Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1455 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1455 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Piacenza il 29/10/1971 avverso la sentenza del 08/11/2022 della Corte d’appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito per le parti civili, l’avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, e per la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa; udito, per il ricorrente, l’avvocato NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 8 novembre 2022, la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di
Piacenza, per quanto di interesse ‘n questa sede, in accoglimento dell’appello presentato dalle parti civili, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine ai reati di contraffazione di opere d’arte, di cui all’art. 17 d.lgs. 42 del 2004 (ora art. 518-quaterdecies cod. pen.), nonché di truffa, e, a norma dell’art. 578 cod. proc. pen., ha condannato il medesimo al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidare in sede civile, disponendo inol in favore delle stessa una provvisionale dell’importo di 40.000,00 euro.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, NOME COGNOME tra il gennaio ed il giugno 2013, avrebbe posto in commercio, come autentico, un esemplare di oper« di pittura contraffatta, falsamente attribuito a NOME COGNOME (capo 1), ed avrebbe inoltre tratto in errore le due parti civili costituite, proponendo, nella ves di esperto d’arte e gallerista, l’acquisto di questo dipinto e di un altro dipin falsamente presentato come attribuibile a NOME COGNOME e procurandosi, per effetto del perfezionamento delle conseguenti compravendite, l’ingiusto profitto di 58.000,00 euro (capo 3).
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’avvocato NOME COGNOME articolando cinque motivi, preceduti da una descrizione dei fatti e dello svolgimento del processo in primo grado e in appello.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 591, comma 1, e 581 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata declaratoria dell’inammissibilità dell’atto di appello per difetto di specificità.
Si deduce che l’appello presentato dalle parti civili è privo di motivi, perché, come rappresentato già nella memoria depositata davanti alla Corte distrettuale, non contiene l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto a sostegn della richiesta di riforma della sentenza di primo grado.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., a norma dell’ 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla disposta rinnovazione istruttoria in appello con riguardo all’esame dei consulenti tecnici dell’imputato e delle parti civili.
Si deduce, in primo luogo, che la rinnovazione non può ritenersi giustificata a norma dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., perché l’impugnazione della sentenza di assoluzione è stata proposta esclusivamente dalle parti civili e non anche dal pubblico ministero.
Si deduce, in secondo luogo, che la rinnovazione istruttoria è stata disposta di ufficio, senza alcuna richiesta delle parti civili, e senza esplicita motivazione, non è stata nemmeno seguita dall’assunzione di una perizia d’ufficio.
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2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art 640 cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza della truffa con riguardo al dipinto erroneamente attribuito a NOME COGNOME.
Si deduce che la truffa, con riguardo al dipinto erroneamente attribuito a NOME COGNOME non è ipotizzabile, perché manca qualunque artificio o raggiro. Si rappresenta infatti che: a) l’opera in questione, come convenuto da entrambi i consulenti e riconosciuto dalla Corte d’appello, non è contraffatta e risale al Seicento; b) sono state le attuali parti civili a richiedere all’imputato di individ opere d’arte nelle quali investire; c) l’attribuzione dell’opera a NOME COGNOME è stat effettuata dall’imputato in termini probabilistici («lui diceva: mio parere”»); le parti civili non hanno manifestato alcuna diligenza, ad esempio facendo periziare detta opera; e) il giudizio di attribuibilità di un’opera datata è sempre opinabile.
Si aggiunge, poi, che mancano due ulteriori elementi per configurare la truffa: il danno per le parti civili e l’ingiusto profitto per l’imputato. Si rileva, in pro che l’opera in questione non è contraffatta e risale al periodo storico in cui h dipinto NOME COGNOME e che l’imputato ha regolarmente fatturato di aver ricevuto la somma incassata, pari a 10.000,00 euro, per l’attività di stima e di consulenza.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 178 d.lgs. n. 42 del 2004 e 640 cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell contraffazione e della truffa con riguardo al dipinto attribuito a NOME COGNOME
Si deduce, in primo luogo, che illegittimamente si esclude l’attribuibilit dell’opera a NOME COGNOME perché questa attribuzione è ritenuta corretta sia dall’imputato, sia dal suo consulente tecnico, NOME COGNOME, massimo esperto d’arte emiliana e collaboratore anche del Louvre e della National Gallery.
