenditore COGNOME avrebbe rappresentato esclusivamente il compenso per la sua intermediazione illecita verso COGNOME e non per l’attività da lui personalmente svolta in favore di tale imprenditore; l’altro di natur sostanziale, vale a dire l’assenza della necessaria qualifica pubblica, avendo egli ricevuto detta somma quando già era in quiescenza.
Entrambe le osservazioni sono errate, per le ragioni evidenziate dall’autorità giudiziaria ricorrente.
La prima, infatti, non tiene conto della complessiva descrizione del fatto contenuta nel capo d’imputazione, che illustra l’intera vicenda ed indica espressamente anche la condotta di favore compiuta dal COGNOME nei confronti di NOME quando ancora era in servizio, consistita nell’inserimento del progetto d’interesse per quell’imprenditore nell’elenco delle opere pubbliche cc.dd. “sotto soglia”.
Quanto al presupposto della qualifica soggettiva, il giudice d’appello sembra dimenticare il disposto dell’art. 360 cod. pen. (che in effetti non cita nemmeno), secondo il quale – per quanto qui interessa – quando la qualità di pubblico ufficiale è elemento costitutivo di un reato, la cessazione di essa nel momento in cui il reato è commesso non esclude l’esistenza dello stesso, se il fatto si riferisce all’uffici esercitato.
L’estensione della rilevanza della qualifica pubblica oltre la sua attualità, prevista ai fini penali da quella disposizione normativa, presuppone l’esistenza di un rapporto funzionale tra tale qualità e la commissione del reato, giacché soltanto in questo caso l’interesse pubblico, quale bene giuridico tutelato dalle relative fattispecie incriminatrici, può essere leso o posto in pericolo dall’agente nonostante il venir meno del suo ruolo pubblico (tra altre: Sez. 6, n. 2230 del 11/12/2019, dep. 2020, Rennella, Rv. 278131; Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo, Rv. 256596; Sez. 6, n. 20558 del 11/05/2010, Pepoli, Rv. 247394).
Questo significa, allora, per rimanere ai delitti di corruzione, che è necessario individuare l’esistenza di specifici elementi di collegamento tra l’attività compiut dal “corrotto” nell’esercizio della propria funzione pubblica e l’interesse perseguito dal “corruttore”, tale da consentire al primo di soddisfare detto interesse pur non essendo più in servizio. Solo in questo caso, infatti, può trovare giustificazione la “ultrattività” di un presupposto del reato non più esistente, senza che ne derivino tensioni con i princìpi di legalità e di personalità della responsabilità penale.
Tanto premesso, nello specifico, dalla sentenza di primo grado – richiamata per la ricostruzione dei fatti da quella impugNOME e dalla stessa non contraddetta per tale profilo – emerge che COGNOME non solo avesse tenuto comportamenti di favore per COGNOME, in relazione alla specifica vicenda de qua, quando ancora era in servizio, ma altresì che, una volta cessato da quest’ultimo, oltre a continuare a prestare a costui ausilio tecnico a titolo privato, abbia contattato, nell’interess dello stesso, il proprio successore nella funzione istituzionale svolta, ottenendo che anche questi sostanzialmente favorisse tale imprenditore. I comportamenti da lui tenuti dopo la collocazione in quiescenza, dunque, si saldano logicamente con quelli precedenti, venendo perciò attratti da questi ultimi nella relativa valutazione agli effetti penali, in quanto – come vuole il citato art. 360 – riferibili all’uff esercitato.
A tanto si aggiunga – secondo un principio che si attaglia alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito – che, qualora l’opera d’intermediazione abbia sortito il proprio effetto, riuscendo a stabilire il contatto tra il pr corruttore ed il funzionario corrotto, essa comunque esula dal perimetro applicativo del traffico d’influenze ex art. 346-bis cod. pen., integrando il concorso del “mediatore” nella corruzione dell’agente pubblico.
1.2.2. Riguardo, poi, alla posizione di COGNOME, la sentenza impugNOME compie un’operazione logica non corretta, scomponendone la complessiva condotta nei diversi comportamenti attuativi e valutando gli stessi separatamente, con l’effetto di perderne di vista il significato unitario in chiave teleologica.
