Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45868 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45868 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata a Rometta il 07/03/1957
avverso l’ordinanza del 15/04/2024 del Tribunale di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
preso atto che, nonostante la richiesta di discussione orale che era stata presentata dall’Avv. NOME COGNOME nessuno è presente in difesa di COGNOME Domenica;
vista la comunicazione dei Carabinieri della Stazione di Messina Arcivescovado con la quale è stato reso noto che, con ordinanza del 24/07/2024 del Tribunale di Messina, la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti della ricorrente è stata sostituita con la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15/04/2024, il Tribunale di Messina rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta, ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., da
NOME COGNOME contro l’ordinanza del 20/03/2024 del G.i.p. del Tribunale di Messina con la quale era stata disposta, nei confronti della stessa COGNOME, la misura cautelare degli arresti domiciliari per essere essa gravemente indiziata dei reati di: a) partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, falso, indebita compensazione di debiti fiscali con crediti fiscali inesistenti e autoriciclaggio, di cui al capo 1) dell’imputazione provvisoria; b) truff aggravate in concorso per il conseguimento di erogazioni pubbliche, di cui ai capi 195), 196), 197) e 198) dell’imputazione provvisoria; c) autoriciclaggio in concorso, di cui al capo 199) dell’imputazione provvisoria.
Avverso la menzionata ordinanza del 15/04/2024 del Tribunale di Messina, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a sei motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 292, comma 2, lett. c), e 309 cod. proc. pen., là dove il Tribunale di Messina ha rigettato la sua eccezione di nullità dell’ordinanza genetica per la ragione che essa non avrebbe contenuto, con specifico riferimento alla propria posizione e a tutti i reati che le erano stati contestati, l’esposizione e l’autonoma valutazione degli indizi che giustificavano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui erano desunti e dei motivi per i quali essi assumevano rilevanza, come è richiesto, a pena di nullità, dall’invocata lett. c) del comma 2 dell’art. 292 cod. proc. pen.
La ricorrente sostiene che l’eccepita nullità dell’ordinanza genetica sarebbe stata evidente con riguardo al reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 1) dell’imputazione provvisoria, atteso che l’unico riferimento alla propria posizione era quello contenuto alla pag. 287 del suddetto provvedimento, nella quale il G.i.p. del Tribunale di Messina si era limitato a ritenerla «partecipe dell’associazione, avendovi contribuito con i reati-fine che le sono stati contestati», omettendo di operare alcuna valutazione con riguardo alla sussistenza dei presupposti della condotta partecipativa, i quali differiscono dalla mera presunta partecipazione a dei presunti reati-fine.
L’eccepita nullità dell’ordinanza genetica sarebbe sussistita anche con riguardo a tali reati, atteso che, alla pag. 276 della stessa ordinanza, il G.i.p. d Tribunale di Messina si era limitato a utilizzare la «mera formula di stile» che «ricorrono quindi a carico dei predetti i gravi indizi dei reati di cui all’art. 640 bis c.p. e dell’art. 640 ter c.p.».
La Barbera contesta l’affermazione del Tribunale di Messina secondo cui «la valutazione di autonomia non può che involgere l’intero provvedimento gravato, soprattutto in procedimenti, come il presente, di assoluta complessità in
cui i numerosissimi reati accertati rivestono caratteristiche del tutto “seriali” (pag. 3 dell’ordinanza impugnata). Sostiene in proposito che una siffatta valutazione potrebbe essere adeguata con riguardo alla «ricorrenza dal punto di vista oggettivo delle ipotesi di reato», ma non potrebbe «essere idonea ad integrare l’assoluta carenza di motivazione rispetto alla partecipazione ai singoli reati da parte della ricorrente». Ciò tenuto conto che la mera esistenza di crediti d’imposta nel proprio cassetto fiscale non potrebbe valere a integrare la propria responsabilità per gli stessi reati né, tanto meno, per quello associativo, per la sussistenza del quale è «necessaria un’adesione, oggettiva e soggettiva, al presunto programma criminoso», senza che possa essere ritenuta sufficiente la mera presunta partecipazione ai contestati reati-fine.
La «totale carenza di motivazione» emergerebbe anche dall’avere indicato la ricorrente come titolare della quota del 9% di RAGIONE_SOCIALE, laddove tale quota era invece nella titolarità di una propria omonima.
Pertanto, il Tribunale di Messina avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell’ordinanza genetica per mancanza degli elementi di cui alla lett. c) del comma 2 dell’art. 292 cod. proc. pen., «senza possibilità di integrare la motivazione».