Si rileva, in secondo luogo, che, in ogni caso, non può essere affermata la conoscenza certa, da parte dell’imputato, della non autenticità del dipinto, in quanto: a) l’attribuzione dello stesso a NOME COGNOME costituisce valutazione personale non irragionevole, in quanto confermata dallo storico dell’arte NOME COGNOME; b) il “reintelo”, valorizzato in negativo dal consulente tecnico delle part civili, è semplicemente una tecnica di applicazione di una nuova tela per rinforzare quella deteriorata, su cui si trova la pittura, ma non incide sull’autentici dell’opera; c) l’imputato si è limitato esclusivamente ad esprimere un parere sull’identità dell’autore dell’opera.
2.5. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla preferenza attribuita alle valutazioni del consulente tecnico delle parti civili costituite, rispetto a qu del consulente tecnico dell’imputato.
Si deduce che illegittimamente e del tutto immotivatamente la Corte d’appello ha prestato piena adesione alle valutazioni del consulente tecnico delle parti civili costituite, ed ha fondato su di esse le proprie conclusioni.
Nell’interesse delle parti civili costituite, ha presentato memoria l’avvocato NOME COGNOME affermando l’inammissibilità dei motivi di ricorso.
Nella memoria, si contesta innanzitutto la ricostruzione dei fatti esposti nella premessa del ricorso, siccome ritenuta lacunosa.
Si osserva, poi, in particolare: a) quanto al primo motivo, che lo stesso non si confronta con il contenuto dell’atto di appello presentato nell’interesse delle part civili; b) quanto al secondo motivo, che l’obbligo di rinnovazione istruttoria ex ar 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., si applica anche in caso di appello della parte civile (si cita Sez. 5, n. 15259 del 18/02/2020); c) quanto al terzo motivo, che la truffa in relazione al dipinto attribuito a NOME COGNOME, si evince anche dalle ulteri condotte dell’imputato, esposte nella sentenza impugnata, e costituite dalla insistenti telefonate per concludere gli affari, dalla prospettazione di lucro guadagni e dalla irreperibilità dopo il perfezionamento degli acquisti, oltre che dalla consapevolezza della incompetenza in materia delle parti civili; d) quanto al quarto motivo, che il giudizio sulla contraffazione dell’opera attribuii:a a NOME COGNOME, artista del Seicento, non è contrastato dalle indicazioni del consulente dell’imputato, il quale si è limitato ad esprimere una opinione meramente probabilistica ed esaminando soltanto una fotografia, ed è supportato da un’analisi dell’opera compiuta dal consulente tecnico delle parti civili mediante esame diretto della stessa, sulla cui base è stato agevole desumere l’assenza di interventi di restauro ed accertare la modernità del telaio sul quale si trova il dipinto; e) quanto al quinto motivo, che la non attribuibilità a NOME COGNOME del dipinto al medesimo falsamente riferito è stata ammessa anche dal consulente dell’imputato, mentre la non attribuibilità a NOME COGNOME dei dipinto al medesimo falsamente riferito è stata specificamente spiegata sulla base del differente tipo di analisi compiuto dai due consulenti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.
Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la mancata dichiarazione di inammissibilità dell’appello delle parti civili deducendo che le doglianze in esso contenute sarebbero prive di specificità.
In argomento, le Sezioni Unite hanno precisato che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non
risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto all di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo rest che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è dirett proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state espo provvedimento impugnato (così Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822-01).
