Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5096 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 5096  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato a Savelli (KR) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 19/07/2023 dal Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con atto del proprio difensore, NOME COGNOME impugna l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro in epigrafe indicata, nella parte in cui ha ravvisato a suo carico un quadro di gravità indiziaria per i reati addebitatigli, ritenendo tale decisione affetta da violazioni di legge e vizi della motivazione.
A lui si contesta di aver fatto parte, nella sua qualità di dirigente della Provincia di Crotone, di un’associazione per delinquere finalizzata al compimento di reati contro la pubblica amministrazione, per l’affidamento di incarichi ed appalti pubblici con logiche esclusivamente clientelari, promossa e guidata, in particolare, da tali NOME COGNOME, già consigliere della Regione Calabria e soggetto molto influente nel panorama politico di quel territorio, e NOME COGNOME, segretario particolare del presidente di quella Regione (capo 1 dell’incolpazione provvisoria).
In esecuzione di tale patto criminoso, poi, su sollecitazione dello COGNOME, egli avrebbe concorso nella commissione di due reati di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e dei connessi falsi ideologici (art. 353-bis e 479, cod. pen.: capi 2 e 9 dell’incolpazione), affidando dei lavori, in un caso, mediante l’artificio tecnico di attestarne la natura supplementare ed urgente rispetto a quelli di un appalto già in corso d’opera, e in tal modo eludendo l’obbligo di indire la necessaria gara; nell’altro, invece, violando il principio di rotazione nel conferimento degli incarichi cc.dd. “sotto soglia”.
Quanto al delitto associativo, il ricorso lamenta anzitutto l’erronea valenza decisiva attribuita dal Tribunale alle conversazioni intercettate: esse, invece, sarebbero frammentarie e, perciò, utili soltanto a dimostrare la Dartecipazione del ricorrente ad attività inerenti al suo ruolo istituzionale; quelle intercorse tra terze persone, poi, conterrebbero esclusivamente considerazioni soggettive, peraltro generiche e provenienti da persone, come COGNOME e COGNOME, legate da risalenti rapporti di amicizia e stima con l’indagato.
In ogni caso, nell’impostazione accusatoria, la prova della partecipazione di quest’ultimo al sodalizio verrebbe erroneamente desunta in via esclusiva dalla sua ritenuta colpevolezza per gli ipotizzati “reati-scopo”, poiché altro non c’è: egli, infatti, non partecipa alla definizione degli accordi politici; non ha rapporti con quasi nessuno dei molti soggetti che, secondo l’accusa, vi sarebbero coinvolti; non risulta che avesse consapevolezza dell’eventuale esistenza di un tale sodalizio; nelle sue conversazioni intercettate, infine, non si fa mai riferimento ad altri presunti partecipi né a finalità della compagine.
L’assenza di gravi indizi per i singoli reati esecutivi del patto, per le ragioni di cui ai successivi motivi, si riverbererebbe, perciò, anche sul delitto associativo.
La turbativa ex art. 353-bis, cod. pen.’ di cui al capo 2) dell’incolpazione riguarda i lavori di bonifica di un sito archeologico da residui di amianto, assegnati alla ditta già affidataria dell’appalto per la riqualificazione dell’area, grazi all’attestazione del NOME – secondo l’accusa, falsa e determinata esclusivamente dalle ragioni clientelari del sodalizio – della natura di “lavori
supplementari”, con la conseguenza di renderne possibile l’affidamento diretto senza gara.
In proposito, il ricorso lamenta anzitutto come il Tribunale abbia violato il principio della necessaria chiarezza e precisione della contestazione, provando ad integrare l’incolpazione ed ipotizzando che detta condotta, in alternativa all’elusione della gara, abbia comunque condizionato i criteri di scelta del contraente.