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 292, comma 2, lett. c), e 309 cod. proc. pen., in quanto il G.i.p. del Tribunale di Messina avrebbe «omesso di esporre e valutare la ricorrenza delle specifiche esigenze cautelari con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto del tempo trascorso dalla commissione del reato».
La ricorrente premette che, con i motivi di riesame, aveva eccepito la nullità dell’ordinanza genetica in quanto essa non avrebbe contenuto, con riguardo alla propria posizione, l’esposizione e l’autonoma valutazione delle esigenze cautelari, atteso che il G.i.p. del Tribunale di Messina si sarebbe limitato «ad esaminare, in modo cumulativo e cioè per tutti gli imputati, la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza di una misura coercitiva, senza alcun riferimento ai profili oggettivi e soggettivi riferibili alla RAGIONE_SOCIALE».
Ciò premesso, la ricorrente lamenta che il Tribunale di Messina avrebbe respinto tale eccezione ritenendo che «la motivazione in ordine alle esigenze cautelari sia rinvenibile nella circostanza che sia stata compiuta una valutazione differente in ordine al COGNOME NOME al quale è stata applicata la misura di massimo rigore e che, quanto alla incensuratezza, non era necessaria una motivazione specifica in quanto tale situazione era comune “a tutti i sodali diversi da COGNOME NOME, destinatari al pari di misura domiciliare”».
Secondo la COGNOME, in tale modo il Tribunale di Messina avrebbe erroneamente ritenuto che «l’eventuale motivazione espressa in relazione agli altri
imputati consentirebbe al Giudice di non motivare in relazione alla posizione specifica di ciascun imputato», mentre la valutazione delle esigenze cautelari dovrebbe essere invece espressa in relazione alla singola posizione oggetto di giudizio.
Pertanto, il Tribunale di Messina avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell’ordinanza genetica per mancanza degli elementi di cui alla lett. c) del comma 2 dell’art. 292 cod. proc. pen., «senza possibilità di integrare la motivazione».
2.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 273 e 309 dello stesso codice e dell’art. 416 cod. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi d colpevolezza del reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 1) dell’imputazione provvisoria.
Dopo avere riassunto il proprio motivo di riesame sul punto, la COGNOME lamenta che, a fronte di esso, il Tribunale di Messina avrebbe reso una motivazione che sarebbe basata, da un lato, su argomenti anapodittici e, dall’altro lato, su circostanze inesistenti.
Sotto il primo profilo, la ricorrente contesta la motivazione con la quale il Tribunale di Messina ha replicato all’argomentazione difensiva dell’inesistenza di conversazioni intercettate che vedessero la sua partecipazione o riferimenti alla sua persona (motivazione secondo la quale tale deduzione sarebbe stata «pretestuosa, atteso che neanche per le fasi criminose che hanno visto l’incontestata partecipazione della COGNOME vi sono captazioni in atti» e sarebbe stato «chiaro che, proprio alla luce dello strettissimo rapporto anche di parentela con gli altri sodali, le fasi di programmazione ed esecuzione dei piani criminosi non siano state discusse telefonicamente ma tramite accordi in presenza»).
La ricorrente deduce che, così motivando, il Tribunale di Messina avrebbe preso le mosse dall’elemento, dato per certo ancorché fosse indimostrato e contestato, dell’«adesione della Barbera al programma criminoso» e, ritenuto «dogmaticamente esistente» lo stesso elemento, avrebbe anapoditticamente reputato che vi fossero stati dei «contatti non captati dalle disposte intercettazioni».
Sotto il secondo profilo, la ricorrente contesta che il Tribunale di Messina, nell’integrare la motivazione dell’ordinanza genetica, avrebbe erroneamente attribuito rilievo alla sua asserita titolarità della quota del 9% di RAGIONE_SOCIALE come risultava «dalla documentazione agli atti» – e come risulterebbe dall’estratto dell’atto costitutivo e dalla visura storica della menzionata societ allegati al ricorso – la titolare della suddetta quota è una sua omonima, nata però a Gimma (Etiopia) il 02/11/1939 e residente a Messina, in INDIRIZZO isolato INDIRIZZO.
2.4. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 640-bis cod. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di truff aggravata in concorso per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui ai capi 195, 196, 197, 198 e 200 dell’imputazione provvisoria.