Ma non solo. Essa trascura, infatti, un fatto incontroverso e che, invece, si presenta centrale per la valutazione del complessivo contegno di questo imputato: la circostanza, cioè, che egli abbia avuto ben chiari, sin dall’origine del su rapporto con NOME, quali fossero gli interessi di costui ed i suoi intenti corrutt dallo stesso, del resto, palesemente manifestatigli.
Muovendo da tale dato, finiscono allora per risultare equivoci, sul piano logico, l’iniziale rifiuto da lui opposto alle originarie proposte corruttive formulategli, c pure l’effettivo svolgimento dell’incarico affidatogli ed il pagamento ricevuto con modalità tracciabili, laddove vengano letti alla luce degli elementi di fatt valorizzati dal Procuratore ricorrente, i quali valgono a tratteggiare la figura di ta imputato come quella, piuttosto, di un funzionario sensibile alle lusinghe corruttive ed esperto nel dissimulare tali relazioni improprie: non trovano una spiegazione logica più lineare, invero, la circostanza per cui egli abbia continuato a coltivare l proprie relazioni personali ed istituzionali con chi aveva cercato palesemente di corromperlo, come pure il fatto che egli abbia costantemente tenuto la propria amministrazione all’oscuro di quei rapporti sottostanti con chi gli aveva affidato un incarico professionale pur formalmente legittimo.
Anzi, proprio sotto questo specifico profilo, la sentenza impugNOME risulta essere incorsa in un travisamento della prova per omissione, su un dato di fatto indubbiamente qualificante ai fini della decisione, avendo escluso l’esistenza di rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e la “RAGIONE_SOCIALE (l’azienda, cioè, che aveva affidato l’incarico professionale a COGNOME), quando invece il primo risultava essere il tecnico incaricato da quella RAGIONE_SOCIALE per la progettazione della stessa opera oggetto del collaudo affidato a COGNOME.
Anche alla luce di tale fraintendimento probatorio, la già discutibile tenuta logica della motivazione della sentenza viene del tutto meno, rendendosi perciò indispensabile una rivalutazione complessiva delle emergenze istruttorie, con la conseguente necessità di rinviare il processo al giudice di merito, perché vi provveda, annullando la sentenza per la parte relativa.
1.2.3. A tal fine, tuttavia, s’impone una precisazione, che permette di passare a trattare del quinto motivo di ricorso, in tema di qualificazione giuridica dell descritta condotta corruttiva come “propria” (art. 319 cod. pen.) oppure per l’esercizio della funzione (art. 318 stesso codice).
Sul punto, la sentenza impugNOME è sostanzialmente rimasta in silenzio, avendo escluso a monte l’esistenza di una corruzione e, perciò, rendendosi essenziale rinviarle la decisione sul relativo motivo d’appello del Pubblico ministero.
Giova rilevare, in proposito, che, qualora il fatto fosse qualificato come corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (e solo in questo caso), il reato non sarebbe prescritto, dovendo perciò il tema ritenersi ancora attuale.
In argomento, nel rimettere alla Corte d’appello la compiuta individuazione della normativa di riferimento, anche di rango secondario, essendo piuttosto confuso il quadro che ne restituisce la sentenza impugNOME, si rende necessaria in questa sede una precisazione. Poiché parrebbero emergere possibili profili di discrezionalità dell’attività amministrativa oggetto di contestazione, il giudice del rinvio, nel suo giudizio, dovrà uniformarsi al principio per cui, in tema di reat contro la pubblica amministrazione, l’accettazione da parte del pubblico agente di un’indebita remunerazione per l’esercizio di un potere discrezionale non implica necessariamente l’integrazione del delitto di corruzione propria, dovendosi accertare che egli, violando le regole che disciplinano l’esercizio del potere, abbia pregiudizialmente inteso realizzare l’interesse del privato corruttore: sicché, qualora l’atto compiuto abbia comunque perseguito l’interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, e non sia stato violato alcun dovere specifico, è configurabile il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione (così, tra alt Sez. 6, n. 44142 del 24/05/2023, COGNOME Guardo, Rv. 285366).