Più specificamente, poi, la difesa obietta che:
la fattispecie di cui all’art. 353-bis, cit., presuppone lo svolgimento di una procedura di selezione comparativa tra diversi concorrenti, in questo caso invece assente;
l’ordinanza si limita ad osservare che quei lavori ulteriori fossero diversi da quelli già in atto, ma non spiega perché non dovessero considerarsi “supplementari”, ovvero non previsti o prevedibili al momento della precedente gara e strettamente connessi ai primi, nonché necessari per la corretta esecuzione degli stessi;
conseguentemente, ed in assenza di qualsiasi indagine di tipo tecnico, la relativa attestazione dell’indagato non può ritenersi ideologicamente falsa; le conversazioni intercettate tra lui ed il direttore dei lavori nonché tra altre persone, dalle quali emergono delle riserve sulla correttezza della stessa e dalle quali il Tribunale ha tratto in via esclusiva la prova del proprio assunto, esprimerebbero, infatti, solamente delle divergenze di vedute fra quei tecnici, ma non varrebbero a dimostrare il consapevole e strumentale mendacio dell’indagato; peraltro, il direttore dei lavori aveva tutto l’interesse alla predisposizione di un autonomo affidamento e di un nuovo progetto, trattandosi di ipotesi per lui più remunerativa;
con la ricostruzione dei giudici del riesame, inoltre, collide logicamente la volontà di non farsi carico di quei lavori ulteriori, manifestata dal titolare dell’impresa ipoteticamente destinataria dell’indebita assegnazione;
 detta impresa possedeva i necessari requisiti d’idoneità tecnica, che peraltro non spettava al dirigente dell’ente appaltatore verificare, una volta presenti le previste attestazioni degli enti certificatori; i dubbi sollevati sul punt nell’ordinanza deriverebbero, perciò, solo da un’erronea interpretazione delle conversazioni intercettate;
infine, nell’ipotesi in cui quei lavori non fossero stati ritenuti supplementari, ne sarebbero derivate una duplicazione di costi per l’amministrazione, una problematica coesistenza di più imprese nel medesimo cantiere, una sospensione dei lavori per l’espletamento di una nuova procedura di gara nonché la probabile perdita del relativo finanziamento, per la natura a termine di quello relativo all’appalto già in corso.
 I fatti di cui al capo 9) riguardano l’affidamento diretto dei lavori di ristrutturazione della palestra di una scuola di Crotone, che sarebbe avvenuto, da parte del NOME, in violazione del principio di rotazione degli incarichi.
Anche in questo caso, la difesa deduce la non configurabilità del reato in assenza di una procedura di gara.
Lamenta, comunque, la mancata verificazione della contrarietà alla legge della procedura seguita dall’indagato e l’esclusiva valorizzazione di alcune conversazioni intercettate, in cui COGNOME lo sollecitava ad assegnare dei lavori alla ditta interessata.
Rileva il ricorrente, in proposito, che il principio di rotazione negli affidamenti “sotto soglia”, a norma dell’art. 49, d.lgs. n. 36 del 2003, opera soltanto in relazione ad un arco temporale ristretto ed a parità di settore merceologico, categoria di opera e fascia di valore, talché l’ac:certamento della relativa violazione avrebbe reso necessaria un’indagine comparativa, in questo caso invece assente.
Si evidenzia, inoltre, come l’indagato, a fronte delle sollecitazioni di COGNOME, avesse obiettato come l’impresa da questi “raccomandata” avesse già ottenuto degli incarichi, e si fosse determinato ad assegnarle i lavori in questione soltanto dopo aver verificato il rispetto del principio di rotazione.
Ha depositato requisitoria scritta il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, concludendo per il rigetto del ricorso.
 Ha depositato argomentate conclusioni scritte la difesa dell’indagato, sostanzialmente ribadendo quanto evidenziato con il ricorso.
Ha depositato memoria scritta il AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro – nella sua veste di Pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato – con la quale argomenta l’applicabilità della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 353-bis, cod. pen., anche alle ipotesi – come quella in esame – di affidamenti di commesse al di fuor di una procedura competitiva, rilevando, in particolare, che la scelta della pubblica amministrazione di procedere ad affidamento diretto soggiace pur sempre E! vincoli legali di discrezionalità, nei presupposti, nelle forme e nelle determinazioni, a tutela dei princìpi di concorrenza e di buon andamento ed imparzialità dell’attività amministrativa: con la conseguenza che la relativa delibera rientra nella nozione di “atto equipollente” al bando di gara, prevista dal citato art. 353-bis. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminare si presenta una considerazione in rito, relativa alla memoria scritta trasmessa a questa Corte dal AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, nella sua qualità di pubblico ministero che ha chiesto l’applicazione della misura.