La COGNOME deduce che il Tribunale di Messina avrebbe trascurato la problematica relativa all’elemento dei suddetti reati costituito dal danno in capo allo Stato.
Rappresenta, al riguardo, che, se si potrebbe ipotizzare che la creazione di un credito d’imposta abbia costituito un profitto per gli indagati, non s comprenderebbe, almeno relativamente ai fatti a lei contestati, quale sarebbe stato il danno per lo Stato, «non essendo stati mai monetizzati i crediti, e non essendo oggetto di contestazione quale truffa ma come violazione dell’art. 10 quater decreto legislativo 74/2000, la compensazione effettuata dalla Barbera, di crediti per circa C 25.000,00» e tenuto altresì conto che, nel reato di truffa, i danno deve avere un contenuto necessariamente patrimoniale ed economico e consistere «in una lesione concreta e non soltanto potenziale».
2.5. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 648-ter.1 cod. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di autoriciclaggio di cui al capo 199 dell’imputazione provvisoria.
Sulla premessa che «la condotta dissimulatoria deve essere successiva al perfezionamento del delitto presupposto», la ricorrente deduce che, «se si condivide l’impostazione difensiva in ordine alla consumazione del reato di truffa, non sarebbero stati posti in essere, almeno per quanto riguarda la Barbera, attività dissimulatorie rispetto al detto reato che ancora doveva perfezionarsi».
2.6. Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta che l’ordinanza impugnata, come già quella genetica, mancherebbe della motivazione in ordine alla concreta sussistenza delle esigenze cautelari e all’adeguatezza della disposta misura degli arresti domiciliari.
La COGNOME deduce in proposito che, considerate, oltre alla sua incensuratezza (elemento che non sarebbe stato valutato dal Tribunale di Messina), le circostanze che «si tratta di fatti lontani nel tempo» e che essa, sin dal settembre 2022, quando le furono contestati l’inesistenza dei crediti d’imposta e, comunque, gli illeciti, aveva chiaramente ammesso il carattere fittizio degli stessi crediti, non s comprenderebbe, in un tale contesto, sulla base di quali elementi si debba ritenere la sussistenza di esigenze cautelari.
La ricorrente rappresenta altresì che il già denunciato errore che sarebbe stato commesso dal Tribunale di Messina nel ritenerla titolare della quota del 9% di
RAGIONE_SOCIALE avrebbe influito anche sulla valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, in particolare, là dove il Tribunale di Messina ha fatto riferimento alla circostanza che i crediti d’imposta sarebbero «stati smobilizzati e ceduti anche dalla compagine di cui la RAGIONE_SOCIALE fa tutt’ora parte» e al possibile utilizzo, da parte della stessa RAGIONE_SOCIALE, di «altri schermi societari», laddove la ricorrente aveva in realtà ammesso i fatti già nel settembre 2022 e non aveva «posto in essere alcuna diversa e successiva condotta».
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi – l’esame dei quali si farà precedere da alcune considerazioni comuni a entrambi – non sono fondati.
Venendo subito alle considerazioni comuni ai due motivi, si deve anzitutto ribadire che, con riguardo alla motivazione dell’ordinanza cautelare, le modifiche che sono state introdotte negli artt. 292 e 309 cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non hanno carattere innovativo, essendo stata solo esplicitata la necessità che l’ordinanza abbia comunque un chiaro contenuto indicativo della concreta valutazione della vicenda da parte del giudicante, con la conseguenza che si deve ritenere nulla, ai sensi dell’art. 292 cod. proc. pen., l’ordinanza priv di motivazione o con motivazione meramente apparente e non indicativa di uno specifico apprezzamento del materiale indiziario (Sez. 6, n. 40978 del 15/09/2015, COGNOME, Rv. 264657-01).
La Corte di cassazione ha in particolare precisato che la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 47 del 2015, è osservata anche quando l’ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a form stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto; tuttavia, in presenza di posizioni analoghe o di imputazioni descrittive di fatti commessi con modalità “seriali”, non è necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di giudizi alle quali si è ispirato, potendo ricorrere a una valutazione cumulativa purché, dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa della misura in relazione ai soggetti attinti e agli addebiti, di volta in volta, considerati per sussistenti (Sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, Vizzì, Rv. 273658-01; Sez. 3, n. 28979 del 11/05/2016, COGNOME, Rv. 267350-01).