1.3. Il quarto motivo di ricorso, con cui il Procuratore distrettuale contesta l’assoluzione dai falsi documentali strumentali alla vicenda corruttiva appena esamiNOME (capi 15 e 16 dell’imputazione), è inammissibile.
Trattandosi di reati risalenti, al più tardi, al gennaio del 2016, ess computando anche la già ricordata sospensione del decorso del relativo termine per ventinove giorni, si sono estinti per prescrizione comunque prima di settembre del 2023.
Valgano, dunque, anche per essi, le considerazioni di cui al precedente § 1.1.1, che conducono a ritenere l’assenza di un interesse del Pubblico ministero ad impugnare.
1.4. Merita accoglimento, infine, il sesto motivo del ricorso in rassegna, con il quale si contestano le determinazioni della Corte d’appello in tema di attenuanti generiche e di trattamento sanzionatorio.
Vero è che, sul punto, quello del giudice di merito è un giudizio di puro fatto, come tale, a lui riservato; ciò non di meno, esso risulta sindacabile in questa sede nei limiti della manifesta apparenza o irragionevolezza.
Va perciò rilevato, nel caso specifico, che, a fronte di articolati motivi d doglianza sul punto, proposti dal Pubblico ministero con il suo gravame, la Corte distrettuale si è limitata ad una generale e generica condivisione delle osservazioni del primo giudice, anch’esse tuttavia – per come riportate testualmente in ricorso – sostanzialmente di maniera o difficilmente conciliabili con i dati di fatto emergenti dalla sentenza medesima.
Se a questo si aggiunge che risulta ancora sub iudice l’accertamento di responsabilità su un reato di significativa gravità, com’è quello di corruzione di cui al capo d’imputazione 23), deve concludersi per la necessità di una motivazione supplementare del giudice d’appello anche sul riconoscimento o meno delle circostanze attenuanti generiche e sulla misura della pena.
1.5. In conclusione, dunque, in parziale accoglimento del ricorso del Procuratore generale distrettuale, la sentenza impugNOME dev’essere annullata con rinvio nel capo relativo ai fatti di cui al capo 23) dell’imputazione e nel punt riguardante il trattamento sanzionatorio, compreso il riconoscimento delle attenuanti generiche.
I restanti motivi di ricorso, invece, debbono essere dichiarati inammissibili.
2. Il ricorso dell’imputato NOME COGNOME.
Tale impugnazione è fondata.
Il delitto di turbata liberta di scelta del contraente a lui addebitato è sta dichiarato estinto per prescrizione dalla sentenza impugNOME. Di conseguenza, la sentenza di assoluzione, a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., da lui invocata, potrebbe pronunciarsi soltanto nel caso in cui le circostanze idonee ad escludere la rilevanza penale della sua condotta emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu ()cuti, che a quello di “apprezzamento” e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490/2009, ric. Tettannanti, cit.).
Tale, appunto, è la situazione rilevabile nel caso di specie, emergendo indiscutibilmente dalla sentenza che la contestazione sia stata elevata con riferimento ad una procedura di affidamento di una commessa pubblica in forma diretta, senza, cioè, l’espletamento di alcuna gara, anche soltanto informale.
Tanto premesso in fatto, deve allora trovare applicazione il principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui, ai fini dell’integrazione del reato di turbata
libertà del procedimento di scelta del contraente, la condotta perturbatrice dev’essere finalizzata ad inquinare il contenuto del bando di gara o di altro atto che, dettando i requisiti e le modalità di partecipazione alla competizione, assolva ad analoga funzione, prevedendo, cioè, un segmento valutativo concorrenziale. Ne consegue che non configura il reato la condotta perturbatrice che, senza condizionare la procedura selettiva del contraente, sia espressione di una diffusa “mala gestio” dell’amministrazione, come nel caso in cui la stessa decisione di procedere all’affidamento diretto sia il risultato di condotte elusive della gar eventualmente necessaria (Sez. 6, n. 17876 del 11/01/2022, COGNOME, Rv. 283155; Sez. 5, n. 45709 del 26/10/2022, COGNOME, v. 283890).
