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Truffa reddito di cittadinanza: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per truffa aggravata nei confronti di due soggetti che avevano omesso di comunicare l’esistenza di condanne penali, divenute ostative alla percezione del reddito di cittadinanza a seguito di una modifica normativa. Secondo la Corte, tale omissione non integra il meno grave reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, ma una vera e propria truffa reddito di cittadinanza, poiché il silenzio è finalizzato a indurre in errore l’ente erogatore che effettua controlli sulla sussistenza dei requisiti.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa Reddito di Cittadinanza: L’obbligo di comunicare le condanne penali

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21875/2025, affronta un tema di grande attualità: la qualificazione giuridica della condotta di chi, percependo il reddito di cittadinanza, omette di comunicare l’esistenza di condanne penali ostative. Questa pronuncia chiarisce perché tale comportamento configuri il grave reato di truffa reddito di cittadinanza ai sensi dell’art. 640-bis c.p. e non la meno grave fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.). Analizziamo la decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I fatti del caso: la mancata comunicazione

Due individui avevano presentato domanda per il reddito di cittadinanza, ottenendolo. Pochi giorni dopo la loro domanda, una modifica legislativa ha introdotto, tra le cause ostative al beneficio, la presenza di condanne definitive per determinati reati nel decennio precedente. I due beneficiari, pur avendo tali condanne a loro carico, non comunicavano questa circostanza all’ente erogatore, continuando a percepire il sussidio.

Condannati in primo grado e in appello per truffa aggravata, i due ricorrevano in Cassazione sostenendo principalmente due argomentazioni: l’assenza di un obbligo di comunicazione, dato che il requisito non esisteva al momento della domanda, e l’errata qualificazione del fatto, che a loro dire doveva rientrare nell’art. 316-ter c.p., con conseguenze sanzionatorie potenzialmente minori o addirittura solo amministrative.

La questione giuridica: Truffa aggravata o indebita percezione?

Il nucleo della controversia legale risiede nella distinzione tra due figure di reato che spesso si trovano in un’area di confine: la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.) e l’indebita percezione di tali erogazioni (art. 316-ter c.p.).

La tesi difensiva dei ricorrenti

I ricorrenti sostenevano che la loro condotta fosse meramente omissiva. Essendosi limitati a non comunicare una circostanza sopravvenuta, non avrebbero posto in essere alcun “artifizio o raggiro” volto a indurre in errore l’amministrazione pubblica. Secondo la difesa, l’ente erogatore avrebbe semplicemente preso atto di una dichiarazione iniziale, senza essere ingannato. Pertanto, il fatto doveva essere ricondotto all’art. 316-ter c.p., che punisce proprio l’omessa comunicazione di informazioni dovute, e che prevede una soglia di non punibilità penale per importi inferiori a circa 4.000 euro.

L’analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto integralmente le argomentazioni difensive, fornendo una chiara linea interpretativa. I giudici hanno stabilito che i requisiti per il godimento del reddito di cittadinanza devono essere posseduti e mantenuti per tutta la durata della percezione del beneficio. L’introduzione di una nuova causa ostativa ha fatto sorgere in capo ai beneficiari un preciso obbligo giuridico di comunicare la circostanza impeditiva.

Le motivazioni della decisione sulla truffa reddito di cittadinanza

La Corte ha fondato la sua decisione su due pilastri argomentativi fondamentali: la natura dell’obbligo di comunicazione e la struttura del procedimento di erogazione del beneficio.

Il dovere di mantenere i requisiti nel tempo

Il primo punto chiarito dalla Cassazione è che il diritto a percepire il sussidio non si esaurisce con l’accoglimento della domanda iniziale. È un diritto condizionato al mantenimento costante dei requisiti previsti dalla legge. La modifica normativa, introducendo la causa ostativa delle condanne penali, ha imposto un dovere di agire ai beneficiari. Il loro silenzio non è stato un mero comportamento passivo, ma un “silenzio antidoveroso” finalizzato a mantenere un beneficio che non spettava più. Questo silenzio, nel contesto specifico, assume il valore di un raggiro.

La differenza tra art. 640-bis e 316-ter cod. pen.

La Corte ha poi ribadito il criterio distintivo tra le due fattispecie. L’art. 316-ter c.p. ha natura residuale e si applica quando l’ente pubblico eroga il beneficio sulla base di una mera dichiarazione, senza svolgere una specifica attività di controllo e accertamento. In questi casi, l’ente non è propriamente “indotto in errore”, ma si limita a prendere atto di quanto dichiarato.

Al contrario, si configura la truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) quando la normativa prevede che l’amministrazione pubblica svolga controlli, anche ex post, per verificare la veridicità delle dichiarazioni e la permanenza dei requisiti. La procedura per il reddito di cittadinanza impone all’INPS e ai Comuni di effettuare verifiche incrociate. Di conseguenza, l’omessa comunicazione da parte del beneficiario è una condotta calcolata per ingannare l’ente durante questa fase di controllo, inducendolo in errore e facendogli credere che i requisiti siano ancora presenti. Questo integra pienamente gli “artifizi o raggiri” tipici della truffa.

Le conclusioni della Corte

La Corte di Cassazione ha concluso che l’omessa comunicazione di una causa di esclusione dal reddito di cittadinanza, sorta a seguito di una modifica normativa, costituisce a tutti gli effetti il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato. Il silenzio del beneficiario assume il carattere di un raggiro omissivo, volto a trarre in inganno l’amministrazione pubblica impegnata nelle sue attività di verifica. La sentenza rigetta quindi i ricorsi, confermando le condanne e stabilendo un principio di diritto importante per tutti i casi futuri di truffa reddito di cittadinanza.

Chi riceve il reddito di cittadinanza ha l’obbligo di comunicare una condanna penale preesistente se una nuova legge la rende ostativa?
Sì. Secondo la sentenza, i requisiti per il beneficio devono essere mantenuti per tutta la durata dell’erogazione. L’entrata in vigore di una norma che introduce una nuova causa ostativa (come una condanna definitiva) fa sorgere un obbligo giuridico per il beneficiario di comunicare tale circostanza, pena la revoca del beneficio e conseguenze penali.

Perché l’omessa comunicazione di una condanna ostativa è considerata truffa aggravata e non semplice indebita percezione?
Perché la normativa sul reddito di cittadinanza prevede che l’amministrazione pubblica (INPS) svolga controlli sulla sussistenza dei requisiti. L’omissione non è una semplice dichiarazione falsa, ma un comportamento (un “silenzio antidoveroso”) finalizzato a indurre in errore l’ente durante la sua attività di verifica. Questo comportamento integra gli “artifizi o raggiri” richiesti per il reato di truffa aggravata (art. 640-bis c.p.), che è più grave dell’indebita percezione (art. 316-ter c.p.).

L’ignoranza della nuova legge che introduce un requisito ostativo può escludere la colpevolezza?
No. La sentenza chiarisce che l’errore o l’ignoranza su una norma che definisce i requisiti per un beneficio pubblico è un errore sulla legge penale. In base all’art. 5 del codice penale, l’ignoranza della legge penale non scusa, a meno che non sia inevitabile. La Corte ha ritenuto che la normativa sul reddito di cittadinanza non fosse così oscura o complessa da rendere l’ignoranza inevitabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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