Tale atto è irricevibile in questa sede.
Il precedente di diverso segno di questa Corte (Sez. 2, n. 42408 del 21/09/2012, NOME COGNOME, Rv. 2540:36), citato da quel AVV_NOTAIO, non può essere condiviso.
La legittimazione a proporre ricorso per cassazione, riconosciuta dall’art. 311, comma 1, cod. proc. pen., a quell’ufficio del pubblico ministero’ non vale infatti a fargli acquisire la qualità di “parte” del giudizio di cassazione, da cui discende la facoltà di presentare memorie, riconosciuta dall’art. 121, stesso codice. Semmai così fosse, invero, non troverebbe giustificazione razionale una sua legitimatio ad processum limitata, diversamente che per le altre parti, alla presentazione di memorie e non anche alla partecipazione all’udienza.
In realtà, la “parte” del procedimento di cassazione, anche quando ricorrente sia una Procura della Repubblica territoriale, non è quest’ultima, bensì l’ufficio del Pubblico ministero: il quale – secondo la regola AVV_NOTAIO dell’art. 51, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. – è costituito dalla Procura AVV_NOTAIO presso la Corte di cassazione.
È quest’ultima, dunque, l’esclusiva interlocutrice degli uffici territoriali del Pubblico ministero, alla quale questi debbono perciò indirizzare le loro eventuali memorie ed attraverso la quale le stesse possono poi essere sottoposte alla Corte di cassazione. Diversamente, qualora le argomentazioni e le deduzioni con esse proposte non fossero condivise dalla Procura AVV_NOTAIO, si pctrebbe dar luogo all’assurda situazione di ta uffici(‘ del Pubblico ministero che, nello stesso grado di giudizio, finirebbe per rassegnare conclusioni tra loro contraslanti.
Venendo al merito delle questioni sollevate con il ricorso, e muovendo dalla disamina dei “reati-scopo”, risolutiva, e perciò assorbente, si presenta la doglianza riguardante l’assenza, in entrambi i casi oggetto d’addebito, di una gara: rectius, di una procedura comparativa tra più offerenti.
In tal senso, del resto, ed in fattispecie sostanzialmente simili a quelle in rassegna, questa Corte ha avuto modo di esprimersi ripetutamente, affermando il principio per cui, ai fini dell’integrazione del reato di turbata libertà de procedimento di scelta del contraente, la condotta perturbatrice dev’essere finalizzata ad inquinare il contenuto del bando di gara o di altro atto che, dettando
i requisiti e le modalità di partecipazione alla competizione, assolva ad analoga funzione, prevedendo, cioè, un segmento valutativo concorrenziale. Ne consegue che non configura il reato la condotta perturbatrice che, senza condizionare la procedura selettiva del contraente, sia espressione di una diffusa “mala gestio” dell’amministrazione, come nel caso in cui la stessa decisione di procedere all’affidamento diretto sia il risultato di condotte elusive della gara eventualmente necessaria (Sez. 6, n. 17876 del 11/01/2022, Mele, Rv. 283155; Sez. 5, n. 45709 del 26/10/2022, Leo, v. 283890).
Invero, considerare «atto equipollente» al bando di gara – come richiede l’art. 353-bis, cit. – quello che tale procedura ometta di svolgere rappresenta, più che un’estensione analogica in malam partem del testo normativo, un vero e proprio sovvertimento di esso, in frontale contrasto con il monito rivolto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 98 del 2021. Con questa decisione, infatti, è stato ribadito che sono le norme incriminatrici a dover «fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte», risultando perciò intollerabile che la sanzione penale possa colpire l’individuo «per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore»; il divieto di applicazione analogica delle norme incriminatrici – ha specificato il Giudice delle leggi – «costituisce il naturale completamento di altri corollari del principio di legalità in materia penale, sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost., e in particolare della riserva di legge e del principio di determinatezza».