Invero, considerare «atto equipollente» al bando di gara – come richiede l’art. 353-bis, cit. – quello che tale procedura ometta di svolgere rappresenta, più che un’estensione analogica in malam partem del testo normativo, un vero e proprio sovvertimento di esso, in frontale contrasto con il monito rivolto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 98 del 2021. Con questa decisione, infatti, è stato ribadito che sono le norme incriminatrici a dover «fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte», risultando perciò intollerabile che la sanzione penale possa colpire l’individuo «per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore»; il divieto di applicazione analogica del norme incriminatrici – ha specificato il Giudice delle leggi – «costituisce il naturale completamento di altri corollari del principio di legalità in materia penale, sancit dall’art. 25, secondo comma, Cost., e in particolare della riserva di legge e del principio di determinatezza».
Vero è che le prassi elusive dell’obbligo di adottare procedure concorsuali nella materia dell’affidamento delle commesse pubbliche incidono, pregiudicandolo, sul principio della libera concorrenza e, correlativamente, anche su quelli dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione. Si tratta, però, di casi che pongono il giudice penale in una situazione del tutto assimilabile a quella già verificatasi nella vigenza del solo art. 353 cod. pen., per l’impossibili di sussumere nella relativa previsione, circoscritta allo svolgimento della procedura concorsuale, il fenomeno dei cc.dd. “appalti su misura”, dell’anticipazione, cioè, degli accordi collusivi e distorsivi dell’attività della pubblica amministrazione momento della predisposizione del bando di gara, e quindi ad una fase precedente a quella contemplata da tale disposizione incriminatrice.
Nel 2010, il legislatore si fece carico di questa esigenza ed avanzò la soglia di punibilità della condotta del pubblico funzionario, appunto introducendo nel codice penale l’art. 353-bis.
Oggi, dunque, come allora, è compito e responsabilità del legislatore decidere se anticipare ulteriormente tale soglia, con una disposizione incriminatrice specifica delle condotte intenzionalmente elusive dell’obbligo di gara e tese a favorire predeterminati soggetti. Allo stato della legislazione, infatti, sim condotte, nella ricorrenza degli ulteriori presupposti normativi, possono dar luogo ad altri reati, per i quali la correttezza formale dell’atto adottato può anche no risultare liberatoria (corruzione, induzione indebita, concussione, abuso d’ufficio, almeno nella formulazione ad oggi ancora vigente), oppure possono trovare la loro sanzione esclusivamente nell’annullamento, da parte del giudice amministrativo, degli atti che ne sono derivati: quel che è certo, invece, è che esse non integrano il delitto previsto e punito dall’art. 353-bis cod. pen., ipotizzato dall’accusa ritenuto in sentenza (vds., in proposito, Sez. 6, n. 5096 del 09/01/2024, NOME, Rv. 285983, in motivazione).
Sulla base di queste considerazioni, la sentenza impugNOME dev’essere annullata senza rinvio nei confronti dell’imputato COGNOMECOGNOME in relazione ai fatti di cu al capo 1) dell’imputazione, perché il reato a lui ivi ascritto non sussiste.
3. Il ricorso dell’imputato NOME COGNOME.
3.1. Il primo motivo d’impugnazione, con cui si contestano la configurabilità del delitto di rivelazione di segreti d’ufficio di cui al capo 22) dell’imputazione e, subordine, l’esclusione, per esso, della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, non può essere ammesso.
3.1.1. Il primo di tali assunti è manifestamente infondato.
La tesi difensiva può essere condivisa soltanto finché deduce che il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio ha natura di reato di pericolo effettivo e no meramente presunto, così che la rivelazione del segreto è punibile non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta (così, infatti, Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012, Casani, Rv. 251271).