Nella specie, la sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado, quanto di interesse in questa sede, aveva escluso: a) il reato di cui all d.lgs. n. 42 del 2004 con riguardo al dipinto attribuito a NOME COGNOME l’opera, secondo le dichiarazioni del consulente tecnico della difesa NOME COGNOME padre dell’imputato, NOME COGNOME esperto restauratore, sarebbe autent o comunque non potrebbe essere ritenuta con certezza oggetto di falsificazio b) il reato di truffa per la cessione dei due dipinti attribuiti a NOME COGNOME per l’assorbente considerazione che entrambe le opere, secon quanto dichiarato dal consulente NOME COGNOME e dal teste “tecnico” NOME COGNOME non potrebbero essere ritenute con certezza oggetto di falsificazione.
L’atto di appello delle parti civili: a) con riguardo al reato di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, ha contestato il giudizio di dubbio sulla falsif dell’opera attribuita a NOME COGNOME spiegando perché sarebbero attendibi punto le inequivocabili valutazioni espresse nella relazione di consulenza te redatta da NOME COGNOME su incarico delle parti civili, ed acquisita agl perché le conclusioni del teste NOME COGNOME sarebbero inattendibili relativamente al reato di truffa, ha contestato le conclusioni del Tri richiamando tutti gli atti acquisiti per ricostruire le condo1:te dell’imp confronti delle parti civili, al fine di indurle ad acquistare le due opere, valutazioni del consulente tecnico NOME COGNOME e, con specifico riferime al dipinto attribuito a NOME COGNOME, anche le dichiarazioni del consulente t della difesa NOME COGNOME.
Risulta quindi evidente che l’atto di appello delle parti civili si è confr modo puntuale con le ragioni poste a fondamento della sentenza di primo grad esplicitando con chiarezza e precisione i propri rilievi critici in ordine alle
In parte manifestamente infondate e in parte infondate sono le cens formulate nel secondo motivo, che contestano la legittimità delle prove assun seguito della rinnovazione istruttoria disposta in appello, e relativa al audizione del consulente tecnico della difesa NOME COGNOME nonché all’esame, svolto in primo grado, del consulente tecnico delle parti civili NOME COGNOME
3.1. Manifestamente infondate sono le censure relative alla rinnovazi istruttoria dell’eime dei consulente tecnico della difesa NOME COGNOME già e c)… in primo grado, educono l’inapplicabilità dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc.
pen., trattandosi di appello avverso sentenza di assoluzione proposto dalle sole parti civili.
Appare sufficiente rilevare, infatti, che, secondo un principio enunciato espressamente pure dalle Sezioni Unite, il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un divers apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è tenuto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale anche successivamente all’introduzione del comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen., ad opera dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281228-02).
E le dichiarazioni del consulente tecnico della difesa NOME COGNOME come già indicato in precedenza al § 2, risultano ampiamente richiamate nelle motivazioni della sentenza di primo grado come elemento essenziale per giustificare la pronuncia assolutoria, nonché liberatoria agli effetti civili.
3.2. Infondate, invece, sono le censure relative alla rinnovazione istruttoria dell’esame del consulente tecnico delle parti civili NOME COGNOME le quali deducono l’inapplicabilità non solo dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., in quanto detto professionista non era stato escusso in primo grado, ma anche dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., per essere stata l’audizione disposta di ufficio e senza esplicita motivazione.
3.2.1. È doveroso premettere che l’esame del consulente tecnico delle parti civili NOME COGNOME non può ritenersi disposto a norma dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.
In primo grado, infatti, il professionista non è stato mai sottoposto ad esame, ed il Giudice si è confrontato esclusivamente con la relazione scritta dal medesimo redatta.
E, secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite, non sussiste obbligo di procedere a rinnovazione istruttoria mediante esame dibattimentale del perito o del consulente tecnico quando la relazione scritta redatta dal medesimo sia stata acquisita mediante lettura, difettando in tal caso la natura dichiarativa della prova, per il giudice di appello che, sul diverso apprezzamento di esse, fondi la riforma della sentenza di assoluzione (Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112-01).
