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Truffa processuale: non è reato ingannare il giudice

La Corte di Cassazione ha annullato un sequestro per truffa aggravata, stabilendo un principio chiave sulla truffa processuale. Se un avvocato avvia un’azione esecutiva per un credito già pagato, ingannando solo il giudice ma non il debitore (che era stato regolarmente notificato e poteva opporsi), non si configura il reato di truffa. Manca infatti l’atto di disposizione patrimoniale volontario della vittima, poiché il pagamento deriva da un ordine coattivo del giudice.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa Processuale: Ingannare il Giudice Non è Reato se il Debitore Può Difendersi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13004/2024, ha stabilito un importante principio in materia di truffa processuale. La Suprema Corte ha chiarito che indurre in errore un giudice in un procedimento esecutivo civile per ottenere il pagamento di un credito già soddisfatto non costituisce reato di truffa, a condizione che il debitore sia stato messo in condizione di difendersi. Vediamo nel dettaglio i fatti e le motivazioni di questa fondamentale decisione.

I Fatti del Caso: Un Credito Soddisfatto ma Riscattato Ancora

Il caso riguarda un avvocato indagato per truffa aggravata. L’accusa era di aver avviato più volte procedure esecutive sulla base dello stesso titolo (un credito già saldato), ottenendo così dal giudice dell’esecuzione diverse ordinanze di assegnazione di somme non dovute. Inizialmente, il Tribunale aveva confermato un decreto di sequestro preventivo per un importo di oltre 237.000 euro, ritenendo sussistente il cosiddetto fumus commissi delicti, ovvero l’apparenza del reato.

L’avvocato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua condotta non integrasse gli estremi della truffa per diverse ragioni. In primo luogo, non vi erano stati “artifizi o raggiri” nei confronti del debitore, poiché tutti gli atti esecutivi (titolo, precetto, pignoramento) erano autentici e regolarmente notificati. Il debitore, quindi, era pienamente consapevole dell’azione e aveva a disposizione tutti gli strumenti legali per opporsi, ma era rimasto inerte. In secondo luogo, l’atto di pagamento non era una disposizione patrimoniale volontaria della vittima indotta in errore, ma un atto dovuto, imposto da un ordine del giudice.

La Decisione della Cassazione sulla Truffa Processuale

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’avvocato, annullando senza rinvio l’ordinanza di sequestro. I giudici hanno ritenuto che, nel caso specifico, mancassero gli elementi costitutivi del reato di truffa previsto dall’art. 640 del codice penale.

Le Motivazioni: Perché Non Si Configura il Reato di Truffa

La sentenza si fonda su una distinzione cruciale tra l’inganno rivolto al debitore e quello rivolto al giudice.

L’Assenza di Artifizi Verso il Debitore

La Corte ha evidenziato che l’indagato non ha posto in essere alcuna alterazione della realtà nei confronti del debitore. I titoli esecutivi erano validi, e tutti gli atti della procedura erano stati notificati correttamente. Questa trasparenza ha messo il debitore nella condizione di conoscere l’intenzione del creditore di agire per un credito già estinto e di attivare i rimedi previsti dalla legge, come l’opposizione all’esecuzione. La passività del debitore di fronte a una procedura formalmente legittima ha, di fatto, legittimato l’ordinanza di assegnazione del giudice.

L’Inganno al Giudice e la Mancanza dell’Atto di Disposizione Patrimoniale

L’unico raggiro, secondo la Corte, è stato commesso nei confronti del giudice, al quale è stato nascosto che il credito era già stato soddisfatto. Tuttavia, la giurisprudenza consolidata afferma che la truffa processuale non si configura quando l’agente induce in errore il giudice per ottenere una decisione favorevole. Questo perché il provvedimento del giudice (in questo caso, l’ordinanza di assegnazione) non è un “libero atto di disposizione patrimoniale” di un privato, ma l’espressione di un potere giurisdizionale pubblico.

L’elemento chiave che manca è l’atto di disposizione patrimoniale volontario della vittima, causato dall’errore. Il pagamento non è avvenuto perché il debitore è stato ingannato, ma perché è stato costretto da un ordine giudiziario. L’atto del giudice, quindi, si interpone tra la condotta dell’agente e il danno patrimoniale, escludendo il nesso di causalità richiesto dalla norma sulla truffa.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la tutela penale offerta dalla norma sulla truffa non si estende ai casi in cui una parte processuale, pur agendo in malafede, si avvale degli strumenti del processo civile senza alterare la realtà fattuale nei confronti della controparte. La difesa da pretese infondate, anche se portate davanti a un giudice, è affidata agli strumenti processuali civili (come le opposizioni) e non alla querela per truffa. La sentenza sottolinea l’importanza per il debitore di essere parte attiva nel processo esecutivo e di utilizzare i rimedi legali a sua disposizione per contestare pretese creditorie illegittime, anche se formalmente corrette.

Ingannare un giudice in una causa civile per ottenere un pagamento costituisce reato di truffa?
No, secondo questa sentenza della Corte di Cassazione. Indurre in errore il giudice non integra il reato di truffa perché la sua decisione è espressione del potere giurisdizionale e non un atto di libera disposizione patrimoniale della vittima, elemento essenziale del reato.

Perché la Corte ha annullato il sequestro preventivo nel caso analizzato?
La Corte ha annullato il sequestro perché ha ritenuto insussistente il fumus commissi delicti, ovvero la parvenza del reato di truffa. Mancava l’elemento costitutivo dell’atto di disposizione patrimoniale volontario indotto in errore, dato che il pagamento era conseguenza di un ordine coattivo del giudice.

Qual è la differenza tra ingannare il debitore e ingannare il giudice in una procedura esecutiva?
Ingannare il debitore (ad esempio, con documenti falsi) può costituire truffa. Invece, ingannare solo il giudice presentando un titolo valido ma già saldato, mentre il debitore è stato correttamente informato e non si è opposto, non integra la truffa. In quest’ultimo caso, il danno non deriva dall’errore del debitore, ma dalla sua inerzia e dal conseguente ordine del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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