Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30629 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30629 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CAI VANO il 28/11/1968
avverso la sentenza del 29/01/2025 della CORTE RAGIONE_SOCIALE APPELLO di ROMA
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore avvocato COGNOME NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e riportandosi ai motivi;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 5 dicembre 2023, il Tribunale Militare di Roma dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di truffa militare continuata aggravata ascrittigli nel periodo intercorrente dal 7 gennaio al 7 ottobre 2015, perché estinti per prescrizione, e lo assolveva per i residui reati dello stesso tipo perché il fatto non sussiste.
Si contestava all’imputato, NOME COGNOMEIlo effettivo presso la Scuola Marescialli dell’Aeronautica Militare di Viterbo (Comando aeroporto), di avere, con artifizi e raggiri – consistiti nell’allontanarsi senza autorizzazione dalla sede di servizio durante l’orario di lavoro ovvero nel non presentarsi senza autorizzazione presso detta sede durante parte della giornata lavorativa, nonché nel modificare manualmente i dati presenti nei sistemi informatizzati di gestione delle presenze e degli orari di lavoro e nel dichiarare lo svolgimento di un orario di servizio non rispondente al vero – prestato un orario effettivo di servizio inferiore rispetto a quello per il quale era stato retribuito (rappresentato negli statini estratti da sistema c.d. PERSEO e sottoscritti dal dichiarante), così conseguendo un ingiusto profitto, con pari danno dell’Amministrazione Militare, quantificabile in circa 12.000,00 euro al lordo dell’imposizione fiscale: danno rappresentato dalla percezione della retribuzione per complessive 592 ore e 50 minuti in cui egli non era stato presente presso il Reparto di appartenenza nei giorni e negli orari indicati nella tabella incorporata nel capo d’imputazione.
Con le aggravanti di essere militare rivestito di un grado e di aver commesso il fatto in danno dell’Amministrazione Militare.
Dato atto dell’istruttoria dibattimentale, espletata mediante prove dichiarative e documentali, il Tribunale, nella parte valutativa conclusiva, osservava, a proposito del principale indizio a carico, costituito dai passaggi dalla sbarra per l’accesso dei veicoli rilevati dal sistema con codice a barre in orari poi risultati retribuiti, che l’elemento di riscontro fornito dalla pubblica accusa, vale dire la mancanza di previe autorizzazioni e di successiva annotazione sul CRONO, doveva considerarsi privo di efficacia probatoria.
Ed invero, le prove testimoniali avevano delineato un quadro che non consentiva di ravvisare un reale collegamento fra uscite per servizio e autorizzazioni scritte o annotazioni sul CRONO, anche perché non risultava che autorizzazioni esplicite o annotazioni venissero date o fatte prima del 2019.
In assenza di elemento di riscontro, rimanevano, a carico, solamente le uscite risultanti dai dati della sbarra, che, tuttavia, per la loro frequenza apparivano compatibili con la natura delle mansioni svolte dall’imputato.
Il Tribunale Militare, d’altro canto, evidenziava la sussistenza di apprezzabili prove a discarico, costituite dagli indicatori molto chiari di diligenza e laboriosit dell’imputato, nonché dalla rinuncia, da parte sua, ad emolumenti spettantigli.
La prova dei reati ipotizzati, in conclusione, non poteva reputarsi raggiunta, salva la parte estinta per prescrizione.
2. Con sentenza resa in data 29 gennaio 2025, la Corte Militare di appello, investita del gravame proposto dal Pubblico ministero per gli episodi oggetto di assoluzione, disposta rinnovazione istruttoria dibattimentale mediante l’audizione dei testi COGNOME e COGNOME udito in sede di esame l’imputato, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’ESPOSITO in relazione ai reati ascrittigli nel periodo intercorrente dal 21 ottobre 2015 al 9 giugno 2017, perché estinti per prescrizione, e lo dichiarava responsabile dei residui reati dello stesso tipo commessi dal 31 agosto 2017 al 20 marzo 2019; concesse le attenuanti generiche e quella di cui all’art. 48, u.c., cod. pen. mil . pace, ritenute prevalenti sulle aggravanti e con l’aumento per la continuazione, lo condannava alla pena di otto mesi e quattordici giorni di reclusione militare e a quella accessoria della rimozione dal grado, con i doppi benefici di legge.
