Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 37119 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 37119 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Roma il DATA_NASCITA rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso la sentenza emessa in data 06/02/2025 dalla Corte di appello di Trieste visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen.; lette le conclusioni scritte depositate dal Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; preso atto che l’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, non ha depositato conclusioni scritte.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trieste ha confermato la pronuncia del Tribunale di Pordenone del 06/07/2022 che aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile del delitto di truffa aggravata dalla minorata difesa, con conseguente condanna alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 600,00 di multa, previo riconoscimento di attenuanti generiche equivalenti alla ritenuta aggravante.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, articolando sette motivi che si illustrano nei limiti necessari alla decisione e si riportano nell’ordine in cui sono stati prospettati.
2.1. Con il primo ed il secondo motivo si deducono, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) e e), cod. proc. pen. la violazione di legge ed il vizio di motivazione per avere la Corte di appello rigettato, in quanto ritenuta non tempestiva, l’istanza di rinvio della celebrazione del giudizio di secondo grado per legittimo impedimento che era stata, invece, prontamente depositata dal difensore in data 17 gennaio 2025 (cioŁ 20 giorni prima dell’udienza), contestualmente alla richiesta di trattazione orale del processo.
Secondo la difesa ricorrente, il collegio di merito avrebbe fatto coincidere il limite massimo per presentare l’istanza di differimento con il giorno della notifica del decreto di fissazione dell’udienza (11/12/2024), quando invece al difensore era consentito inoltrare la
richiesta di trattazione orale sino al 20 gennaio 2025 (a fronte della quale avrebbe avuto un senso far valere il legittimo impedimento per concomitante impegno professionale) poichØ per tale incombente Ł previsto il termine di quindici liberi prima dell’udienza.
Solo ove depositata successivamente alla scadenza del termine in questione, sarebbe stato logico ritenere intempestiva l’istanza di rinvio; inconferente sarebbe stata, infatti, una richiesta difensiva presentata in epoca antecedente senza che il difensore si fosse ancora determinato a presenziare.
2.2. Con il terzo motivo si deducono violazione di legge con riferimento all’art. 522 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
La Corte di appello ha escluso la nullità della sentenza di primo grado per mancata correlazione tra accusa e sentenza, sebbene il Tribunale avesse configurato l’aggravante di cui all’art. 640, comma 2 n. 2 bis cod. pen., non contestata nell’imputazione che nella rubrica riporta la dicitura ‘art. 640 c.2 n.2 c.p.’.
L’affermazione del collegio di merito secondo cui l’aggravante della minorata difesa risulterebbe contestata in fatto Ł illogica atteso che lo stesso Pubblico Ministero, in sede di conclusioni, aveva avanzato richiesta di declaratoria di non doversi procedere per intervenuta remissione di querela, così implicitamente escludendo ogni volontà di contestazione in tal senso.
2.3 Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 640, comma secondo n. 2 e n. 2 ter , cod. pen. per non avere la Corte di appello, anche in presenza della aggravante della minorata difesa, applicato la legge piø favorevole che prevede la procedibilità a querela (nel caso di specie vi era stata rimessione ad opera di ciascuna persona offesa) del delitto di truffa commesso con strumenti informatici, con conseguente declaratoria di non doversi procedere.
2.4. Con il quinto motivo si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, sotto il profilo della manifesta illogicità e contraddittorietà, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della minorata difesa.
La Corte di appello ha configurato l’aggravante in questione in ragione della modalità di vendita a distanza che aveva impedito agli acquirenti di verificare di persona l’effettiva esistenza del bene offerto, tuttavia l’art. 640, comma secondo n. 2 ter , cod. pen. individua, quale elemento costitutivo della aggravante, l’avere commesso il fatto ‘a distanza attraverso strumenti informatici o telematici idonei ad ostacolare la propria o altrui identificazione’.
Nel caso di specie, era nota la società venditrice (RAGIONE_SOCIALE), la sua sede legale (coincidente con il luogo di residenza dell’imputato) ed il numero di partita IVA, sicchŁ non Ł stata in alcun modo ostacolata l’identificazione dell’agente della asserita truffa che aveva fornito al compratore tutte le informazioni necessarie previste dall’art. 6 della direttiva 83/11; le circostanze di tempo, di luogo o di persona della vendita non hanno, quindi, in concreto creato una condizione di vulnerabilità in capo agli acquirenti.
2.5. Con il sesto motivo si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di giudizio di responsabilità.
Osserva la difesa ricorrente che la semplice mancata consegna di un bene non Ł sufficiente ad integrare il delitto di truffa, nel caso di specie la condotta costituisce un mero inadempimento contrattuale da parte dell’imputato che, con la sua condotta non ha ingenerato alcuna falsa aspettativa negli acquirenti, ma si Ł limitato ad un silenzio iniziale, salvo, in un secondo momento, provvedere al rimborso del prezzo pagato da costoro i quali, di conseguenza, procedevano alla rimessione della querela.