3.2.2. Ciò posto, però, deve osservarsi che il potere del giudice di appello di disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale di ufficio, a norma dell’a 603, comma 3, cod. proc. pen, può essere esercitato al di là di quanto strettamente necessario a soddisfare l’obblicio, sancito dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., di riassumere le prove dichiarative decisive suscettibili di divers apprezzamento, purché l’accrescimento del compendio probatorio risulti necessario ai fini della decisione.
In effetti, le due disposizioni appena citate non sono tra loro alternative, e i dovere del giudice, in ogni caso, è quello di ac:certare i fatti sottoposti al suo esame (cfr. per identiche conclusioni, Sez. 2, n. 57795 del 15/11/2018, COGNOME, Rv. 274733-01, la quale ha ritenuto legittima la decisione della Corte d’appello, adita con impugnazione del pubblicb ministero, di assumere otto testimonianze in luogo delle due richieste da quest’ultimo nell’atto di gravame).
3.2.3. Né la prova acquisita di ufficio può ritenersi nulla o inutilizzabile perché manca una specifica motivazione nell’ordinanza che la dispone.
In effetti, secondo una decisione, il giudice d’appello, quando dispone la rinnovazione del dibattimento ha l’obbligo di motivare espressamente sulle ragioni che la impongono, sia che provveda in seguito alla sollecitazione di una parte, ai sensi del comma 1 dell’art. 603 cod. proc. pen., sia che la decisione sia presa d’ufficio, ai sensi del comma 3 del citato articolo; nel primo c:aso, la motivazione deve avere ad oggetto l’impossibilità di decidere allo stato degli atti, nel secondo l’assoluta necessarietà della rinnovazione (così Sez. 5, n. 23580 del 19/02/2018, Campion, Rv. 273326-01, la quale, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata).
Il Collegio, però, ritiene di dissentire da tale conclusione, per due autonomi ordini di ragioni.
In primo luogo, la prova ammessa ex art. 603, comma 1, cod. proc. pen., non può ritenersi affetta da inutilizzabilità o da nullità, perché non è qualificabile com acquisita in violazione di un divieto posto dalla legge, e quindi non ricorrono i presupposti previsti dall’art. 191 cod. proc. pen., né la sua assunzione avviene in violazione di una disposizione sanzionata a pena di nullità.
In secondo luogo, la motivazione di un’ordinanza istruttoria, e quindi anche quella dell’ordinanza di ammissione della prova ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen., può essere anche implicita al momento della sua pronuncia e sviluppata successivamente, nel contesto delle argomentazioni svolte nella sentenza, allorché è possibile evincere le ragioni dell’assoluta necessità dell’acquisizione compiuta. Ed infatti, che la motivazione di un’ordinanza emessa nel corso del dibattimento possa essere esplicitata nella motivazione della sentenza, appare coerente con la disciplina di cui all’art. 586 cod. proc. pen., in forza della quale l’impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso del dibattimento può essere proposta soltanto con l’impugnazione contro la sentenza. In questo senso, si è espressa più volte la giurisprudenza. In effetti, una decisione ha affermato che la motivazione del provvedimento ordinatorio adottato nel corso del processo deve essere integrata con le ragioni esposte dal giudice in sentenza, qualora quest’ultima contenga una decisione coerente con il precedente atto e ne aboia però rielaborato l’apparato giustificativo (Sez. 6, n. 26541 del 09/06/2015, COGNOME, Rv. 26394701). Una pronuncia delle Sezioni Unite, inoltre, ha puntualmente precisato che «la
difettosità di motivazione di un’ordinanza dibattimentale (diversa da quella dichiarativa della contumacia) non può mai esitare in una ragione di nullità del giudizio, specie quando, come nel caso in esame, il giudice abbia ribadito la decisione dibattimentale con la sentenza conclusiva rielaborandone l’apparato giustificativo» (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216662-01, in motivazione § 23.4).