Dato atto che il Pubblico ministero appellante aveva impugnato solo l’assoluzione dai 95 episodi dal medesimo specificamente indicati, coincidenti con le giornate in cui si erano verificate le indebite “entrate dalla sbarra” in orari mattutino da parte dell’imputato, la Corte Militare constatava come dovesse ritenersi formato il giudicato per tutti gli altri episodi, pur presenti n contestazione iniziale (che riguardava, complessivamente, un numero di 399 condotte), di “uscite dalla sbarra”, anch’essi oggetto della pronuncia assolutoria, ma non appellati.
Prendeva, contestualmente, atto la Corte del gravame – come già detto della estinzione per maturata prescrizione dei reati commessi nel periodo intercorrente dal 21 ottobre 2015 al 9 giugno 2017, precisando che il proprio giudizio avrebbe avuto ad oggetto i 68 episodi di “entrata dalla sbarra” indicati nell’atto di appello dal n. 28) (commesso il 31 agosto 2017) al n. 95) (commesso il 20 marzo 2019).
2.1. Nell’affermare la responsabilità dell’imputato, la Corte di merito osservava che: a) un numero assai consistente di modifiche manuali dell’orario di ingresso alla base; b) l’autocertificazione di un orario sempre antecedente e mai successivo rispetto a quanto risultante dall’ingresso alla sbarra in tutti gli episodi contestati, con evidente vantaggio economico per l’ESPOSITO; c) l’assenza di qualunque giustificativo scritto o verbale per lo sfasamento temporale, secondo
quanto riferito dai testi COGNOME e COGNOME costituivano elementi di prova univoci e convergenti.
Elementi non scalfiti, ad avviso dei giudici dell’appello, dalla scarsa performance del sistema di rilevazione posto alla sbarra d’ingresso della Scuola, poiché, se la registrazione risultava effettuata, bisognava ritenerla valida.
I problemi di efficienza rilevati al controllo alla sbarra, del resto, eran legati spesso ad una momentanea interruzione del servizio per problemi di corrente elettrica, ad esempio, e in ogni caso portavano a un omesso controllo dei dati temporali per altre ragioni.
Ciò significava che gli orari registrati, in quanto tali, dovevano reputarsi attendibili, così come altrettanto valido doveva considerarsi il metodo investigativo comparativo utilizzato.
Evidenziava la Corte Militare che l’unica ipotesi in cui gli orari registrati avrebbero potuto definirsi incerti, casuali e non validi, era quella di un’avvenuta clonazione del pass da parte di un soggetto diverso dal titolare, ipotesi, tuttavia, non suffragata, nel caso di specie, da alcun riscontro.
D’altra GLYPH parte, siffatta evenienza GLYPH risultava smentita GLYPH pure dalla verosimiglianza delle differenze dei dati temporali registrati, i quali erano stati modificati manualmente uno ad uno in modo assolutamente coerente e sempre nel senso di una maggiore convenienza economica per l’imputato: pertanto, un fenomeno quale quello di clonazione, in presenza di dati orari non casuali e coerenti tra loro, doveva essere escluso.
Sempre a proposito delle difficoltà incontrate dal sistema di rilevazione degli ingressi, la Corte dell’appello osservava, in ragione del fatto che lo stesso era rimasto in uso per tanto tempo presso la Scuola, sia pure al solo scopo di gestire più facilmente l’afflusso del personale, che le problematiche riscontrate dovevano ritenersi ininfluenti nel caso in esame, perché non riferite ai singoli episodi oggetto di valutazione.
Infine, diversamente da quanto opinato dal Tribunale, non poteva assumere rilevanza in punto di responsabilità, secondo la Corte Militare, la qualità elevata del servizio svolto dall’imputato, in termini di disponibilità a lavorare anche in giorni di licenza e di capacità professionale, indicatori che, viceversa, avrebbero avuto un peso sulla dosimetria della pena.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, sviluppando sette motivi.
3.1. Con il primo motivo si denuncia l’apparenza della motivazione.
Si duole la difesa del ricorrente che la Corte Militare sia pervenuta al ribaltamento della decisione assolutoria senza smentire, con motivazione rafforzata, la diversa soluzione adottata dal primo giudice.
Ricorrendo spesso a mere congetture, la Corte dell’appello avrebbe sostituito la propria lettura dei dati probatori a quella fornita dal Tribunale, senza però, delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento e omettendo di confutare, specificamente, i più rilevanti argomenti della motivazione assolutoria e di esporre le ragioni della loro incompletezza o incoerenza al fine di giustificarne la riforma.