2.6. Con il settimo motivo si deduce l’illogicità e contraddittorietà della motivazione
anche nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che il comma 2 ter dell’art. 640 cod. pen.ricomprenda solo in parte l’aggravante di cui all’art. 61 n.5 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso Ł inammissibile.
Ragioni di priorità logico giuridica impongono di esaminare i motivi dedotti in ordine parzialmente diverso da quello nel quale sono stati proposti.
Il primo ed il secondo motivo, con i quali si censura il rigetto dell’istanza di impedimento del difensore a presenziare al giudizio di appello, sono, in parte, non consentiti e, per altra parte, manifestamente infondati.
Il prospettato vizio motivazionale non Ł scrutinabile dovendosi richiamare il principio di diritto secondo cui tale tipologia di censura non Ł mai denunciabile con riferimento alle questioni di diritto (quale Ł quella in esame) e ciò non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge (SU, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027).
Quanto alla inosservanza degli artt. 179 e 420 ter cod. proc. pen., la censura Ł manifestamente infondata.
Vanno ricordati i principi di diritto affermati da questa Corte a Sezioni Unite (sentenza n. 4909 del 18/12/2014- dep. 2015, Torchio Rv. 262912 ed ancor prima sentenza n. 4708 del 27/03/1992, Fogliani, Rv. 190828) secondo cui l’impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell’art. 420 ter , comma quinto, cod. proc. pen., a condizione che il difensore: a) prospetti l’impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni; b) indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso processo; c) rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato; d) rappresenti l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio.
Con specifico riferimento alla prima delle richiamate condizioni, si Ł in particolare ritenuto ‘particolarmente pregnante l’obbligo per il difensore di prospettare, al giudice al quale si chiede il rinvio, con assoluta tempestività, il proprio impedimento (appunto, “appena conosciuta” la contemporaneità dei diversi impegni) e ciò al fine di poter consentire al giudice stesso di individuare la data della nuova udienza (in caso di accoglimento dell’istanza di differimento) anche in relazione alle esigenze organizzative del proprio ufficio, e far sì che l’eventuale rinvio avvenga in tempo utile per evitare disagi alle altre parti o disfunzioni giudiziarie’.
Nel caso di specie, il difensore era tenuto quindi a prospettare l’impedimento (previa richiesta di trattazione orale del procedimento) non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni, ma a tale onere non ha adempiuto, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale atteso che, ricevuta la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello in data 11.12.2014, il legale ha depositato solo 37 giorni dopo (cioŁ il 17.1.2025) l’istanza di rinvio per concomitante impegno professionale, della cui esistenza era, tuttavia, già pienamente a conoscenza nel momento della comunicazione della data fissata per il processo di secondo grado a carico dell’odierno ricorrente.
Generico e meramente reiterativo Ł il sesto motivo di ricorso con il quale si deduce il vizio di motivazione in ordine al giudizio di responsabilità.
La Corte territoriale, con argomentazioni non manifestamente illogiche, ha infatti puntualmente confutato la tesi difensiva del mero inadempimento negoziale prospettata nell’atto di appello e pedissequamente riproposta con il presente ricorso, senza alcun confronto critico con la sentenza impugnata.
In tema di truffa contrattuale, l’elemento che imprime al fatto dell’inadempienza il carattere di reato Ł costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti – determinandolo alla stipulazione del contratto in virtø di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo – rivela la sua intima natura di finalità ingannatoria.
Ebbene, la Corte territoriale (pag. 9 della sentenza impugnata) ha evidenziato le connotazioni concrete della condotta tenuta dall’imputato che aveva posto in vendita alcuni telefoni cellulari a prezzi vantaggiosi agendo quale venditore professionale, così rassicurando gli acquirenti sulla sua affidabilità e serietà e che,una volta ricevuto il relativo pagamento, non solo non li aveva consegnati, ma si era reso irreperibile ai compratori i quali avevano reiteratamente cercato di rintracciarlo tramite telefono e ripetute e-mail, con esito sistematicamente negativo. Da tali peculiari modalità esecutive, ha ricavato, mediante corretto giudizio logico-deduttivo, la precisa volontà di COGNOME, maturata sin dall’inizio della trattativa commerciale, di non consegnare i beni e di indurre, nonostante ciò, gli acquirenti al versamento di una somma di denaro quale corrispettivo ottenendo così un profitto ingiusto, con conseguente integrazione della contestata truffa.