Non tiene conto, però, il ricorrente che, trattandosi di un reato posto a tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, la sua configurabilità può essere esclusa solo in caso di divulgazione di notizie futili o insignificanti (Sez. 6, n. 49526 del 03/10/2017, Greco, Rv. 271565).
Tanto premesso, la rivelazione delle ditte partecipanti alla gara ad uno degli imprenditori a questa interessati ragionevolmente è stata giudicata in sentenza come un fatto suscettibile di mettere in pericolo il corretto svolgimento della competizione, costituendo il naturale prodromo per accordi collusivi o manovre sotterranee.
Di tanto si trae conferma logica, del resto, nel fatto che – come evidenziato da entrambi i giudici di merito – sia stato proprio l’imprenditore COGNOME a chiedere a COGNOME l’elenco delle ditte partecipanti, così dimostrando di avervi uno specifico interesse in prospettiva della gara: del resto, sarà poi proprio l’azienda del COGNOME a ricevere in subappalto parte dei lavori dalla ditta risultata vincitrice.
3.1.2. La censura riguardante l’omessa applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis, cod. pen., invece, non è stata proposta alla Cort d’appello, che dunque non si è pronunciata sul punto.
Ora, non v’è dubbio che sia deducibile con il ricorso per cassazione il difetto di motivazione della sentenza d’appello che non abbia rilevato ex officio la sussistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, al par di quanto previsto dall’art. 129 cod. proc. pen., per le altre cause d proscioglimento immediato: ciò vale, però, a condizione che il ricorrente indichi i presupposti legittimanti la pretesa applicazione di tale causa di non punibilità, dai quali possa evincersi la decisiva rilevanza della dedotta lacuna motivazionale. (Sez. 6, n. 5922 del 19/01/2023, Camerano Spelta Rapini, Rv. 284160).
Nello specifico, invece, la difesa di COGNOME non solo non si è lamentata del difetto di motivazione, ma, NOMEttutto, non ha indicato gli elementi di fatto decisiv per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto e, in ipotesi, trascurati giudici d’appello, limitandosi piuttosto a dolersi della mancata applicazione di tale causa di non punibilità, e quindi chiedendo alla Corte di cassazione un giudizio di puro fatto ad essa precluso.
3.2. Il secondo motivo di ricorso, in tema di assoluzione per il delitto di cu all’art. 353-bis cod. pen., rubricato al capo 1), è fondato, per le stesse ragioni esposte nel trattare l’identica doglianza del coimputato COGNOME, alle quali perciò si rinvia (retro, § 2).
3.3. Il terzo motivo, con il quale, analogamente, si censura la sentenza d’appello per aver dichiarato l’estinzione per prescrizione dei connessi reati di falso di cui al successivo capo 2), anziché assolvere l’imputato per insussistenza del fatto, non ha giuridico fondamento.
Ribaditi i limiti della cognizione del giudice in presenza di una causa estintiva del reato, come fissati dalla citata “sentenza Tettarnanti” delle Sezioni Unite di questa Corte, ma considerando che l’imputato, per tali reati, ha riportato condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, si rendono tuttavia necessarie alcune osservazioni sulle sue doglianze.
3.3.1. La prima, con cui si contesta il carattere mendace delle relative attestazioni in punto di esistenza delle condizioni tecnico-normative per il conferimento dell’incarico mediante affidamento diretto, pone esclusivamente
censure di fatto, peraltro in modo del tutto generico ed in via puramente ipotetica: come tali, perciò, non consentite in questa sede.
3.3.2. Con la seconda, invece, si assume che l’atto ritenuto ideologicamente falso – ovvero le “linee di indirizzo operativo” predisposte da COGNOME per la Giunta municipale in relazione alla pratica riguardante la perizia di variante per il c.d. “appalto paratie” del lago di Como – non costituisca atto pubblico agli effetti penali, consistendo in una mera nota informativa.
L’assunto non è fondato.