Tali carenze sarebbero risultate più evidenti con riguardo al tema dell’elemento soggettivo del reato, ben tratteggiato dal Tribunale Militare a pag. 51 ed evincibile dalle deposizioni rese dai testi COGNOME e COGNOME
3.2. Con il secondo motivo, si deducono violazione di legge per contraddittorietà processuale e manifesta illogicità della motivazione.
Quanto al mal funzionamento della sbarra d’ingresso, stigmatizzato dai primi giudici, la Corte Militare aveva ritenuto le problematiche riscontrate ininfluenti nel caso di specie in aperto contrasto con tutti i dati probatori acquisit nel processo, come evidenziato, ad esempio, dai testi COGNOME e COGNOME dei quali la difesa aveva chiesto invano una nuova audizione in appello.
Ignorate o travisate erano state anche le prove dichiarative (e l’esame dell’imputato) in base alle quali i primi giudici erano stati indotti a un giudizio sostanziale neutralità dei temi concernenti le specifiche autorizzazioni, annotazioni e la c.d. modifica manuale operata dall’imputato sul sistema CRONO.
3.3. Con il terzo motivo, si eccepiscono violazione di legge e vizio di motivazione per omessa valutazione dell’offensività del reato contestato con particolare riguardo al danno cagionato e quanto alla sussistenza del dolo.
Il Tribunale Militare aveva rilevato una compensazione tra il danno economico patito dall’Amministrazione quale conseguenza della condotta dell’imputato e le ore di servizio da costui gratuitamente svolte nel quadriennio 2015-2019, ricavandone un elemento compensativo atto a escludere la colpevolezza.
La Corte dell’appello, nelle sue laconiche conclusioni, si sarebbe posta in contrasto non argomentato con la sentenza di primo grado, non uniformandosi al principio di diritto, affermato da costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui la condotta tipica del reato di truffa militare deve essere integrata nella sussistenza del danno economico patrimoniale in capo al soggetto passivo.
Medesima carenza motivazionale sarebbe riscontrabile sulla esistenza del dolo.
3.4. – 3.5. – 3.6.
Il quarto, il quinto e il sesto motivo afferiscono al tema della mancata rinnovazione istruttoria.
La prima censura investe la “selezione” effettuata dalla Corte Militare per avere limitato a tre su dieci il numero delle testimonianze rinnovate e su aspetti circoscritti e specifici; così facendo i giudici del gravame avrebbero violato il principio, affermato prima dalla Corte EDU e poi dalla Corte di cassazione, per il quale il giudice d’appello, operando l’overtuming sfavorevole della sentenza assolutoria, è obbligato a procedere alla rinnovazione integrale dell’istruzione dibattimentale onde poter escludere che il dubbio in ordine alla colpevolezza dell’imputato possa ritenersi superato senza aver provveduto a riassumere la prova in attuazione dei canoni di oralità e immediatezza.
Nel caso in esame, la Corte territoriale avrebbe operato una rinnovazione istruttoria doppiamente selettiva, sia quanto alle fonti da riascoltare sia quanto alle circostanze su cui riferire.
La Corte medesima avrebbe respinto l’istanza difensiva di estensione della rinnovazione istruttoria ad altre fonti dichiarative utilizzando mere scorciatoie argomentative e, poi, contraddittoriamente avvalendosi, a sostegno dell’affermazione di responsabilità, di quelle stesse fonti di cui era stato reputato superfluo il riascolto.
Secondo i principi enunciati dalla Corte EDU e nel rispetto della regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, la rinnovazione istruttoria avrebbe dovuto essere diretta a una ricostruzione integrale del fatto.
Si contesta, infine, che la Corte dell’appello abbia disposto ex officio la parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con motivazione implicita, non adeguatamente argomentata e senza precisare né i temi, né le circostanze sulle quali avrebbe dovuto vertere il riascolto dei testi COGNOME e COGNOME
3.7. Con il settimo ed ultimo motivo, si deduce la violazione di legge processuale in riferimento agli artt. 591, comma 2, 581, comma 1, lett. c) e d), e comma 1-bis cod. proc. pen.
La Corte territoriale avrebbe violato le norme processuali poste a pena di inammissibilità del procedimento instaurato, omettendo di rilevare profili di inammissibilità del gravame proposto dal Pubblico ministero per sua manifesta genericità estrinseca.
Il Pubblico ministero, in particolare, non avrebbe saputo confrontarsi in modo puntuale con le principali argomentazioni sviluppate dal primo giudice esplicitandone le ragioni in rapporto proporzionale a quelle poste a fondamento della decisione impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato, perché, nel complesso, infondato.
