Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 31825 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 31825 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME nato a IMPERIA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 17/01/2024 della CORTE)APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del PG NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
letta la memoria di replica dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha insistito nei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 13 febbraio 2023 dal Tribunale di Sondrio nei confronti di NOME COGNOME, per il reato di cui all’art. 640 cod. pen.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, formulando due motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si deduce il mancato accertamento della titolarità dei poteri di rappresentanza sostanziale della RAGIONE_SOCIALE, società di diritto lituano, onde verificare la legittimazione a proporre querela. L’unico documento prodotto a tal fine dal Pubblico Ministero, redatto in lingua lituana, non potrebbe dirsi dirimente, al pari dell’approssimativa interpretazione del testo offerta dalla Corte di appello (che, al contrario, fraintende il gravame e motiva in tema di formalità ex art. 337 cod. proc. pen., piuttosto che interrogarsi sugli effettivi poteri in base al diritto straniero).
2.2. Con il secondo motivo, la difesa censura la mancata traduzione, ai sensi dell’art. 242 cod. proc. pen., della suddetta visura camerale, unico adempimento in grado di verificare con certezza la procedibilità del reato.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dall’art. 17, decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché proposto con motivi manifestamente infondati, generici e non consentiti.
In primo luogo, per quanto attiene alla dedotta improcedibilità, il Collegio non può esimersi dal rilevare come il reato risulti manifestamente aggravato, per essere il fatto commesso profittando di circostanze di luogo tali da ostacolare la privata difesa, con quanto ne consegue ai sensi dell’art. 640, secondo comma, n. 2-bis, e terzo comma, cod. pen.
Invero, integra senza dubbio una truffa contrattuale la condotta di messa in vendita di un bene su un sito internet accompagnata dalla sua mancata consegna all’acquirente dopo il pagamento del prezzo, posta in essere da parte di chi falsamente si presenti come alienante, ma abbia il solo proposito di indurre la controparte a versare una somma di denaro e di conseguire, quindi, un profitto ingiusto (Sez. 2, n. 51551 del 04/12/2019, Rocco, Rv. 278231). È poi configurabile l’aggravante della minorata difesa, quando l’autore abbia tratto, consapevolmente e in concreto, specifici vantaggi dall’utilizzazione dello strumento della rete (Sez. 2, n. 28070 del 08/04/2021, Poropat, Rv. 281800; Sez. 2, n. 40045 del 17/07/2018, COGNOME, Rv. 273900). L’applicabilità dell’art. 61, n. 5, cod. pen. discende dalla distanza tra il luogo ove si trova la vittima, che paga in anticipo il prezzo del bene venduto, e quello in cui, invece, si trova l’agente; ciò determina una posizione di maggior favore di quest’ultimo, consentendogli non solo di schermare la sua identità, ma anche – ciò che è esattamente avvenuto nel caso di
specie, come adeguatamente specificato a partire dalla stessa formale contestazione – di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente e di sottrarsi agevolmente alle conseguenze della propria condotta (Sez. 6, n. 17937 del 22/03/2017, COGNOME, Rv. 269893; Sez. 2, n. 43706 del 29/09/2016, COGNOME, Rv. 268450. Cfr. anche, a contrario, Sez. 2, n. 1085 del 14/10/2020, dep. 2021, COGNOME, l’h/. 280515, che esclude l’aggravante in questione nell’ipotesi in cui il primo contatto tra venditore e acquirente avvenga via web per poi però svilupparsi mediante incontri di persona per la visione e cessione del bene, poiché in questo caso, a differenza delle trattative svolte interamente on-line, non ricorre la costante distanza tra venditore e acquirente idonea a porre quest’ultimo in una situazione di debolezza quanto alla verifica della qualità del prodotto).
Nel caso di specie, avuto riguardo alla dettagliata ricostruzione dell’intera vicenda negoziale nella rubrica imputativa e nell’apparato motivazionale della sentenza impugnata, con puntuale indicazione di tutti gli elementi rilevanti alla luce dei principi di diritto sopra richiamati, la circostanza di cui all’art. 61, n. cod. pen. deve dunque reputarsi ritualmente contestata e ritenuta in sentenza. Ai fini della contestazione di un’aggravante, invero, non è indispensabile una formula specifica espressa con una particolare enunciazione letterale, né l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente la sua precisa enunciazione “in fatto”, di modo che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l’imputato possa avere piena cognizione degli elementi che la integrano (Sez. 5, n. 23609 del 04/04/2018, COGNOME, Rv. 273473; Sez. 1, n. 51260 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 271261; Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269455; Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255793).
La sussistenza di tale profilo circostanziale connota di manifesta infondatezza i profili di censura articolati dal ricorrente in tema di procedibilità soltanto querela.
2. Peraltro, la qualità in capo a NOME COGNOME di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, titolare anche del diritto di proporre querela, era stata comunque accertata dai giudici di merito, non solo sulla scorta di una superficiale e atecnica traduzione della visura redatta in lituano, ma anche valorizzando la dichiarazione sul punto resa in dibattimento dallo stesso interessato, a conferma di quanto già riferito proprio al momento della presentazione della querela orale presso la Questura di Lecco (cfr. p. 4 della sentenza di primo grado).
A fronte di tali conclusioni, non illogiche e coerenti con la piattaforma istruttoria e dunque incensurabili nel giudizio di legittimità, resta preclusa la necessità di disporre la traduzione, poiché l’art. 242, comma 1, cod. proc. pen., subordina tale incombente alla sua indispensabilità ai fini della comprensione del
testo (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261111, ha ulteriormente sottolineato come l’obbligo di usare la lingua italiana si riferisca agli atti d compiere nel procedimento e non agli atti già formati da acquisire al processo, per i quali la necessità della traduzione si pone solo qualora lo scritto in lingua straniera assuma concreto rilievo rispetto ai fatti da provare).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 2 luglio 2024
Il Consigliere estensore
Il Pre idente