3.2.4. Applicando i principi richiamati alla vicenda in esame, la decisione della Corte d’appello di disporre la rinnovazione istruttoria con riferimento all’esame del consulente tecnico delle parti civili NOME COGNOME è immune da vizi.
In particolare, è vero che la Corte d’appello di Bologna, allorché ha disposto la precisata rinnovazione istruttoria si è limitata a dettare a verbale: «ritenuta l necessità ai fini della decisione di procedere all’escussione dei 2 consulenti tecnici di parte », e, quindi, ha fatto ricorso ad una motivazione implicita.
Tuttavia, l’assoluta necessità dell’esame del consulente tecnico della parte civile risulta ampiamente dalla motivazione della sentenza successivamente emessa, che opera un diffuso richiamo alle dichiarazioni del precisato professionista per spiegare la non attribuibilità delle due opere in relazione alle quali si assume essere stato realizzato l’illecito a NOME COGNOME e a NOME COGNOME come più ampiamente si preciserà in prosieguo nei §§ 4, 4.1, 4.2, 5, 5.1 e 5.2.
3.3. Per completezza, posta l’assenza di censure in proposito nel ricorso, ma in considerazione della possibile rilevabilità d’ufficio della questione, deve anche osservarsi che l’obbligo di rinnovazione istruttoria ex art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. è stato correttamente adempiuto dalla Corte d’appello, pur in difetto di un nuovo esame del teste NOME COGNOME padre dell’imputato, poiché la sentenza di secondo grado ha evidenziato che il Tribunale, nel valutare le dichiarazioni del medesimo, era incorso in un travisamento della prova (v., per maggiori dettagli, infra, §§ 4.1 e 5.1).
Diverse da quelle consentite in sede di legittimità, o comunque manifestamente infondate, sono le censure esposte nel terzo motivo, che contestano l’affermazione della sussistenza della truffa con riguardo alla vendita del quadro attribuito a NOME COGNOME deducendo che, nella specie, mancano gli elementi degli artifici e dei raggiri, del danno per le parti civili e dell’ing profitto per l’imputato.
4.1. La sentenza impugnata precisa che il dipinto ritenuto attribuibile a NOME COGNOME è stato sicuramente realizzato da un autore minore del Seicento, ed indica quali sono, a suo avviso, le condotte decettive dell’imputato.
Recisamente, la Corte d’appello afferma che il dipinto indic:ato come di NOME COGNOME deve ritenersi opera di un allievo del COGNOME, o comunque di un pittore minore del Seicento, perché questa è la conclusione di entrambi i consulenti
tecnici, ed anzi il consulente tecnico della difesa NOME COGNOME lo aveva già affermato anche in primo grado, ritenendo espressamente il quadro un lavoro di NOME COGNOME un allievo del Guercino, e perché il teste NOME COGNOME padre dell’imputato, richiesto di precisare la paternità dell’opera, ha precisato di non essere un critico d’arte, ma «semplicemente un restauratore e basta».
Rileva poi che, secondo entrambi gli esperti, il dipinto in questione presenta caratteristiche tali da non poter essere confuso, nemmeno da un esperto d’arte di cultura medio bassa, come opera di NOME COGNOME «per le palesi difformità stilistiche e cromatiche, oltre che qualitative».
