Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25968 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25968 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME NOME, nato a Reggio Calabria A DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Messina del 16.2.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23.11.2022 il Tribunale di Messina aveva riconosciuto NOME COGNOME (in concorso con NOME COGNOME) responsabile del fatti di truffa
aggravata di cui ai capi 1, 2, 3 e 4 dell’imputazione e, esclusa la pur contestata recidiva, ritenuta la continuazione tra le diverse violazioni di legge, lo avev condannato alla pena finale di anni due e mesi dieci di reclusione oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali oltre che al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili, liquidati in dispositivo;
la Corte d’appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata per il resto, ha ridotto la pena per NOME COGNOME nella misura di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 625,00 di multa, con condanna alle spese del grado;
propone ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia che deduce:
3.1 violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dal teste di PG NOME COGNOME all’udienza del 16.2.2022 in assenza della formale dichiarazione di apertura del dibattimento e dell’ammissione RAGIONE_SOCIALE prove, che erano intervenuti soltanto ex post quando il Tribunale si era avveduto dell’errore; sottolinea come non rilevi il fatto che la prova fosse stata acquisita nel contraddittorio RAGIONE_SOCIALE parti e che, per un verso, il Tribunale ha ritenuto quelle dichiarazioni non dirimenti in quanto, nel contempo, le ha utilizzate per corroborare quanto riferito dalle persone offese in relazione, soprattutto, al capo a) della rubrica;
3.2 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 521, 522 e 178 cod. proc. pen. quanto ai capi 3) e 4) in ordine al difetto di correlazione tra accusa e sentenza: segnala l’erroneità ed illegittimità della sentenza con cui la Corte d’appello ha ritenuto di ricondurre ad aspetti marginali le difformità, invece decisive, emerse nella ricostruzione RAGIONE_SOCIALE vicende delineate nei capi 3) e 4) della rubrica;
3.3 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 640 cod. pen. per avere erroneamente ritegvuto sussistenti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, sia sul piano materiale che dell’elemento soggettivo e connesso vizio motivazionale: rileva che la Corte d’appello ha errato nell’applicazione dei principi di diritto pur correttamente richiamati poiché la pubblicazione di annunci di vendita su “Facebook” avvenuta utilizzando il proprio profilo personale, il proprio numero di telefono ed una postapay intestata ad un familiare convivente, sono modalità che non esprimono un preordinato intento fraudolento che i giudici di merito hanno tentato di collegare alla originaria mancanza di disponibilità dei beni offerti in vendita senza, tuttavia, che sul punto fosse stata acquisita alcuna prova; passando in rassegna i quattro episodi per cui
è processo sottolinea che gli elementi acquisiti e valorizzati dai giudici di merito non consentivano di ritenerne la rilevanza penale anche alla luce della inattendibilità RAGIONE_SOCIALE persone offese ben evidenziata dalla difformità della ricostruzione emersa in dibattimento rispetto a quella riportata nelle denuncequerele e cristallizzata nelle relative imputazioni;
2.4 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 640, comma 2, n. 2-bis e 62 n. 4 cod. pen. (in tale ultimo caso solo per il capo 1): rileva che, anche per quanto concerne la ritenuta aggravante, le corrette premesse in diritto sono state applicate in maniera erronea ed in difetl:o di prova circa i relativi presupposti fattuali; segnala, inoltre, la erroneità della decisione anche quanto al diniego della attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. sul capo 1), alla luce dell’entità del pregiudizio patrimoniale asseritamente cagionato alla persona offesa di cui non potevano essere valorizzate le condizioni economiche di natura soggettiva;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso;
la difesa ha a sua volta trasmesso una memoria con la quale ha contrastato le richieste del PG riportandosi alle argomentazioni sviluppate nel ricorso;
la difesa della costituita parte civile NOME COGNOME ha trasmesso note di trattazione con comparsa conclusione insistendo sull’inammissibilità dei motivi di ricorso e per la condanna del ricorrente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero, in ogni caso, non consentite in questa sede.
Il primo motivo è manifestamente infondato: questa Corte ha già in passato avuto modo di chiarire che l’omissione della formale dichiarazione di apertura del dibattimento, con la conseguente omissione della fase di ammissione RAGIONE_SOCIALE prove, non comporta alcuna nullità in forza del principio di tassatività e tenuto conto che detta violazione non può ricondursi nella categoria RAGIONE_SOCIALE nullità di ordine generale previste dall’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., posto che essa non riguarda l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 9372 del 11/02/2020, Barberini, Rv. 278403 – 01).
In ogni caso, l’escussione del teste nel contraddittorio RAGIONE_SOCIALE parti comporta l’avvenuta implicita, ma univoca, adozione di un provvedimento di ammissione della prova.
2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo avendo la Corte d’appello argomentato circa la ritenuta difformità tra la contestazione (relativamente ai capi 3 e 4) e la sentenza sottolineando come non si fosse verificata alcuna lesione del diritto di difesa poiché “… in nessuno dei due casi si è assistito … ad una diversa qualificazione giuridica, avvenuta a sorpresa, con esclusione della possibilità, per gli imputati, di interloquire sul punto, in quant non si è verificata nella sentenza alcuna trasformazione del fatto storico nei suoi elementi essenziali tale da snaturare la contestazione contenuta nel capo di imputazione” (cfr., pag. 7 della sentenza impugnata).
I giudici di secondo grado hanno a tal proposito spiegato che, con riguardo al capo 3), a fronte del diverso modello di autovettura indicata nella contestazione rispetto a quella cui aveva fatto riferimento la persona offesa nel corso della sua deposizione, aveva trovato però conferma l’importo dell’acconto e, più in particolare, erano state acquisite le ricevute attestanti i due versamenti e le modalità con cui esso era stato corrisposto (cfr., ivi).