Il concetto di “atto pubblico”, agli effetti della tutela penale, è più ampio quello desumibile dall’art. 2699 cod. civ., rientrandovi anche i documenti formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato, nell’esercizio delle loro funzioni, pe uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, purché aventi l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione. Sono, perciò, atti pubblici anche gli atti interni e quell preparatori di una fattispecie documentale complessa, vale a dire sia quelli che sono destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, sia quelli che si collocano nel contesto di un iter complesso, conforme o meno allo schema tipico, ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi (Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, COGNOME, Rv. 281041; Sez. 5, n. 38455 del 10/05/2019, COGNOME, Rv. 277092; Sez. 5, n. 17089 del 17/02/2022, COGNOME, Rv. 283007, la quale ha precisato che tali atti sono pubblici anche quando non redatti da pubblici ufficiali ed a prescindere dal fatto che il loro contenuto sia integralmente trasfuso nell’atto finale de pubblico ufficiale).
3.4. Il quarto motivo, infine, con cui si deduce la mancata analisi dei motivi d’appello, è del tutto inammissibile, perché manifestamente privo di fondamento.
Le ragioni difensive, infatti, sono quelle di puro fatto attinenti alla presenz dei presupposti per l’affidamento diretto, riproposte con il terzo motivo del presente ricorso e sulle quali la Corte distrettuale si è compiutamente soffermata (pagg. 44-48 della motivazione).
3.5. In conclusione, il ricorso di COGNOME dev’essere accolto con riferimento ai fatti di cui al capo 1) dell’imputazione e la sentenza impugNOME, limitatamente ad essi, dev’essere annullata senza rinvio, perché il reato a lui ivi ascritto non sussiste. La sua impugnazione, invece, va dichiarata inammissibile in relazione al capo d’imputazione 22), mentre dev’essere complessivamente rigettata nel resto.
4. Il ricorso dell’imputato NOME COGNOME.
4.1. Il primo motivo, con cui s’invoca l’assoluzione nel merito per il delitto d cui all’art. 353-bis cod. pen., contestato al capo 1) dell’imputazione, in luogo del
proscioglimento per estinzione disposto dalla sentenza impugNOME, ripropone la questione sollevata dai coimputati COGNOME e COGNOME e ritenuta fondata.
Anche per COGNOME, dunque, la sentenza, per tale capo, dev’essere annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste (retro, § 2).
4.2. Il secondo motivo, mediante il quale si assume che, non sussistendo tale delitto, verrebbe automaticamente meno anche il falso documentale ad esso strumentale, contestato al capo 2) dell’imputazione, è manifestamente infondato.
Il delitto di turbata libertà di scelta del contraente, infatti, è stato esc soltanto in ragione dell’assenza di una procedura competitiva per l’affidamento della commessa, non perché dovesse reputarsi veridico il documento mediante il quale gli imputati avrebbero eluso l’obbligo di indire la gara.
Pertanto, in assenza di specifiche censure sulle ragioni per le quali tale documento non potrebbe considerarsi falso, la censura è, se non altro, generica e, come tale, inammissibile in questa sede.
4.3. Il terzo motivo, riguardante anch’esso tale imputazione di falso ideologico, non è fondato.
Si deduce, con esso, che il delitto non sussisterebbe, perché il documento conteneva solo un’indicazione di opportunità per l’affidamento diretto e non un’attestazione dell’esistenza dei relativi presupposti, prevedendo, anzi, un’espressa clausola di salvezza in tal senso («fatte salve le condizioni di sussistenza dei presupposti di carattere giuridico amministrativo necessari per legittimare detti incarichi nel rispetto delle vigenti normative»).
Tale circostanza, tuttavia, ragionevolmente non è stata reputata decisiva dai Giudici di merito, risolvendosi quella clausola in un inciso di puro stile, come si trae logicamente dalla circostanza per cui detto documento e la delibera della Giunta municipale che ne recepiva le indicazioni tecniche recavano la stessa data del 13 novembre 2013 (pag. 6, sent. appello), con esclusione, dunque, per l’organo politico, anche volendolo, di qualunque possibilità di un reale controllo di merito sui relativi contenuti.