Per una più agevole comprensione dell’erroneità della prospettazione difensiva con riguardo alle censure di carattere processuale, giova riepilogare, in sintesi, quali sono stati gli esiti dei due gradi di merito.
2.1. Il Tribunale Militare di Roma ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di ESPOSITO in relazione ai reati di truffa militare continuata aggravata ascrittigli nel periodo intercorrente dal 7 gennaio al 7 ottobre 2015, perché estinti per prescrizione, e lo ha assolto per i residui reati dello stesso tipo perché il fatt non sussiste.
2.2. Pronunciandosi sull’impugnazione del Pubblico ministero proposta avverso le statuizioni assolutorie, la Corte Militare di appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di ESPOSITO in relazione ai reati ascrittigli nel periodo intercorrente dal 21 ottobre 2015 al 9 giugno 2017, perché estinti per prescrizione, e ne ha affermato la penale responsabilità per i residui reati dello stesso tipo commessi dal 31 agosto 2017 al 20 marzo 2019.
Dato atto che il Pubblico ministero aveva impugnato solo l’assoluzione dai 95 episodi dal medesimo specificamente indicati, coincidenti con le giornate in cui si erano verificate le indebite “entrate dalla sbarra” in orario mattutino da parte dell’imputato, la Corte Militare ha rilevato come dovesse ritenersi formato il giudicato (di assoluzione) per tutti gli altri episodi, pur presenti nella contestazione iniziale, di “uscite dalla sbarra”, anch’essi oggetto della pronuncia assolutoria, ma non appellati.
Dato, inoltre, atto della estinzione per maturata prescrizione dei reati commessi nel periodo intercorrente dal 21 ottobre 2015 al 9 giugno 2017, la suddetta Corte Militare ha precisato che, rispetto ad una contestazione originaria concernente 399 condotte, il proprio giudizio sarebbe stato circoscritto ai 68 episodi di “entrata dalla sbarra” indicati nell’atto di appello dal n. 28) (commesso il 31 agosto 2017) al n. 95) (commesso il 20 marzo 2019).
Dall’appena esposto riepilogo è possibile desumere, in primo luogo, la genericità e, comunque, l’infondatezza in diritto, della censura – oggetto del settimo motivo di ricorso, ma logicamente preliminare – inerente alla pretesa
genericità estrinseca dell’appello del Pubblico ministero, che la Corte Militare avrebbe omesso di rilevare.
Va ribadito che, nell’interporre appello, il Pubblico ministero ha scelto, come strategia processuale, di prestare sostanziale acquiescenza all’assoluzione dagli episodi di “uscita” non autorizzata dalla Scuola di Viterbo e di concentrare la sua impugnazione critica sulle pretermesse plurime condotte (individuate in numero di 95 rispetto alle originarie 399) poste in essere dall’imputato attraverso una “entrata dalla sbarra” al mattino, cui avrebbe fatto seguito – secondo la rubrica incolpativa – una truffaldina annotazione manuale sul sistema CRONO di un orario di ingresso anticipato rispetto a quello rilevato dal sistema di lettura del codice a barre utilizzato, all’entrata della Scuola, per monitorare l’entrata e l’uscita de veicoli.
Il gravame della Pubblica accusa, ha, quindi, investito, nella vicenda in esame, l’erronea omessa considerazione, da parte dei primi giudici, di tale specifico aspetto della condotta truffaldina del militare, che, poi, nell’att impugnatorio, viene illustrato con l’indicazione di undici giornate nelle quali l’ESPOSITO, pur avendo fatto ingresso nel comprensorio militare in orari tutti successivi alle 8.20 circa, aveva attestato manualmente sul sistema CRONO di avere iniziato il servizio alle ore 7.30.
Nello stesso atto di gravame, osserva l’appellante che l’orario delle 7.30 non poteva considerarsi verosimile, “per mero buon senso”, perché, a quell’ora, le attività commerciali delle persone che avrebbero dovuto giustificare l’inizio del servizio alle 7.30 di COGNOME nelle sue funzioni di “consegnatario” non potevano, a loro volta, considerarsi iniziate; come, del resto riferito dai testi COGNOME (titolare di una ditta di mobili per ufficio) e COGNOME (titolare di una lavanderia).
