Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5635 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 5635  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Polla il DATA_NASCITA;
NOME, nata a Polla il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di appello di Torino 22/03/2023
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto che i ricorsi vengano rigettati; sentito il difensore della Parte civile, Comune di Bruino, AVV_NOTAIO, che ha chiesto che i ricorsi degli imputati vengano rigettati, depositando conclusioni scritte e nota spese; sentiti i difensori degli imputati, Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per COGNOME NOME e AVV_NOTAIO COGNOME per NOME NOME, che hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi. 
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino con sentenza del 22 marzo 2023 (motivazione depositata il successivo 12 aprile), in parziale riforma della sentenza di condanna in primo grado, ha ridotto la pena inflitta a COGNOME NOME, confermando quella irrogata a COGNOME NOME, in relazione ai delitti di turbata libertà dei pubblici incan – in concorso – e di falso in dichiarazione resa alla Pubblica Amministrazione ex art. 483 cod. pen. (per la sola NOME).
In particolare agli mputati viene contestato – la COGNOME in qualità di legale rappresentante della ditta “RAGIONE_SOCIALE” con sede in Civitanova Marche e il COGNOME in qualità di soggetto indicato come coordinatore del servizio -di aver turbato la gara per l’affidamento del servizio di assistenza scolastica per alcuni disabili delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado e del servizio di pre e post scuola e sorveglianza a mensa, indetta dal Comune di Bruino, con mezzi fraudolenti rappresentati dall’aver dichiarato nell’istanza di ammissione e dichiarazione sostitutiva per la partecipazione alla gara l’impegno a mettere a disposizione del servizio personale con esperienza e titoli richiesti dal Capitolato di appalto, individuando come coordinatore del servizio il COGNOME, del quale veniva prodotto un curriculum vitae con false indicazioni relative a pregresse esperienze professionali; alla sola COGNOME si contestano altresì le false dichiarazioni rappresentate dalle indicazioni predette e dalla produzione del CV sopra indicato.
Avverso detta sentenza gli imputati, a mezzo dei propri difensori, hanno proposto ricorso nei quale deducono:
3.1. COGNOME – cinque motivi: 1) violazione di legge in relazione alla ritenuta configurabilità dell’art. 353 cod. pen. nonostante i presunti artifici sarebbero stati posti in essere prima dello svolgimento della gara, non potendo dunque – come ritenuto anche dalla giurisprudenza di legittimità – integrare il delitto contestato; 2) vizio di motivazione in riferimento all’elemento psicologico del reato, dedotto dai Giudici di merito in modo apodittico da elementi contraddittori e senza tener conto che le risultanze dell’istruttoria di primo grado avevano indotto seri dubbi in ordine alla riconducibilità all’imputato della firma in calce al curriculum vitae, dubbi non superati dal ragionamento “presuntivo” operato dalla Corte territoriale; 3) violazione di legge e vizio di motivazione in merito all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, in relazione alla valutazione dell’esame del teste COGNOME NOME, impiegato della cooperativa addetto a ricevere la documentazione per la partecipazione al bando (ritenuto dai Giudici di merito pienamente attendibile nonostante lo stesso avesse interesse a allontanare da sé ogni elemento di sospetto); 4) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla argomentazione della sentenza impugnata secondo la quale l’imputato
sarebbe in ogni caso responsabile a titolo di “dolo eventuale”, avendo consapevolmente accettato il rischio che il suo curriculum vitae falso – venisse prodotto nell’ambito della gara pubblica, atteso che l’eventuale condotta del COGNOME si colloca in una fase antecedente alla produzione dello stesso, effettuata da soggetti diversi, e l’imputato non aveva alcuna consapevolezza della finalizzazione del suo CV agli scopi illeciti indicati nella contestazione; 5) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla mancata argomentazione della sentenza impugnata in merito alle ragioni per le quali non erano state ritenute rilevanti e significative le dichiarazioni liberatorie rese dalla testimone NOME, indotta dalla difesa dell’imputato. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME NOME è parzialmente fondato.