Sulla base di tali premesse, la Corte di cassazione ha quindi ritenuto che, anche a seguito delle modifiche apportate agli artt. 292 e 309 cod. proc. pen. dalla
legge n. 47 del 2015, sussiste il potere-dovere del tribunale del riesame di integrare le insufficienze motivazionali del provvedimento impositivo della misura qualora questo sia assistito da una motivazione che enunci le ragioni della cautela, anche in forma stringata ed espressa per relationem in adesione alla richiesta cautelare, a meno che non si sia in presenza di una motivazione del tutto priva di vaglio critico dell’organo giudicante mancando, in tal caso, un sostrato su cui sviluppare il contraddittorio tra le parti (Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272596-01; Sez. 5, n. 3581 del 15/10/2015, dep. 2016, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 266050-01; Sez. 3, n. 49175 del 27/10/2015, COGNOME, Rv. 265365-01, la quale ha precisato che, nelle ipotesi di motivazione mancante o apparente, ovvero priva dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa, il tribunale del riesame è tenuto a annullare il provvedimento impositivo della misura).
La violazione della prescrizione della necessaria autonoma valutazione, da parte del giudice, delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, determina una violazione di legge processuale da parte del provvedimento, che legittima la Corte di cassazione a un accesso diretto allo stesso, divenendo essa, in tali casi, giudice del fatto (Sez. 6, n. 53940 del 19/09/2018, COGNOME, Rv. 274584-01).
È stato inoltre statuito che il ricorrente per cassazione che denunci la nullità dell’ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496-01; Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274760-01).
Posti tali principi, il primo motivo non è fondato.
3.1. Quanto ai ritenuti reati-fine, il Tribunale di Messina ha argomentato come il G.i.p. dello stesso Tribunale, nell’ordinanza dispositiva della misura, dopo avere inizialmente sottoposto a un vaglio complessivo il vasto materiale investigativo che gli era stato trasmesso, alla pag. 276, avesse richiamato degli obiettivi elementi investigativi, essenzialmente documentali, dai quali risultava l’indebita acquisizione dei crediti d’imposta da parte della COGNOME (segnatamente: la presentazione di domande per accedere a tali crediti a fronte di opere edilizie mai effettuate e a esborsi mai sostenuti; l’utilizzazione degli stessi crediti, cos illecitamente ottenuti, in parte compensandoli, in parte cedendoli e in parte cercando infruttuosamente di cederli a Poste Italiane s.p.a.).
Il Tribunale di Messina argomentava quindi come il G.i.p., sulla base dei suddetti elementi investigativi e delle indicate circostanze che risultavano dai
medesimi – le quali, sottolineava altresì lo stesso Tribunale, non erano state peraltro in fatto contestate dal difensore dell’indagata (secondo cui, anzi, le stesse circostanze sarebbero state ammesse dalla Barbera sin dal settembre 2022) -, riallacciandosi evidentemente alla valutazione in ordine alla ricorrenza dei reati che aveva operato nella parte introduttiva dell’ordinanza genetica, avesse concluso nel senso dell’integrazione delle fattispecie di cui agli artt. 640-bis e 648ter.1 cod. pen., escludendo, invece, la sussistenza del reato di cui all’art. 10-quater del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (in quanto le compensazione operata era inferiore alla prevista soglia di punibilità).
Il Collegio ritiene che correttamente il Tribunale di Messina abbia reputato che una siffatta motivazione dell’ordinanza genetica in punto di gravi indizi dei reatifine, avendo indicato gli elementi investigativi e le circostanze di fatto che se ne desumevano, e avendo qualificato giuridicamente le stesse circostanze, non fosse né mancante, né apparente né priva di vaglio critico da parte del G.i.p. e, perciò, non fosse nulla ma integrabile dallo stesso Tribunale.
3.2. Quanto al reato di associazione per delinquere, come risulta dalla pag. 287 dell’ordinanza dispositiva della misura, il G.i.p. del Tribunale di Messina aveva ritenuto la gravità indiziaria a carico della COGNOME sulla base della commissione, da parte della stessa, dei ricordati reati-fine e, in particolare, del contributo che COGNOME aveva dato alla commissione degli stessi reati (accettazione di crediti inesistenti; cessioni di crediti inesistenti; tentativi di monetizzare cred inesistenti; compensazione di crediti inesistenti; disponibilità di crediti inesistent
Si deve al riguardo rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, in tema di associazione per delinquere, è consentito al giudice, pur nell’autonomia del delitto-mezzo rispetto ai delitti-fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che, attraverso di essi, si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione (Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, Santagata, Rv. 285126-02; Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266670-01; Sez. 2, n. 2740 del 19/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 25423301; Sez. 2, n. 486 del 21/12/1998, dep. 1999, Avezzano, Rv. 212251-01).