La Corte d’appello, quindi, segnala che significativa è anche la condotta dell’imputato, in particolare perché lo stesso: a) era un rinomato esperto d’arte nonché titolare di una famosa galleria d’arte della città di Piacenza, luogo in prossimità del quale risiedeva` P eg parti civili; b) presentò l’opera come un inedito di NOME COGNOME, e come un affare incredibile, ben conoscendo la scarsissima competenza in materia degli acquirenti; c) rassicurò in modo insistente gli acquirenti sulla provenienza del dipinto, parlando di analogie evidenti con altre opere dell’autore, che mostrò agli stessi, ed appose la dicitura «a mio parere» sul certificato di autenticità dell’opera indicandola quale mera clausola di stile; d) realizzò un’attività di persuasione degli acquirenti, ai quali l’opera non piaceva, rassicurandoli verbalmente sull’originalità dell’opera, sulla convenienza dell’investimento, e sulla probabilità di un’immediata rivendita, in particolare raggiungendoli con «numerose ed assillanti telefonate»; e) superò le perplessità degli acquirenti proponendo loro di partecipare in pari quota all’affare, e, stimando il valore dell’opera in 80.000,00 euro, si fece corrispondere 40.000,00 euro.
4.2. Le conclusioni della sentenza impugnata precedentemente indicate sono immuni da vizi.
Invero, la Corte d’appello ha spiegato in modo incensurabile in sede di legittimità sia perché l’imputato era a conoscenza della provenienza del dipinto da un autore diverso da NOME COGNOME e le cui opere erano stimate di gran lunga di meno, sia quale è stata l’attività decettiva realizzata dal medesimo in danno delle parti civili. Né le censure formulate nel ricorso evidenziano travisamento di prove o altri vizi logici della motivazione.
Da quanto esposto nella sentenza impugnata, inoltre, è palese sia il danno subito dalle parti civili, le quali sono state indotte artatamente ad acquistare un’opera di paternità diversa e molto meno significativa, sotto il profilo artistico quello del valore economico, rispetto a quella indicata, sia l’ingiusto profitt realizzato dall’imputato, e costituito dalla realizzazione di un affare, dal quale ha rilevato, solo per le attività di stima e consulenza, a suo stesso dire, un onorario di 10.000,00 euro.
Ancora, sono inconferenti le censure in ordine al preteso difetto di diligenza delle parti civili nell’accettare le valutazioni e le rassicurazioni dell’imputa poiché, come osserva l’orientamento consolidato della giurisprudenza, nel caso di truffa consumata, non rileva alcuna valutazione in ordine all’idoneità astratta del raggiro, in quanto l’effetto raggiunto dimostra implicitamente l’effettiva idoneità della condotta (cfr. per tutte, Sez. 2, n. 51166 del 25/06/2019, COGNOME, Rv. 278011-01, la quale, in applicazione del principio, ha escluso che la negligenza negli accertamenti da parte dei funzionari bancari su documenti mendaci presentati per ottenere l’erogazione di un finanziamento potesse incidere sulla configurabilità del reato, nonché Sez. 2, n. 10833 del 27/02/1990, Casella, Rv. 185014-01, con riguardo all’accertamento di un’A.S.L. sui titoli di studio necessari per l’assunzione ad un impiego).
Diverse da quelle consentite in sede di legittimità, o comunque manifestamente infondate, sono anche le censure enunciate nel quarto motivo, che contestano l’affermazione della sussistenza della contraffazione e della truffa in ordine alla vendita del quadro attribuito a NOME COGNOME deducendo che non può ritenersi irragionevole la stima di paternità dell’opera effettuata dall’imputato.
5.1. La sentenza impugnata spiega approfonditamente perché che il dipinto ritenuto attribuibile a NOME COGNOME è stato sicuramente contraffatto.
Premette che, in proposito, le dichiarazioni di NOME COGNOME padre dell’imputato, sono state travisate dal Tribunale, perché il teste ha precisato: a) di non essere un critico d’arte, ma «semplicemente un restauratore e basta»; b) di non aver reintelato il dipinto, ma di averlo solo riverniciato; c) di non ave esaminato in epoca recente il quadro, ma di ricordare di aver restaurato un’opera con soggetto analogo molto tempo prima, dopo averne visto una fotografia.
Rappresenta, poi, che il consulente tecnico della difesa NOME COGNOME ha precisato di aver espresso il suo parere sulla base di una fotografia, e non dell’esame diretto del dipinto, e di ricordare che l’immagine in fotografia corrispondeva ad un quadro da lui visto in precedenza, ma in difetto di qualunque incarico e senza procedere a specifici approfondimenti.
Evidenzia, quindi, che il consulente tecnico della parte civile ha escluso l’autenticità dell’opera, presentata, come realizzata da un autore dei Seicento, perché: a) ha accertato l’assenza , interventi di restauro del(dipinto, e a maggior ragione il reintelo dello stesso, sottoponendo la tela alla lampada di Wood; b) ha rilevato con certezza la modernità della tela, smontando la tela dalla cornice e verificando che il telaio è del tipo con i tiranti, e, quindi, appartiene all’ep attuale; c) ha verificato, attraverso l’uso di solventi applicati sulla pittura, la na recente del materiale impiegato per i colori; d) ha constatato la presenza un altro segno inequivocabile di falsità, costituito dai bordi “pitturati” della tela che
incastrano nella cornice; e) ha rappresentato la diffusione di falsi di autori minori dei Seicento di verosimile provenienza toscana.
Segnala, ancora, che lo stesso imputato non ha saputo dire con certezza se il quadro in discussione era stato restaurato dal padre, e nulla ha precisato né in ordine alla committenza di questo restauro, né, più in generale, con riferimento alla provenienza del dipinto, sebbene, in quanto antiquario, fosse tenuto alla redazione del registro con indicazione della provenienza dell’opera.
La sentenza segnala quindi che l’imputato vendette al prezzo di 6.000,00 euro, e come originale, un dipinto contraffatto e del valore di 500,00 euro, assicurando di rivenderlo in breve tempo al prezzo di 10.000,00 o 12.000,00 euro.
5.2. Anche queste conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi.
La Corte d’appello ha spiegato in modo analitico, e sulla base di accettabili massime di esperienza, perché deve ritenersi attendibile quanto affermato dal consulente tecnico delle parti civili in ordine alla contraffazione dell’opera, e perché le diverse valutazioni del consulente tecnico della difesa e del padre dell’imputato sono generiche e, già solo per questo, inidonee a contrastare i rilievi del consulente tecnico delle parti civili.
Da quanto detto, deve escludersi anche la plausibilità della prospettazione secondo cui l’imputato si sarebbe limitato ad esprimere una valutazione personale non irragionevole. Tra l’altro, come ben evidenziato dai Giudici di secondo grado, l’imputato, in quanto antiquario, era tenuto alla redazione del registro con indicazione della provenienza dell’opera.
Diverse da quelle consentite in sede di legittimità, o comunque manifestamente infondate, ancora, sono le censure formulate nel quinto motivo, che contestano la preferenza attribuita alle valutazioni del consulente tecnico della parte civile rispetto a quelle del consulente tecnico della difesa.
Come precedentemente evidenziato nei §§ 4, 4.1 e 4.2, le conclusioni del consulente tecnico della parte civile e quelle del consulente 1:ecnico della difesa sono sostanzialmente coincidenti in ordine al quadro falsamente attribuito a NOME COGNOME perché entrambe concordano nel ritenere lo stesso opera di un autore minore del Seicento, estraneo anche alla scuola di NOME COGNOME.
Per quanto attiene al dipinto falsamente attribuito a NOME COGNOME poi, la Corte d’appello, come sintetizzato in precedenza nei §§ 5., 5.1 e 5.2, ha spiegato in modo analitico, preciso e congruo, sulla base di accettabili criteri di valutazione, perché le conclusioni del consulente tecnico della parte civile sono attendibili e perché le conclusioni del consulente tecnico della difesa sono del tutto generiche.
Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, e alla rifusione delle
spese di rappiesentanza e difesa sostt-nute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano in complessivi 4.800,00 euro, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro 4.800,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 10/11/2023