Vero è che le prassi elusive dell’obbligo di adottare procedure concorsuali nella materia dell’affidamento delle commesse pubbliche incidono, pregiudicandolo, sul principio della libera concorrenza e, correlativamente, anche su quelli dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione. Si tratta, però, di casi che pongono il giudice penale in una situazione del tutto assimilabile a quella già verificatasi nella vigenza del solo art. 353, cod. pen., per l’impossibilità di sussumere nella relativa previsione, circoscritta allo svolgimento della procedura concorsuale, il fenomeno dei cc.dd. “appalti su misura”, dell’anticipazione, cioè, degli accordi collusivi e distorsivi dell’attività della pubblica a – nministrazione al momento della predisposizione del bando di gara, e quindi ad una fase precedente a quella contemplata da tale disposizione incriminatrice.
Nel 2010, il legislatore si fece carico di questa esigenza ed avanzò la soglia di punibilità della condotta del pubblico funzionario, appunto introducendo nel codice penale l’art. 353-bis.
Oggi, dunque, come allora, è compito e responsabilità del legislatore decidere se anticipare ulteriormente tale soglia, con una disposizione incriminatrice specifica delle condotte intenzionalmente elusive dell’obbligo di gara e tese a
favorire predeterminati soggetti. Allo stato della legislazione, infatti, simil condotte, nella ricorrenza degli ulteriori presupposti normativi, possono dar luogo ad altri reati, per i quali la correttezza formale dell’atto adottato può anche non risultare liberatoria (corruzione, induzione indebita, concussione, abuso d’ufficio, almeno nella formulazione ad oggi ancora vigente), oppure possono trovare la loro sanzione esclusivamente nell’annullamento da parte del giudice amministrativo degli atti che ne sono derivati: quel che è certo, invece, è che esse non integrano il delitto previsto e punito dall’art. 353-bis, cod. pen..
Per i relativi capi, dunque, l’ordinanza impugnata dev’essere annullata senza rinvio, con conseguente revoca della misura cautelare in relazione a quei reati, a norma dell’art. 299, comma 1, cod. proc. pen..
La medesima ordinanza dev’essere egualmente annullata, ma con rinvio, in relazione agli altri addebiti provvisori.
Da un canto, infatti, l’inconfigurabilità degli specifici reati particolarmente espressivi – secondo l’accusa – dell’adesione del NOME al sodalizio criminale allestito e retto da COGNOME e COGNOME impone una rilettura del complessivo compendio investigativo anche con riferimento alla partecipazione di costui all’ipotizzata associazione per delinquere, per verificarne la tenuta logica pure in mancanza delle condotte rubricate come turbative della scelta del contraente. Tuttavia, come si è già accennato, queste non necessariamente debbono reputarsi lecite e, per altro verso, la partecipazione ad un sodalizio criminale non per forza deve manifestarsi attraverso il compimento di condotte munite di autonoma ed intrinseca rilevanza penale.
Piuttosto, dalla motivazione dell’ordinanza nel suo complesso, in relazione all’esistenza di un’associazione per delinquere, emerge un giudizio di gravità indiziaria che non può dirsi manifestamente irragionevole, dal momento che lo stesso ricorso sostanzialmente non pone in discussione la presenza di un esteso sistema di condizionamento clientelare dell’attività di varie pubbliche amministrazioni nel territorio interessato.
Meritano, invece, di essere ulteriormente chiarite, in ragione delle specifiche osservazioni operate con il ricorso, le affermazioni del Tribunale circa la collocazione ad hoc di NOME in quel ruolo dirigenziale per volere di COGNOME e la sua supina disponibilità ad assecondare nei suoi disegni illegali quest’ultimo ed il socius COGNOME. In tal senso, infatti, non esaurienti, perché generici e decontestualizzati, si presentano gli stralci di conversazioni intercettate riportati nell’ordinanza, in cui COGNOME riferisce ad un terzo che «NOME, il dirigente, è uomo mio» o COGNOME promette ad un imprenditore suo interlocutore che avrebbe
interceduto presso il ricorrente tramite COGNOME («domani mattina, se è, passiamo da NOME e gli facciamo fare una cosa a NOME»: v. pag. 10, ord.).
Ne discende che, con riferimento sia all’addebito di partecipazione a tale associazione che a quelli di falso ideologico, l’annullamento dev’essere disposto con rinvio al giudice di merito per la necessaria motivazione supplementare.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, limitatamente alle incolpazioni di cui all’art. 353-bis, cod. pen., disponendo la cessazione della misura cautelare per tali reati.
Annulla nel resto la medesima ordinanza, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale del riesame di Catanzaro.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2024.