Infondati risultano i primi due motivi, aventi valenza pregiudiziale.
2.1. Nel primo motivo si eccepisce la “inutilizzabilità patologica” della deposizione testimoniale della teste COGNOME (individuata e sentita a s.i.t. dopo la scadenza dei termini delle indagini e la notifica dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen., il cui verbale non è stato tempestivamente posto a disposizione della
difesa), il che avrebbe determinato (secondo quanto dedotto dalla ricorrente) la nullità dell’intero giudizio per “lesione dei diritti della difesa”. Sul punto, rile Collegio che nel dibattimento non sono stati utilizzati i verbali delle s.i.t., ma la testimone è stata regolarmente sentita nel contraddittorio delle parti. Pertanto, non ha rilevanza la giurisprudenza invocata dalla ricorrente (Sez. 2, n. 5408 del 20/10/2020 – dep. 2021, Possente, Rv. 280646 – 01) secondo la quale «L’omesso deposito di atti dell’indagine preliminare, contestualmente alla notifica dell’avviso di conclusione d; cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., non comporta la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio, ma l’inutilizzabilità degli atti stessi, che, peraltro, non sussiste nel cas di attività integrativa di indagine, ex art. 430, comma 2, cod. proc. pen., antecedente alla emissione del decreto che dispone il giudizio – se la documentazione relativa sia depositata e posta immediatamente a disposizione degli indagati – non essendo ravvisabile, in tal caso, alcuna violazione dei diritti di difesa». Trattasi, infatti, di principio declinato per la diversa ipotesi di dire utilizzo di atti di indagine “tardivi”; né dall’eventuale ritardato deposito di atti indagine può comunque derivare una non meglio specificata “nullità del giudizio” (come sostenuto dal ricorrente).
2.2. Anche il secondo motivo del ricorso dell’imputata COGNOME è infondato: in esso, infatti, si “affastellano” in modo oggettivamente poco comprensibile diversi profili dell’istruttoria dibattimentale in merito ai quali le risposte date dal sentenza impugnata risultano del tutto adeguate. La revoca dell’ammissione del teste indotto dalla Difesa non è infatti immotivata (unico caso in cui può profilarsi una nullità a regime intermedio della sentenza: da ultimo, Sez. 5, n. 16976 del 12/02/2020, COGNOME, Rv. 279166 – 01), atteso che la sentenza di appello chiarisce che “la prova del falso è oggettiva ed è stata accertata al di là di ogni ragionevole dubbio, indipendentemente dal contenuto delle prove testimoniali”. Per quel che concerne la dedotta mancata attivazione del meccanismo ex art. 195 cod. proc. pen., riferito a tale NOME COGNOME, dal ricorso non risulta sotto quale profilo costei si qualificherebbe come “teste diretto” rispetto alla deposizione resa da altro teste “de relato”. Per l’ulteriore profilo dedotto dalla ricorrente e attinente alla presunta violazione dell’art. 603 cod. proc. pen., va rilevato che, come ha precisato questa Corte (da ultimo, Sez. 3, n. 34626 del 15/07/2022, COGNOME, Rv. 283522 – 01), «il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice di appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato» che, per le ragioni sopra indicate, risulta del tutto congruo. Infine, in ordine alla valenza probatoria dei
documenti acquisiti al dibattimento, i Giudici di merito motivano in modo congruo mentre le deduzioni della ricorrente risultano generiche.
Fondati sono, invece, il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME (con conseguente assorbimento degli altri motivi) e il terzo motivo del ricorso in favore di COGNOME NOME, motivi che concernono la qualificazione giuridica del fatto rubricato come violazione dell’art. 353 cod. pen.
3.1. Preliminarmente rileva il Collegio che con motivazione non illogica i Giudici di merito hanno ritenuto provata la commissione da parte degli imputati dei fatti cristallizzati nel capo di imputazione. Invero, nel caso di specie si è di fronte alla c.d. “doppia conforme” situazione che ricorre quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizza nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218). Ed è anche opportuno ribadire che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 – dep. 2021, F., Rv. 280601).
