Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21734 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21734 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a GRAVINA DI PUGLIA il 04/09/1956
avverso la sentenza del 26/09/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
ritenuto che il primo motivo di ricorso, con cui si contesta vizio della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per aver concorso nel reato di cui all’art. 640 cod. pen., oltre che manifestamente infondato, è anche privo di specificità perché riproduttivo di profili di censura già esaminati e disattesi dalla Corte territoriale, che, facendo corretta applicazione dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità, ha congruamente indicato le ragioni per cui considerati non dirimenti gli assunti difensivi in ordine all’intestazione dell’utenza telefonica indicata nell’annuncio online – debba ritenersi che l’odierna ricorrente abbia apportato un rilevante contributo alla realizzazione della truffa online ascrittale (si vedano le pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata, ove si è sottolineato come l’ingiusto profitto, quale risultato della contrattazione truffaldina online, sia confluito su carta PostePay intestata alla ricorrente e come quest’ultima non abbia né tenuto una successiva condotta per contraddire il suo coinvolgimento, né fornito alcuna ricostruzione alternativa della vicenda);
che, infatti, questa Corte ha chiarito che «Integra il delitto di truffa contrattuale, ai sensi dell’art. 640 cod. pen., la condotta di messa in vendita di un bene su un sito internet accompagnata dalla sua mancata consegna all’acquirente dopo il pagamento del prezzo, posta in essere da parte di chi falsamente si presenti come alienante ma abbia il solo proposito di indurre la controparte a versare una somma di denaro e di conseguire, quindi, un profitto ingiusto (Sez. 2, n. 51551 del 04/12/2019, Rv. 278231-01). L’incameramento del profitto, confluito su una carta intestata al ricorrente costituisce, pertanto, un elemento di decisiva rilevanza al fine della responsabilità del beneficiario per il delitto di truffa, trattandosi strumento i cui estremi identificativi furono comunicati all’acquirente per il pagamento del prezzo al momento della vendita, circostanza che impone di ascrivere al prevenuto un ruolo essenziale nella consumazione dell’illecito» (Sez. 7, ord. n. 24562 del 18/04/2023, Montebello, non massimata);
considerato che il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta l’eccessività della pena inflitta, nonché la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., non è consentito dalla legge in sede di legittimità ed è manifestamente infondato;
che, infatti, deve sottolinearsi che, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione del trattamento sanzionatorio, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., cosicché dinanzi a questa Corte non è deducibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui
determinazione, come nel caso di specie, non sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico;
che nella specie l’onere argomentativo del giudice, anche con riferimento al
mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, è stato adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti
(si veda pag. 3 della impugnata sentenza, sui precedenti specifici a carico dell’odierna ricorrente, che, denotando l’abitualità della condotta, risultano
elementi ostativi ai fini dell’applicazione dell’invocata causa di non punibilità, e pag. 4 sulla congruità della pena irrogata dal giudice di primo grado);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 23 maggio 2025.