Alla luce di tale principio, si deve ritenere che correttamente il Tribunale di Messina abbia reputato che la motivazione dell’ordinanza genetica in punto di gravi indizi di colpevolezza del reato di associazione per delinquere basata sulla commissione di delitti considerati rientranti nel programma associativo e sulla considerazione delle modalità esecutive degli stessi delitti non fosse né mancante, né apparente né priva di vaglio critico da parte del G.i.p. e fosse, perciò, integrabile dallo stesso Tribunale.
Anche il secondo motivo non è fondato.
Il Tribunale di Messina ha dato conto di quanto effettivamente risulta dalla lettura delle pagg. 288-289 dell’ordinanza dispositiva della misura, cioè che il G.i.p. del Tribunale di Messina aveva argomentato che: a) le modalità e le circostanze dei fatti (come da esso descritte nel penultimo capoverso della pag. 288), in quanto indicative della «diffusività delle condotte delittuose» e della «loro ripetitività con atteggiamento di assoluta impunità», facessero ritenere l’esistenza di un concreto e attuale il pericolo di reiterazione dei reati e necessario disporre una misura che fosse idonea a interrompere la vera e propria «routine criminosa»; b) come per gli altri indagati diversi da COGNOME NOME – indiziato di essere il capo, promotore e organizzatore dell’associazione per delinquere e nei confronti del quale il G.i.p. ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere -, anche per NOME COGNOME, misura idonea allo scopo fosse quella degli arresti domiciliari, con divieto di comunicare con persone diverse da quelle che con lei coabitavano, così che le fosse precluso di congegnare e realizzare delitti analoghi a quelli per i quali si stava procedendo anche restando all’interno della propria abitazione.
Anche in questo caso, si deve ritenere che correttamente il Tribunale di Messina abbia reputato che, tenuto conto della graduazione delle misure tra NOME COGNOME e gli altri indagati – la quale può essere apprezzata come indice del rispetto del requisito dell’autonoma valutazione della richiesta cautelare (Sez. 5, n. 70 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 274403-01) – e della sostanziale sovrapponibilità delle posizioni degli indagati diversi da NOME COGNOME, il G.i.p. del Tribunale di Messina avesse esposto e valutato autonomamente le esigenze cautelari in relazione alla posizione di NOME COGNOME con la conseguente insussistenza dell’eccepita nullità dell’ordinanza genetica ai sensi del comma 2 dell’art. 292 cod. proc. pen.
Il terzo motivo è manifestamente infondato sotto il primo dei due profili in cui è articolato mentre non è consentito sotto il secondo di tali profili.
5.1. Quanto al primo profilo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la replica del Tribunale di Messina all’argomentazione difensiva che faceva leva sull’inesistenza di conversazioni intercettate che vedessero la partecipazione della COGNOME o riferimenti alla sua persona, non appare né violativa di norme di legge né manifestamente illogica, atteso che non si può ritenere illogico reputare che, considerata l’assenza di conversazioni intercettate relativamente anche alle «fasi criminose che hanno visto l’incontestata partecipazione della Barbera», l’analoga assenza di conversazioni non valesse di per sé a escludere logicamente la partecipazione dell’indagata all’associazione per delinquere, ben potendo la stessa partecipazione – come doveva essere avvenuto
per le altre «fasi criminose» – essere stata realizzata mediante accordi tra presenti.
5.2. Quanto al secondo profilo del motivo, si deve anzitutto rilevare come nel capo 1) dell’imputazione provvisoria fosse stato contestato alla ricorrente di essere «socia della RAGIONE_SOCIALE».
Ciò posto, con il secondo profilo del motivo, la ricorrente deduce l’infondatezza di tale elemento – valorizzato dal Tribunale di Messina al fine di ritenere la gravità indiziaria della partecipazione dell’indagata all’associazione per delinquere di cui al capo 1) dell’imputazione provvisoria – e, a riprova della stessa infondatezza, produce, in allegato al ricorso, copie dell’estratto dell’atto costitutivo e della visu storica di RAGIONE_SOCIALE
A tale proposito, si deve ribadire il principio, che è stato più volte affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui, nel giudizio di legittimità, possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano prova nuova e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici d merito (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277609-01; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266390-01; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254302-01).