Allo stesso modo, la Corte territoriale ha potuto ritenere irrilevante l’erronea indicazione, nella imputazione, dell’autovettura 500 Abarth rispetto, invece, all’oggetto reale della transazione che era stato precisato dalla persona offesa in alcune parti meccaniche e pezzi di ricambio di quel modello di vettura, essendo anche in tal caso risultato confermato l’importo corrisposto dall’acquirente e versato sulla carta postepay.
Nessun equivoco, perciò, secondo i giudici di merito poteva essere insorto sull’identificazione degli addebiti e, conseguentemente, nessuna reale lesione del diritto di difesa dell’imputato poteva esseri consumata.
La decisione della Corte, pertanto, è coerente con i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza
perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso 1″iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (cfr., per tutte, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 – 01).
3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo del ricorso essendo appena il caso di rilevare che, deducendo il vizio di violazione di legge, il ricorrente intende denunziare la insussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice; e, tuttavia, lungi dal delineare un effettivo vizio di legittimità doglianza finisce per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di merito che, con valutazione conforme RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ritenere al contrario tali elementi riscontrati nella ricostruzione della concreta vicenda processuale; ai fini della corretta deduzione del vizio di violazione di legge, il motivo di ricors deve essere articolato sotto il profilo della contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineat dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, contestare o mettere in dubbio che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale.
Nella truffa contrattuale, l’elemento che imprime al fatto dell’inadempienza il carattere di illecito penale è costituito dal dolo iniziale, che, influendo su volontà negoziale di uno dei due contraenti – determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo voliti rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria (cfr., in tal sens tra le altre, Sez. 2, n. 39698 del 13/09/2019, Sostero, Rv. 277708 – 01; Sez. 2, n. 5801 del 08/11/2013, dep. 06/02/2014, COGNOME, Rv. 258203 – 0; Sez. 2, n. 37859 del 22/09/2010, Bologna, Rv. 248908 – 01).
Per altro verso, è evidente che la prova del dolo “iniziale” non può che provenire ed essere fondata sulla valorizzazione di elementi fattuali che possono essere della più varia e diversa natura e che possono attingere la fase antecedente come anche quella successiva al perfezionamento dell’accordo purché tali da rivelare l’iniziale proposito dell’agente; la prova della volontà di commissione del reato, d’altro canto, non può che essere affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca RAGIONE_SOCIALE concrete circostanze che abbiano connotato l’azione e RAGIONE_SOCIALE quali deve essere verificata la oggettiva idoneità a cagionare l’evento in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro complessiva
coordinazione (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 6847 del 21/01/2015, COGNOME, Rv. 262570 – 01; Sez. 2, n. 39887 del 16/06/2015, COGNOME, Rv. 264514 01).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno congruamente argomentato sul punto sostenendo, per un verso, che in nessuno dei casi esaminati era emersa la reale disponibilità del bene offerto in vendita e, per altro verso, con argomentazione tipicamente “di merito”, non incongrua, che “… gli imputati non si sono limitati a non consegnare il bene, ma hanno creato in maniera artificiosa una situazione di apparente trattativa commerciale, ottenendo per tal via il pagamento di una somma ed ingenerando nelle persone offese la falsa convinzione di essersi attivati per provvedere alla consegna del bene” (cfr., pag. 9 della sentenza impugnata).
4. Anche il quarto motivo, relativo alla aggravante della “minorata difesa”, è manifestamente infondato essendosi la Corte d’appello conformata al principio, ormai costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’aggravante della minorata difesa è integrata con riferimento alle circostanze di luogo, note all’autore del reato e RAGIONE_SOCIALE quali egli, ai sensi dell’art. 61, n. 5, co pen., abbia approfittato, nell’ipotesi di truffa commessa attraverso la offerta in vendita on-line, poiché, in tal caso, la distanza tra il luogo ove si trova i/ deceptus, che di norma paga in anticipo il prezzo del bene venduto, e quello in cui si trova l’agente, determina una posizione contrattuale di maggior favore per quest’ultimo, consentendogli di schermare la sua identità, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente e di sottrarsi agevolmente alle conseguenze della propria condotta (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 17937 del 22/3/2017, Rv. 269893; Sez. 2; n. 43706 del 29/9/2016, Rv. 268450; più recentemente, Sez. 2, n. 2585 del 28/10/2022, dep. 2023, n.m. e Sez. 2, Sez. 2, Sentenza n. 27132 del 2023, Masi).
Altrettanto deve dirsi con riguardo al rilievo concernente l’attenuante di cui al n. 4 dell’art. 62 cod. pen. rispetto alla quale la Corte, sia pur sinteticamente, ha rilevato che “… le somme in oggetto non possono essere considerate di speciale tenuità, né in assoluto né in senso relativo rispetto alla capacità economica RAGIONE_SOCIALE parti” (cfr., ivi, pag. 11).
Siffatta considerazione, riferita a ciascun singolo episodio, risulta infatti coerente con gli arresti della giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’applicazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 4, cod. pen. presuppone che il pregiudizio causato sia di valore economico pressoché irrisorio, sia quanto al valore in sè della cosa sottratta, che per gli ulteriori effet
pregiudizievoli subiti dalla parte offesa (cfr.’ Sez. 2, n. 50660 del 05/10/2017, COGNOME, Rv. 271695 – 01).
Il ricorso è, pertanto, inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente va inoltre condannato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese sostenute dalla parte civile che in questa sede ha rassegnato le proprie conclusioni e formulato specifica domanda.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 2.500, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 6.6.2024