Truffa Online: La Cassazione Conferma il Concorso per chi Incassa il Profitto
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di truffa online: chi si impossessa del profitto illecito, ad esempio ricevendo il denaro su una propria carta di credito, è pienamente responsabile del reato in concorso, a prescindere da chi abbia materialmente gestito l’annuncio fraudolento. Analizziamo questa importante decisione per capire le sue implicazioni.
I Fatti del Caso: Una Vendita Mai Conclusa
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per concorso nel reato di truffa contrattuale online. La vicenda era quella, purtroppo classica, di un annuncio su internet per la vendita di un bene, a cui era seguito il pagamento da parte di un acquirente che non aveva mai ricevuto la merce.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di essere estraneo ai fatti. La sua difesa si basava principalmente sul fatto che l’utenza telefonica associata all’annuncio non fosse a lui intestata, cercando così di allontanare da sé ogni responsabilità. Tuttavia, le indagini avevano accertato un dato cruciale: il denaro pagato dalla vittima era confluito direttamente su una carta di credito intestata proprio al ricorrente.
La Decisione della Corte e la Responsabilità nella Truffa Online
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno ritenuto il motivo del ricorso aspecifico, in quanto si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già adeguatamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello.
La Corte ha sottolineato come la motivazione dei giudici di merito fosse logica, coerente e priva di vizi. La decisione si fonda su un principio giuridico consolidato, rafforzato da precedenti sentenze, che vede nella riscossione del profitto illecito un elemento chiave per determinare la partecipazione al reato.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Inammissibile?
La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nel ruolo attivo svolto dal ricorrente. La Corte ha spiegato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il fatto che l’utenza telefonica dell’annuncio fosse intestata ad altri è un elemento non decisivo. Ciò che conta è il comportamento di chi, come accertato nel caso di specie, si impossessa del profitto della truffa. Questo atto non è un evento secondario, ma una chiara e evidente condotta di concorso nel delitto di truffa, punibile ai sensi dell’articolo 110 del codice penale.
Secondo la Suprema Corte, far confluire il denaro su una carta di credito a sé intestata dimostra la piena partecipazione al piano criminoso. L’imputato diventa così l’ultimo e fondamentale anello della catena fraudolenta, colui che materialmente realizza il guadagno ingiusto, obiettivo finale del reato.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Essa lancia un messaggio chiaro: nel contesto delle truffe online, la responsabilità penale non si limita a chi pubblica l’annuncio o intrattiene i contatti con la vittima. Anche chi si limita a ‘prestare’ il proprio conto o la propria carta per incassare il denaro risponde del reato in concorso. La condotta di monetizzazione del profitto è considerata una partecipazione attiva ed essenziale all’azione criminale. Di conseguenza, le strategie difensive che puntano a minimizzare questo ruolo, focalizzandosi su altri aspetti come la titolarità di un numero di telefono, hanno scarsissime probabilità di successo.
Ricevere il denaro di una truffa online sulla propria carta è sufficiente per essere considerati complici?
Sì, secondo l’ordinanza, impossessarsi del profitto illecito facendolo confluire su una carta di credito a sé intestata è una condotta che integra una chiara e evidente ipotesi di concorso nel delitto di truffa.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché considerato aspecifico. L’imputato si è limitato a riproporre le stesse censure già esaminate e respinte con motivazioni logiche e giuridicamente corrette dalla Corte d’Appello, senza confutare efficacemente le argomentazioni della sentenza impugnata.
La titolarità dell’utenza telefonica usata per l’annuncio è un elemento decisivo per escludere la responsabilità?
No, la Corte ha ritenuto non dirimenti gli argomenti difensivi relativi all’intestazione dell’utenza telefonica, dando invece peso decisivo al fatto che il ricorrente si fosse impossessato del profitto illecito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9313 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9313 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SOVERATO il 29/05/1997
avverso la sentenza del 17/03/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si contesta violazione legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabili concorso nel reato di truffa contrattuale online, risulta aspecifico, in quanto riproducendo profili di censura già prospettati in appello e già adeguata esaminati e disattesi dalla Corte territoriale, con congrui argomenti logici e – esso omette di prendere compiutamente in considerazione, per confutarle argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolt che, infatti, contrariamente a quanto contestato, i giudici di appello, c motivazione esente da vizi (si vedano le pagg. 3 e 4), hanno congruame esplicato le ragioni di fatto e di diritto per cui – ritenuti non dirimenti difensivi in ordine all’intestazione dell’utenza telefonica indicata nell’ online l’odierno ricorrente debba ritenersi pienamente responsabile del re addebitatogli, conformemente a quanto affermato dalla giurisprudenza legittimità, secondo cui è ravvisabile una chiara ed evidente ipotesi di cond concorso nel delitto di truffa, punibile ex art. 110 cod. pen., nel contegno di chi, come accertato nel caso di specie, si sia impossessato del profitto illecito, questo confluito su carta di credito a sé intestata (cfr. Sez. 7, n. 18/4/2023, Montebello, non mass.);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento d spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa ammende.
Così deciso, il 4 febbraio 2025.