Si deve pertanto ritenere senz’altro non consentita la produzione, in allegato al ricorso, delle menzionate copie dell’estratto dell’atto costitutivo e della visur storica di RAGIONE_SOCIALE atteso che tali documenti, anzitutto, ben avrebbero potuto essere esibiti nell’ambito del procedimento cautelare e, in secondo luogo, richiederebbero comunque una valutazione, per la prima volta, oltre che della loro validità formale, dalla loro incidenza sul complesso degli elementi già raccolti, il che costituirebbe un’attività che è estranea ai compiti istituzionali della Corte di cassazione.
Ne discende che il profilo del motivo, in quanto è fondato su una documentazione la cui produzione non è consentita, si deve ritenere anch’esso non consentito.
Quanto alla deduzione della ricorrente secondo cui la sua estraneità rispetto a RAGIONE_SOCIALE «risulta dalla documentazione in atti», si deve osservare come essa appaia del tutto generica – in assenza di qualsivoglia indicazione di quale sarebbe stata tale «documentazione in atti» – e si debba perciò ritenere, per tale ragione, anch’essa non consentita.
6. Il quarto motivo non è fondato.
I reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui ai capi 195), 196), 197) e 198) dell’imputazione provvisoria sarebbero stati
realizzati mediante la cessione di crediti d’imposta in luogo delle detrazioni fiscali del cosiddetto “superbonus 110%” (art. 121 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. con modif. dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) fittizi, in quanto la menzionata agevolazione fiscale era stata richiesta in totale assenza dei relativi presupposti costitutivi (in particolare, dell’effettivo compimento delle opere incentivate).
Come è infatti diffusamente noto, l’art. 121 del d.l. n. 34 del 2020 (il cosiddetto “Decreto Rilancio”) prevede che i soggetti che sostengono spese relative a determinati interventi (recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, adozione di misure antisismiche, recupero o restauro della facciata di edifici esistenti, installazione di impianti fotovoltaici, installazione di colonnine la ricarica dei veicoli elettrici, superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche) possano optare, in alternativa all’utilizzo diretto della detrazione loro riconosciuta (la quale costituisce, perciò, la prima forma di strutturazione del beneficio): 1) per il cosiddetto “sconto in fattura”, praticato dall’esecutore dei lavori, con la conseguente possibilità, per quest’ultimo, di godere di un credito d’imposta di importo pari alla detrazione o di cedere tale credito a terzi (compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari) (lett. a del comma 1); 2) per la diretta cessione a terzi (compresi gli istituti di credito e gli altri intermed finanziari), da parte dell’originario beneficiario della detrazione, di un credito d’imposta di importo pari alla stessa detrazione (lett. b del comma 1).
I crediti d’imposta così acquisiti dai terzi (cioè dai soggetti divers dall’originario beneficiario dell’agevolazione) cessionari possono essere: 1) o ulteriormente ceduti (nei termini, più volte modificati, previsti dalle menzionate lett. a e b del comma 1); 2) o utilizzati in compensazione (con debiti nei confronti dell’erario) con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione (comma 3, il cui terzo periodo precisa che la quota di credito d’imposta non utilizzata nell’anno non può essere usufruita negli anni successivi e non può essere richiesta a rimborso).
Ne discende che l’utilizzo in compensazione costituisce la naturale destinazione “finale” dei crediti d’imposta di cui all’art. 121 del d.l. n. 34 del 2020 (comma 3: « crediti d’imposta di cui al presente articolo sono utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite»).
Ai fini dell’opzione per lo sconto o per la cessione, è richiesto al contribuente di procurarsi: da un lato, un visto di conformità della documentazione attestante la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione d’imposta, rilasciato da specifici soggetti autorizzati (quali, per esempio, commercialisti e centri di assistenza fiscale; comma 11 dell’art. 119 del d.l. n. 34 del 2000); dall’altro lato, un’asseverazione da parte di tecnici abilitati in ordine al rispetto de
requisiti tecnici e alla congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati (comma 13 dell’art. 119 del d.l. n. 34 del 2020).
I dati relativi all’opzione per lo sconto o per la cessione devono essere comunicati all’Agenzia delle entrate solo in via telematica, anche avvalendosi dei soggetti che rilasciano il menzionato visto di conformità (art. 119, comma 12, del d.l. n. 34 del 2020).