A questo si aggiunga che – come osservato in modo puntuale dalla sentenza di primo grado (pag. 131), la cui motivazione si salda con quella d’appello per le parti non oggetto di specifica censura – la relazione redatta da COGNOME e sottoscritta anche da COGNOME presentava due specifiche attestazioni mendaci su importi e natura specialistica degli incarichi.
4.4. Infondato, infine, è pure l’ultimo motivo, secondo cui la sentenza impugNOME non avrebbe risposto ai motivi di gravame attinenti all’assenza di un’attestazione inveritiera nella relazione di COGNOME oggetto del falso ideologico di cui al capo 2) dell’imputazione, alla valenza della firma apposta dal ricorrente a
tale documento nella sua qualità di AVV_NOTAIO della città di Como, nonché, infine, all’inesistenza del dolo.
Ebbene, sulla falsità delle attestazioni, valga quanto rilevato al punto precedente, trattandosi di profilo compiutamente esaminato dalle sentenze di merito nel loro complesso; mentre, per quel che riguarda il valore della firma apposta dal AVV_NOTAIO COGNOME e la sua assenza di dolo, il ricorso non indica quali sarebbero stati gli argomenti trascurati dalla Corte d’appello né le ragioni per le quali essi avrebbero potuto superare logicamente le puntuali osservazioni con cui la sentenza di primo grado aveva disatteso i rilievi difensivi su tali aspetti (vds pag. 132, sent. Tribunale).
4.5. Anche per COGNOME, dunque, il ricorso dev’essere accolto limitatamente ai fatti di cui al capo 1) dell’imputazione, con il conseguente annullamento senza rinvio della sentenza per questa parte, perché il reato a lui ivi ascritto non sussiste
Per il resto, la sua impugnazione è nel suo complesso infondata e, pertanto, dev’essere rigettata.
5. Il ricorso dell’imputato NOME COGNOME.
5.1. È fondato il secondo motivo di ricorso, relativo al difetto di motivazione sul motivo d’appello riguardante il mancato riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Effettivamente era stato proposto, sul punto, uno specifico motivo di gravame, al quale la Corte d’appello non ha dato alcuna risposta (vds. pagg. 37 e 54-56, sent.).
La decisione impugNOME dovrebbe perciò essere annullata con rinvio al giudice di merito, per l’integrazione della propria motivazione sul punto.
V’è però che, nelle more, il reato si è prescritto, essendosi consumato nel novembre del 2015 ed essendo da allora trascorso il termine di sette anni e sei mesi, previsto a tal fine dalla legge allora vigente, pur con l’aumento di ventinove giorni durante i quali il suo decorso è rimasto sospeso.
Agli effetti penali, si rende perciò inutile il rilievo di tale vizio di motivaz che il giudice di rinvio non potrebbe colmare, in quanto avrebbe l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490/2009, COGNOME, cit.).
Conseguentemente, la sentenza dev’essere annullata senza rinvio.
5.2. La presenza della parte civile e la condanna dell’imputato alle relative prestazioni risarcitorie, disposta con la sentenza impugNOME, rendono comunque necessario esaminare, benché ai soli fini civili, anche il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la configurabilità di un concorso di costui nel reato.
5.2.1. In proposito, si rende opportuna una precisazione.
Alcun rilievo potrebbe avere l’esito dell’eventuale giudizio sulla configurabilità o meno della particolare tenuità del fatto, poiché, quand’anche ravvisata, essa determinerebbe esclusivamente la non punibilità dell’imputato, rimanendo invece accertati sia la sussistenza del reato che la colpevolezza del suo autore.
Non può condurre a diverse determinazioni la circostanza per cui l’art. 538, cod. proc. pen., allorché attribuisce al giudice il potere di decidere sulla domanda risarcitoria, faccia espresso riferimento soltanto alla pronuncia di una «sentenza di condanna». Tale dato testuale dev’essere inteso, infatti, nel senso di accertamento della responsabilità penale, dovendo perciò aversi riguardo ai presupposti della stessa: sussistenza del fatto tipico di reato e colpevolezza del suo autore, appunto. D’altronde, a ritenere diversamente, la disposizione in questione non si conciAVV_NOTAIObbe con quella del successivo art. 651-bis, comma 1, che assegna alla sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della commissione da parte dell’imputato.