4.Il terzo motivo di ricorso, con il quale si censura l’operato della Corte d’appello in punto di mancata declaratoria di nullità della sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 522, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui ha configurato l’aggravante della minorata difesa sebbene non contestata in imputazione, Ł, in parte, non consentito e, per altra parte, manifestamente infondato.
Il prospettato vizio motivazionale non Ł scrutinabile poichØ la censura ha ad oggetto una questione di diritto.
La dedotta violazione dell’art. 522, comma 2, cod.proc.pen. Ł manifestamente infondata e ciò per l’assorbente ragione che l’imputato, rispetto alle connotazioni concrete della condotta descritte in imputazione ed emerse dalle risultanze dibattimentali (vendita a distanza, con impossibilità per gli acquirenti di verificare l’esistenza dei beni oggetto di trattativa e di effettuare contestazioni a seguito della mancata ricezione degli stessi, con conseguente condizione di vulnerabilità di quest’ultimo), si Ł compiutamente difeso depositando nel giudizio di primo grado una articolata memoria scritta con la quale aveva ampiamente argomentato proprio in ordine alla insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen.
Sono manifestamente infondati il quarto, il quinto ed il settimo motivo che possono essere esaminati congiuntamente.
Quanto al profilo della censurata sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen., va ricordato che in tema di truffa “on line”, Ł configurabile l’aggravante comune della minorata difesa, sub specie di approfittamento delle condizioni di luogo, quando l’autore tragga dalla vendita a distanza – consapevolmente e in concreto, tenuto conto dello specifico contesto spazio-temporale in cui si Ł realizzata l’operazione commerciale – specifici vantaggi dall’utilizzazione dello strumento della rete sfruttando la propria posizione contrattuale di maggior favore che gli consente di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte del compratore il quale paga in anticipo il prezzo del bene venduto senza possibilità di verifica del bene, così trovandosi in una situazione di sfavore (Sez. 6, n. 3096 del 03/12/2024 -dep. 2025, Masi, Rv. 287452; Sez. 2, n. 28070
dell’8/04/2021, Poropat, Rv. 281800; Sez. 6, n. 17937 del 22/3/2017, COGNOME, Rv. 269893; Sez. 2, n. 43706 del 29/9/2016, Pastafiglia, Rv. 268450).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha esaminato le circostanze del caso concreto e ha correttamente posto in luce che la vendita si era svolta in luogo ‘virtuale’ con la costante distanza tra venditore e acquirente che aveva impedito contestazioni e richieste di spiegazione in ordine alla mancata consegna dei beni acquistati, rimaste vane per l’impossibilità concreta di rintracciare l’imputato il quale, solo dopo avere appreso delle querele sporte nei suoi confronti e del procedimento penale a suo carico, aveva attivato azioni risarcitorie.
Altrettanto correttamente ha evidenziato come, ai fini della integrazione dell’aggravante in questione, non avesse rilievo la circostanza che la società venditrice fosse rintracciabile (sul sito di vendita era indicata la partita Iva) perchØ, come riferito dalle persone offese, in concreto l’imputato si era sottratto in ogni modo a tentativi di rintraccio effettuati tramite telefono e comunicazioni email sistematicamente rimaste senza risposta; piuttosto, la dichiarata provenienza dei beni offerti in vendita da una società operante nello specifico settore della telefonia aveva indotto gli acquirenti all’acquisto creando una apparenza di maggioreserietà ed affidabilità dell’operazione commerciale, rispetto a quella intrapresa con un venditore privato.
Ne discende che la doglianza, formulata dal ricorrente in ordine all’aggravante della minorata difesa, Ł manifestamente infondata poichØ il collegio di merito ha puntualmente spiegato come le concrete condizioni di contesto, nelle quali le trattative si erano dipanate, avevano favorito una sperequazione tra le parti dalla quale l’imputato aveva consapevolmente tratto profitto.
Quanto alla mancata declaratoria di non doversi procedere per intervenuta remissione di querela da parte di ciascuna persona offesa, l’intervento riformatore attuato con la legge 28 giugno 2024 n. 90 che ha esteso la procedibilità a querela anche alla specifica ipotesi di truffa telematica di cui all’art. 640, comma secondo, n. 2 ter cod. pen. (nella specie, esclusa dalla Corte di appello in quanto l’autore del reato non aveva utilizzato strumenti telematici idonei ad ostacolare la sua identificazione) non incide sul regime di procedibilità del reato qui scrutinato che, in quanto aggravato dalla minorata difesa prevista dall’art. 61 n. 5 cod. pen., continua a rimanere procedibile d’ufficio (si veda l’ultimo comma dell’art.640 cod. pen.).
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende. Così Ł deciso, 22/10/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME