Truffa Online: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti sui reati di truffa online e sui limiti del ricorso in sede di legittimità. Il caso analizzato riguarda una classica frode perpetrata attraverso una piattaforma social, un fenomeno purtroppo sempre più diffuso. Comprendere le ragioni che hanno portato i giudici a dichiarare inammissibile il ricorso dell’imputato è fondamentale per capire come la giustizia affronta queste fattispecie criminose e quali sono gli elementi che consolidano una condanna.
I Fatti del Caso
Un individuo è stato condannato per truffa dopo aver pubblicato un annuncio per la vendita di un elettrodomestico da cucina su un noto marketplace social. Una persona interessata all’acquisto, indotta in errore dalla presunta serietà dell’offerta, ha effettuato un bonifico su una carta prepagata. Tuttavia, la carta non era intestata al venditore, bensì a un’altra persona, la quale l’aveva a sua volta ceduta all’imputato. Quest’ultimo, inoltre, utilizzava una carta intestata a un soggetto affetto da un grave disturbo mentale, con l’evidente scopo di occultare la propria identità e rendere più difficile il suo rintracciamento.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando sia l’elemento soggettivo (la sua intenzione di truffare) sia quello oggettivo (l’esistenza stessa degli artifici e raggiri) del reato.
L’analisi della Corte e la truffa online
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo “manifestamente infondato” e “indeducibile”. I giudici hanno chiarito che il loro sindacato non può entrare nel merito delle prove raccolte, ma deve limitarsi a verificare la logicità e la coerenza della motivazione della sentenza impugnata. In questo caso, la Corte d’Appello aveva costruito un apparato argomentativo solido e privo di vizi.
Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, la Corte ha sottolineato diversi elementi che provavano in modo inequivocabile l’intenzione fraudolenta:
1. L’utilizzo di una carta prepagata di terzi: L’imputato aveva ricevuto la carta da un’altra persona e, nonostante l’amministratore di sostegno di quest’ultima gli avesse intimato di disattivarla, ha continuato a utilizzarla.
2. L’accordo criminoso: La messaggistica istantanea tra l’imputato e un complice dimostrava un accordo esplicito per utilizzare la carta al fine di nascondere la propria identità nel momento in cui avrebbero incassato il denaro dalla vittima.
3. Mancata identificazione del presunto cessionario: L’imputato ha sostenuto di aver ceduto la carta a un soggetto terzo, mai identificato, una difesa ritenuta non credibile.
Gli artifici e raggiri nella truffa online
Anche la contestazione sull’elemento oggettivo è stata respinta. La Corte ha ribadito che gli artifici e raggiri erano chiaramente presenti e consistevano in una serie di azioni coordinate:
* La pubblicazione di un annuncio di vendita fittizio su una piattaforma social, idoneo a indurre in errore la vittima sulla serietà dell’offerta e sulla reale disponibilità del bene.
* Il ricorso a un intestatario ignaro per la carta prepagata, associata a un IBAN di un soggetto vulnerabile, con lo scopo preciso di occultare l’identità del reale beneficiario della somma.
La Corte ha specificato che il ricorso dell’imputato si limitava a una semplice e ripetitiva contestazione delle decisioni dei giudici di merito, senza presentare una critica argomentata e specifica contro la sentenza d’appello.
Le motivazioni
La decisione della Corte di Cassazione si fonda sul principio secondo cui il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. Il suo compito non è rivalutare i fatti, ma controllare che la motivazione della sentenza impugnata sia logica, completa e non contraddittoria. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva adeguatamente spiegato perché le azioni dell’imputato costituissero una truffa online. L’uso di una carta intestata a un terzo, l’accordo con un complice per occultare l’identità e la creazione di un’offerta ingannevole erano tutti elementi che, logicamente concatenati, dimostravano la sussistenza del reato.
Le conclusioni
L’ordinanza conferma un orientamento consolidato: per configurare il reato di truffa online, sono sufficienti la pubblicazione di un annuncio falso su una piattaforma digitale e l’utilizzo di strumenti di pagamento (come carte prepagate intestate a terzi) che mirano a nascondere la propria identità per ingannare la vittima e ottenere un profitto ingiusto. Un ricorso in Cassazione che non evidenzia vizi logici evidenti nella motivazione della sentenza precedente, ma si limita a riproporre le stesse argomentazioni già respinte, è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quando un ricorso in Cassazione per un reato di truffa online viene considerato inammissibile?
Secondo la Corte, un ricorso è inammissibile quando è manifestamente infondato, ovvero quando si limita a contestare la valutazione dei fatti già operata dai giudici di merito senza evidenziare vizi logici o contraddizioni nella motivazione della sentenza impugnata.
Quali elementi costituiscono gli ‘artifici e raggiri’ in una truffa online?
Nel caso specifico, gli artifici e raggiri sono stati identificati nella pubblicazione di un annuncio di vendita falso su un marketplace social e nell’utilizzo di una carta prepagata intestata a un soggetto terzo e vulnerabile, allo scopo di nascondere la propria identità e ingannare l’acquirente sulla serietà dell’offerta.
Come viene provato l’elemento soggettivo (dolo) nella truffa online?
L’intenzione di truffare è stata provata attraverso diversi elementi: l’uso consapevole di una carta prepagata non propria, la presenza di messaggi che dimostravano un accordo criminoso con un complice per occultare l’identità e la difesa generica e non provata di aver ceduto la carta a terzi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 243 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 243 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto
da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 17/04/1969
avverso la sentenza del 25/01/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la sussiste dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 640 co.2, n. 2 bis cod. pen., denunciando l’illogicità della motivazione, è manifestamente infondato poiché il vizio censurabile a no dell’art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., è quello che emerge dal contrasto de sviluppo argonnentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedimento;
che, invero, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentati senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni process (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074);
che la motivazione della sentenza impugnata non presenta alcun vizio riconducibile alla nozione delineata nell’art. 606, comma 2, lett. e) cod. proc. pen., nella parte in cui evid che: a) la persona offesa eseguiva un bonifico sulla carta Postepay intestata a un tale COGNOME quale l’aveva consegnata al ricorrente; b) l’amministratore di sostegno del COGNOME intimava COGNOME di disattivare le carte Postepay intestate al COGNOME e in uso al ricorrente; c) il affermava di averle cedute ad un soggetto che, tuttavia, non è stato mai identificato; d messaggistica Whatsapp intercorsa tra il COGNOME e la compartecipe dimostra l’esistenza di u accordo criminoso con il quale i due imputati convenivano di utilizzare la carta Postep intestata al COGNOME, al fine di occultare la propria identità personale all’atto di p l’importo pagato dalla persona offesa;
che il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta la sussistenza dell’elemen oggettivo del reato de quo, è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla cort merito, nella parte in cui rileva che gli artifici e raggiri sono consistiti nel pubb marketplace di Facebook un annuncio di vendita di un elettrodomestico da cucina, così inducendo in errore la persona offesa sulla serietà dell’offerta e sulla reale disponibili bene e nel ricorso ad un ignaro intestatario di una Carta Postepay, associata ad un IBAN di un soggetto affetto da grave disturbo mentale al fine di nascondere l’identità dell’imputat consumazione della frode;
che, per tale ragione, lo stesso deve considerarsi non specifico ma soltanto apparente, in quanto omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenz oggetto di ricorso;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore dell Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 3 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
GLYPH