Peraltro, i fatti ascritti agli imputati – ed accertati nella loro materialit non integrano la fattispecie di cui all’art. 353 cod. pen. E’ infatti pacifico che l condotta fraudolenta dei predetti – consistita nella produzione del curriculum vitae del COGNOMECOGNOME indicato come “coordinatore del servizio” oggetto della pubblica gara di appalto, curriculum recante dati falsi (relativi a pregresse analoghe esperienze asseritamente svolte dal predetto) – si colloca nella fase di produzione dei titoli necessari per partecipare alla gara.
4.1. Sul punto, questa Sezione ha precisato che «In tema di turbata libertà degli incanti, non integrano i mezzi fraudolenti previsti dalla norma incriminatrice le condotte anteriori all’allestimento della gara tese ad eludere cause ostative alla partecipazione alla procedura di evidenza pubblica, le quali non sono “ex se” idonee ad esporre a pericolo il bene dell’effettività della libera concorrenza, se non in termini meramente potenziali (in applicazione del principio, la Corte ha annullato la condanna per il reato di cui all’art. 353 cod. pen., inflitta in relazione al condotta dissimulatoria, realizzata anche mediante falsi documentali, di cause di esclusione dalla procedura di evidenza pubblica ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, da parte di un operatore economico resosi aggiudicatario di un rilevante appalto)» (da ultimo, v. Sez. 6, n. 24772 del 24/02/2022, COGNOME,
4.2. Tale principio deve essere ribadito in riferimento al caso in esame, non risultando dunque configurabile a carico degli imputati il reato di cui all’art. 353 cod. pen. A tale conclusione consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione al capo A) dell’imputazione.
Va invece confermata l’affermazione di penale responsabilità dell’imputata COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 483 cod. pen., in riferimento alla produzione del curriculum vitae di COGNOME, recante dati falsi.
Premesso che, come sopra indicato, l’accertamento del fatto (anche in riferimento alla falsità delle pregresse esperienze professioni indicate come svolte dal COGNOME) e la sua riconducibilità all’imputata COGNOME risultano motivati in modo certamente non illogico dalla sentenza impugnata, va evidenziato che nella produzione del curriculum vitae recante indicazioni false risulta configurabile la violazione dell’art. 483 cod. pen. Invero, «il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 cod. civ., dovendo rientrare in detta nozione anche gli atti preparatori di una fattispecie documentale complessa, come gli atti di impulso di procedure amministrative, a prescindere che il loro contenuto venga integralmente trasfuso nell’atto finale del pubblico ufficiale o ne venga a costituire solo il presupposto implicito necessario» (da ultimo, Sez. 5, n. 37880 del 08/09/2021, Musso, Rv. 282028 – 01). D’altro canto, la falsità commessa attraverso la dichiarazione sostitutiva resa dal privato ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 445 del 2000 integra violazione dell’art. 483 cod. pen. (ex multis, Sez. 3, n. 17419 del 04/04/2023, PMT c. Bonfiglio, Rv. 284662 – 02).
Peraltro, poiché detto reato è stato dai Giudici di merito posto, quale reato satellite ai sensi dell’art. 81, comma 2, cod. pen., in continuazione con il più grave delitto di cui all’art. 353 cod. pen., si impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale per la rideterminazione della pena a carico della COGNOME.
A tale annullamento, disposto ai soli fini della determinazione della pena, consegue la formazione del giudicato sull’accertamento del reato e sulla responsabilità dell’imputata COGNOME (da ultimo, Sez. 5, n. 23040 del 08/03/2021, Manzo, Rv. 281437 – 01).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di entrambi i ricorrenti con riferimento al reato di cui all’art. 353 cod. pen. perché il fatto non sussiste. Rigetta nel resto il ricorso di NOME COGNOME e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Torino per la rideterminazione della pena in ordine al residuo reato di cui all’art. 483 cod. pen.. Dichiara irrevocabile la sentenza in ordine alla responsabilità di NOME COGNOME per quest’ultimo reato.
Così deciso il 28 novembre 2023
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