Nel caso in esame, le condotte delittuose contestate all’indagata sarebbero consistite nel generare, mediante le operazioni fraudolente che sono puntualmente descritte nell’ordinanza impugnata, dei crediti d’imposta inesistenti (in tale senso: Sez. 3, n. 45558 del 16/11/2022, Poste Italiane s.p.a., punti 9 e 10), in quanto fondati su dei diritti alla detrazione dei quali mancavano del tutto i presupposti costitutivi (in particolare, quello dell’effettivo compimento delle opere incentivate), e nell’optare per la cessione degli stessi crediti, i quali venivano quindi ceduti, i un caso (capo 195) a RAGIONE_SOCIALE e, negli altri casi (capi 196, 197 e 198), a Poste Italiane s.p.a. (che, come risulta dalla pag. 10 dell’ordinanza impugnata, peraltro, li rifiutava. Con la conseguenza che i tre crediti d’imposta si devono ritenere essere rimasti nel cassetto fiscale dell’indagata).
La questione posta con il motivo in esame consiste nello stabilire se, in tale modo, siano state consumate delle truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche, il che, secondo la ricorrente, si dovrebbe escludere per l’insussistenza dell’elemento del danno in capo allo Stato. Danno che non si sarebbe prodotto per la ragione che i crediti fittizi in contestazione non erano stati utilizzati in compensazione.
Il Collegio, premesso che, nella fattispecie di cui all’art. 640-bis cod. pen., i danno che può assumere rilievo appare essere quello che va a incidere sull’ente erogatore (cioè, nella specie, sullo Stato), ritiene che le truffe aggravate per i conseguimento di erogazioni pubbliche commesse generando un credito d’imposta inesistente in quanto fondato su un diritto alla detrazione del quale manchino del tutto i presupposti costitutivi si consumino con la creazione dello stesso credito mediante l’esercizio dell’opzione, di cui alla lett. b de comma 1 dell’art. 121 del d.l. n. 34 del 2020, per la cessione a terzi di un credito d’imposta di ammontare pari a quello della suddetta detrazione, senza che, per la stessa consumazione, contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente, sia necessario che il credito fittizio così creato venga utilizzato in compensazione dall’apparente beneficiario della detrazione (o sia da lui riscosso) o da un cessionario dello stesso credito.
A tale proposito, si deve rammentare come la Corte di cassazione, nel pronunciarsi sulla questione dell’individuazione del momento consumativo della truffa cosiddetta contrattuale, abbia più volte affermato come tale questione non
possa essere risolta in via preventiva e astratta, essendo invece necessario muovere dalla peculiarità del singolo accordo e dalla valorizzazione della specifica volontà contrattuale e delle specifiche modalità delle condotte e dei loro tempi, in quanto solo un tale esame consente di individuare quale sia stato l’effettivo danno, quale il concreto profitto e quale il momento in cui essi si sono prodotti e, quindi, quando il reato si sia consumato (Sez. 2, n. 33588 del 13/07/2023, COGNOME, Rv. 285143-01; Sez. 2, n. 11102 del 14/02/2017, COGNOME, Rv. 269688-01; Sez. F, n. 31497 del 26/07/2012, COGNOME, Rv. 254043-01).
Rammentato tale principio, si deve osservare che, nei casi quali quelli che vengono qui in considerazione, con l’esercizio dell’opzione di cui alla lett. b) del comma 1 dell’art. 121 del d.l. n. 34 del 2020, l’agente crea un credito nei confronti dello Stato (e, quindi, un debito di esso) del tutto inesistente in quanto generato in assenza di qualsiasi fonte giustificativa dell’obbligazione nell’effettiva realtà d fatti – e che, come si è visto, è naturalmente destinato a essere prontamente utilizzato dai terzi cessionari in compensazione, gli effetti della quale sono di assai incerta neutralizzabilità, in particolare, nel caso in cui tale utilizzo sia fatto da cessionari in buona fede.
Alla luce di tali peculiarità dei crediti cosiddetti “superbonus”, si deve ritenere che già con la creazione del credito fittizio mediante l’esercizio dell’opzione di cui alla lett. b) del comma 1 dell’art. 121 del d.l. n. 34 del 2020 l’agente consegua il profitto ingiusto con correlativo danno per lo Stato.
