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Truffa online: Cassazione e minorata difesa

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23746/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per truffa online aggravata. La Corte ha confermato che la vendita su internet, realizzata tramite un sito creato ad hoc e poi reso irraggiungibile, integra l’aggravante della minorata difesa. Inoltre, ha ribadito un importante principio processuale: i benefici come la sospensione condizionale della pena devono essere richiesti esplicitamente nei gradi di merito, non potendo essere sollevati per la prima volta in Cassazione.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa Online: Quando Scatta l’Aggravante della Minorata Difesa?

La diffusione del commercio elettronico ha portato con sé nuove sfide per il diritto penale. Un caso recente, deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 23746 del 2024, offre importanti chiarimenti sulla truffa online e, in particolare, sull’applicazione dell’aggravante della minorata difesa. Questa pronuncia non solo consolida un orientamento giurisprudenziale, ma sottolinea anche aspetti procedurali cruciali per la difesa.

I fatti del processo

La vicenda giudiziaria prende le mosse da una serie di episodi di truffa realizzati attraverso la vendita di prodotti su internet. Inizialmente, il Tribunale di Como aveva dichiarato l’estinzione del reato a seguito della remissione della querela da parte delle vittime. Tuttavia, il Pubblico Ministero aveva impugnato tale decisione, sostenendo la sussistenza di un’aggravante che rendeva il reato procedibile d’ufficio, impedendone l’estinzione.

La Corte di Appello di Milano accoglieva l’appello del PM, riformava la sentenza di primo grado e condannava l’imputato a otto mesi di reclusione e 400 euro di multa. I giudici di secondo grado ritenevano infatti configurata la truffa online aggravata ai sensi dell’art. 640, comma 2, n. 2-bis del codice penale, per aver approfittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (la cosiddetta minorata difesa).

I motivi del ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione affidandosi a quattro motivi principali:
1. Mancanza di prova: Si contestava l’assenza di prova sulla preordinazione dell’inadempimento, elemento costitutivo della truffa. Secondo la difesa, il venditore si era presentato con le proprie generalità e un IBAN non clonato, elementi che avrebbero escluso un piano truffaldino iniziale.
2. Errata applicazione dell’aggravante: Si sosteneva che l’aggravante della minorata difesa non fosse applicabile, poiché la vendita online non era stata strumentalizzata per nascondere l’identità del venditore.
3. Mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto: La difesa lamentava il mancato proscioglimento per la non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p.
4. Omessa concessione della sospensione condizionale della pena: Infine, si contestava la mancata applicazione del beneficio della sospensione condizionale.

L’analisi della Cassazione sulla truffa online

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo le argomentazioni della difesa. Per quanto riguarda la sussistenza della truffa e dell’aggravante, i giudici hanno ritenuto la motivazione della Corte di Appello logica e giuridicamente corretta.

È stato evidenziato come l’imputato avesse approfittato delle opportunità decettive offerte dalla rete, creando un sito apposito per ingannare gli acquirenti. Il fatto che il sito diventasse irraggiungibile subito dopo il pagamento è stato considerato un elemento chiave per dimostrare l’intento fraudolento fin dall’inizio. La Corte ha sottolineato che la distanza tra venditore e acquirente, tipica delle transazioni online, pone quest’ultimo in una posizione di debolezza, impedendogli di verificare la disponibilità del bene e l’affidabilità della controparte. Proprio questo sfruttamento della vulnerabilità dell’acquirente integra pienamente l’aggravante della minorata difesa.

La questione procedurale: la mancata richiesta dei benefici

Un punto fondamentale della sentenza riguarda gli ultimi due motivi di ricorso. La Cassazione li ha dichiarati inammissibili perché le richieste di applicazione della particolare tenuità del fatto e della sospensione condizionale della pena non erano state presentate al giudice d’appello.

Citando consolidata giurisprudenza, la Corte ha ribadito un principio cardine: l’imputato non può dolersi in sede di legittimità della mancata concessione di un beneficio se non ne ha fatto specifica richiesta nel corso del giudizio di merito. Nel caso di specie, la difesa avrebbe potuto e dovuto sottoporre tali istanze alla Corte d’Appello, anche in via subordinata, come opzione condizionata all’accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su due pilastri. Il primo, di natura sostanziale, conferma che la truffa online integra l’aggravante della minorata difesa quando il venditore sfrutta le caratteristiche proprie del mezzo telematico (distanza, impossibilità di verifica immediata) per ingannare l’acquirente. La creazione di una piattaforma ad hoc, resa poi inaccessibile, è una prova schiacciante della preordinazione del reato. Il secondo pilastro, di natura processuale, è un monito per gli operatori del diritto: le istanze difensive, inclusa la richiesta di benefici come la sospensione della pena, devono essere formulate tempestivamente nei gradi di merito. Non è possibile ‘recuperare’ tali richieste per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione, la cui funzione non è quella di riesaminare il merito della vicenda, ma di controllare la corretta applicazione della legge.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza la tutela dei consumatori nel mercato digitale, riconoscendo la particolare vulnerabilità in cui si trovano negli acquisti a distanza e sanzionando più gravemente chi se ne approfitta. Al contempo, offre una lezione di strategia processuale, ricordando che ogni richiesta, anche quella che appare subordinata o eventuale, deve essere formalizzata nel momento e nella sede opportuna, pena l’impossibilità di farla valere in un secondo momento. La decisione, quindi, contribuisce a definire con maggiore chiarezza i contorni giuridici e procedurali del reato di truffa online.

Perché una vendita su internet può essere considerata una forma di truffa aggravata?
Perché il venditore può sfruttare la ‘minorata difesa’ dell’acquirente. La distanza e l’uso di strumenti informatici impediscono a chi compra di verificare l’effettiva esistenza del bene e l’affidabilità del venditore, creando una situazione di svantaggio che il truffatore utilizza a proprio favore.

È possibile chiedere per la prima volta in Cassazione la sospensione condizionale della pena?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’imputato non può lamentare la mancata concessione di un beneficio, come la sospensione della pena, se non ha presentato una specifica richiesta durante il processo nei gradi di merito (in questo caso, in Corte d’Appello).

Quale elemento è stato decisivo per provare l’intento fraudolento nella truffa online in questo caso?
L’elemento decisivo è stata la creazione di un sito internet appositamente per ingannare gli acquirenti, sito che è stato reso non più disponibile subito dopo aver ricevuto i pagamenti. Questo comportamento è stato interpretato dai giudici come prova di un piano truffaldino preordinato e non come un semplice inadempimento contrattuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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