5.2.2. Tanto premesso, la doglianza si presenta manifestamente infondata, già in fatto prim’ancora che in diritto. Si sostiene, infatti, che il ricorren sarebbe limitato a ricevere da COGNOME COGNOME informazioni circa le altre ditt partecipanti alla gara, quando invece si legge chiaramente in sentenza che la relativa richiesta è partita proprio da lui e non è stata il frutto dell’iniziativa d funzionario, che anzi avrebbe manifestato, se non altro, delle perplessità (avuto riguardo all’esclamazione da lui pronunciata in risposta, per come riportata a pag. 18 della sentenza impugNOME).
Deve perciò escludersi – come invece si vuole sostenere in ricorso – che egli si sia limitato ad un contegno puramente passivo, avendo in realtà svolto l’essenziale ruolo di istigatore della condotta tipica del pubblico ufficiale ed avendo perciò prestato un contributo necessario alla commissione del reato.
6. Il ricorso dell’imputata NOME COGNOME.
Imputata del solo delitto di cui all’art. 353-bis cit., rubricato al capo dell’imputazione e dichiarato estinto per prescrizione dalla sentenza d’appello, anch’ella ha impugnato tale decisione nella parte in cui non ha escluso la configurabilità del reato.
Anche alla sua posizione debbono estendersi le osservazioni rassegnate in proposito nei paragrafi precedenti per COGNOME e gli altri coimputati, dovendo perciò pervenirsi, anche nei suoi confronti, all’annullamento senza rinvio della sentenza d’appello, perché il reato contestatole non sussiste.
Ovviamente, rimangono superati gli ulteriori motivi di ricorso, in quanto attinenti ad ipotizzati vizi della motivazione sui presupposti di fatto per l legittimità o meno della procedura di affidamento diretto.
7. Le statuizioni civili.
Fatta eccezione per gli imputati COGNOME e COGNOME, per i quali la sentenza impugNOME è stata annullata senza rinvio in relazione al residuo reato loro ascritto (capo 1), per l’insussistenza dello stesso, per gli altri è stata confermata la decisione di condanna oppure è stato disposto o confermato il proscioglimento per prescrizione: segNOMEmente, per COGNOME, in relazione ai capi 2) e 22); per COGNOME, in relazione al capo 2); per COGNOME, in relazione al capo 22).
Da tanto consegue la conferma, per costoro, della condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE di Como, disposta in sede di merito.
A norma dell’art. 592, comma 4, cod. proc. civ., gli stessi imputati, in quanto soccombenti, seppur non integralmente, debbono essere condannati altresì al ristoro delle spese giudiziali del grado in favore della stessa parte civile: che, i ragione, da un lato, della parziale soccombenza di essa, ma, dall’altro, della pluralità di parti avversarie e della molteplicità e difficoltà delle questioni tratt si stima equo liquidare in complessivi tremila euro, oltre agli accessori di legge.
P.Q.M.
In parziale accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale, annulla la sentenza impugNOME nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente al reato di cui al capo 23) e al trattamento sanzionatorio, rinviando per nuovo giudizio su tali capo e punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del Procuratore generale.
Annulla senza rinvio la sentenza impugNOME nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, relativamente al reato di cui al capo 1), perché il fatto non sussiste.
Annulla senza rinvio la sentenza impugNOME nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente al reato di cui al capo 1), perché il fatto non sussiste e rigetta ne resto il ricorso del predetto imputato, con la conferma delle correlate statuizioni civili.
Annulla senza rinvio la sentenza impugNOME nei confronti di COGNOME NOME, relativamente al reato di cui al capo 22), perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione, confermando le correlate statuizioni civili.
Annulla senza rinvio la sentenza impugNOME nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente al reato di cui al capo 1), perché il fatto non sussiste e dichiara inammissibile il ricorso relativamente al reato di cugapo 22), rigettandolo nel resto, con la conferma delle correlate statuizioni civili.
Condanna infine COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE di Como, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2024.