Conforta tale conclusione anche la considerazione di come, ancorché la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640-bis cod. pen. costituisca una circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all’art. 64 dello stesso codice e non una figura autonoma di reato (Sez. U, n. 26351 del 26/06/2002, Fedi, Rv. 221663-01), l’evento danno di tale fattispecie aggravata di truffa appaia atteggiarsi non meramente come danno da oggettiva riduzione del patrimonio pubblico ma come danno, più specificamente, da sviamento dei fondi pubblici rispetto alla loro corretta destinazione, come appare comprovato anche dal riferimento, che è stato operato dal legislatore nella formulazione dell’art. 640bis cod. pen., non solo all’erogazione dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo ma anche, alternativamente, alla concessione di essi («concessi o erogati»; corsivo aggiunto), con la quale il suddetto sviamento si può parimenti realizzare.
Per queste ragioni, anche alla luce del recente precedente di questa stessa Sezione (Sez. 2, n. 40015 del 23/10/2024, COGNOME, Rv. in corso di attribuzione), il Collegio ritiene di non condividere l’orientamento espresso da Sez. 3, n. 23402 del 07/03/2024, COGNOME, Rv. 286554-01, secondo cui «solo quando i crediti ceduti sono stati materialmente riscossi o compensati può dirsi realizzato il danno
per lo Stato, per essersi verificata la concreta perdita del denaro, siccome erogato a rimborso di un credito fittizio ovvero non incassato per effetto di compensazione con un credito fittizio».
7. Il quinto motivo non è fondato.
La Corte di cassazione ha chiarito che il delitto di autoriciclaggio non si può consumare, neppure nella forma tentata, prima che si sia consumato il reato presupposto (Sez. 5, n. 138 del 20/09/2021, dep. 2022, COGNOME Rv. 282730-01, la quale, sul rilievo che, come il riciclaggio, anche l’autoriciclaggio presuppone la consumazione di un altro reato, ha esteso all’autoriciclaggio un principio che era già stato affermato con riferimento al riciclaggio da Sez. 2, n. 30889 del 09/09/2020, COGNOME Rv. 279913-01; Sez. 5, n. 331 del 12/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280169-01).
Sulla base di tale premessa, con il motivo in esame, la ricorrente deduce che, poiché, per quanto aveva esposto nel quarto motivo, la truffa di cui al capo 195 dell’imputazione provvisoria, indicata nel capo 199 della stessa imputazione quale reato presupposto del delitto di autoriciclaggio contestato in quest’ultimo capo, si doveva ritenere non essere stata consumata, ne discendeva l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del delitto di autoriciclaggio.
Poiché, perciò, il motivo in esame era basato esclusivamente sulla ritenuta fondatezza del precedente quarto motivo, dal rigetto di tale motivo consegue l’infondatezza anche del motivo in esame.
8. Il sesto motivo è manifestamente infondato.
Con tale motivo, la ricorrente prospetta infatti delle carenze motivazionali che risultano palesemente insussistenti, atteso che il Tribunale di Messina appare avere adeguatamente argomentato la ricorrenza delle esigenze cautelari, evidenziando come le contestate condotte delittuose fossero state commesse dalla COGNOME non in modo isolato ma nell’ambito della sua partecipazione all’associazione per delinquere di cui esse costituivano lo scopo, in modo reiterato, sistematico e altamente organizzato, senza che la stessa COGNOME avesse dato segno di dissociazione o di resipiscenza, con la conseguente sussistenza di un pericolo di reiterazione delle stesse condotte.
Si tratta di un’argomentazione che, come si è anticipato, risulta senz’altro adeguata, senza che possa logicamente indurre a reputare il contrario, diversamente da quanto mostra di ritenere la ricorrente, né la sua condizione di incensurata, atteso che tale condizione non esclude di per sé il pericolo di reiterazione delle condotte criminose, né la distanza temporale dalla commissione dei reati, atteso che la stessa non si può considerare particolarmente ampia, tenuto conto che l’ultimo dei reati contestati alla Barbera è precedente di circa due anni rispetto all’emissione dell’ordinanza cautelare.
Si è già detto, poi, esaminando il secondo profilo del terzo motivo (punto 5.2), come, dovendosi reputare non consentita la produzione, in questa sede di legittimità, della documentazione che comproverebbe l’estraneità della ricorrente rispetto a RAGIONE_SOCIALE, si debbano ritenere non consentite le doglianze che trovano il proprio fondamento nella stessa documentazione.
Quanto, infine, alla scelta della misura, si deve rilevare il sopravvenuto difetto di interesse della ricorrente, atteso che, come si è indicato nell’epigrafe, con ordinanza del 24/07/2024, il Tribunale di Messina ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari con la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/10/2024.