Data la peculiarità di impostazione dell’atto di appello per come appena ricostruito – per avere esso avuto ad oggetto non le argomentazioni che hanno condotto all’assoluzione dell’imputato con riferimento agli episodi di “uscita non autorizzata” dalla Scuola, ma l’omessa considerazione degli episodi di “entrata non autorizzata”, l’assoluzione dai quali sarebbe stata inficiata da carenza assoluta di motivazione – deve ritenersi generica, oltre che certamente infondata, la censura di genericità estrinseca fondante la richiesta di declaratoria di inammissibilità dell’appello.
Per le medesime ragioni deve reputarsi infondata la censura, sviluppata – peraltro genericamente – col primo motivo di ricorso, inerente al preteso difetto di motivazione “rafforzata”.
Occorre ricordare che, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di assoluzione pronunciata in primo grado, pervenendo ad una sentenza di condanna, non ha l’obbligo di fornire una motivazione rafforzata nel caso in cui il provvedimento assolutorio abbia un contenuto motivazionale generico e meramente assertivo, posto che, in tale ipotesi, non vi è neppure la concreta possibilità di confutare argomenti e considerazioni alternative del primo giudice, essendo la decisione di appello l’unica realmente argomentata (Sez. 6, n. 11732 del 23/11/2022, dep. 2023, S., Rv. 284472 – 01).
A maggior ragione il principio appena enunciato si applica in un caso, come quello di specie, in cui la statuizione assolutoria oggetto del giudizio di appello non è stata supportata da alcuna argomentazione spesa dal primo giudice.
In assenza di motivazione a sostegno dell’assoluzione dell’imputato dagli episodi di “entrata non autorizzata” nella Scuola, non può, all’evidenza, esigersi, dal giudice di appello che addiviene alla condanna per quegli stessi episodi (ad eccezione di quelli prescritti), un obbligo di motivazione rafforzata.
Infondate sono le censure, formulate ai motivi quarto, quinto e sesto, accomunate dalla contestazione della omessa rinnovazione istruttoria.
Non ha pregio, in primo luogo, la dedotta violazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., in quanto, nel caso in esame, la rinnovazione istruttoria, nonostante l’operato richiamo, da parte della Corte Militare di appello, al solo articolo (appunto, l’art. 603), è stata senz’altro effettuata ai sensi del comma 3 e non del comma 3-bis.
Ed invero:
detta rinnovazione è stata disposta ex officio ritenutane la “necessità”, parametro, quest’ultimo, esplicitato dal citato comma 3;
l’assoluzione in primo grado non è stata impugnata dal Pubblico ministero per “motivi attinenti alla prova dichiarativa”, secondo quanto previsto dal comma 3-bis: bl); sia perché nella presente vicenda non è stato mai posto, né dal P.M. nel suo appello – in cui non risulta formulata alcuna esplicita richiesta di ri-audizione – né dai giudici militari nelle due sentenze di merito, il tema della supposta inattendibilità di prove dichiarative; tema, quest’ultimo, del resto, complicato dalla difficoltà, nella specie, di delineare, in modo netto, i confini tr prove dichiarative a carico e a discarico, presentando, la maggior parte di esse, aspetti ambivalenti, perciò stesso ostativi alla possibilità di individuare quelle apprezzabili come “decisive” per l’assoluzione in primo grado dell’imputato; b2) sia perché tale assoluzione è intervenuta anche a seguito della valutazione di prove documentali (le emergenze dei meccanismi di rilevazione delle presenze in
servizio); b3) sia, infine, perché, come già detto, la Pubblica accusa ha prestato acquiescenza all’assoluzione dagli episodi di “uscita” non autorizzata dalla Scuola e ha concentrato le sue critiche di omessa motivazione sull’assoluzione relativa agli episodi di “entrata” non autorizzata nella Scuola, il che ha determinato la necessità di nuova audizione di testi in grado di fornire informazioni su quel tema specifico, inesplorato in primo grado.
Né possono ritenersi fondate le censure poste a proposito della motivazione delle due ordinanze rese dalla Corte di merito sulla rinnovazione istruttoria: in particolare, quella pronunciata all’udienza dell’Il settembre 2024, con cui venne disposta l’audizione dei testi COGNOME e COGNOME e quella adottata all’udienza del 4 dicembre 2024, con la quale detta Corte disattese la richiesta difensiva di escutere anche i testi COGNOME e COGNOME
Occorre ricordare che il giudice di appello che dispone la rinnovazione istruttoria, sia che proceda su sollecitazione di parte ex art. 603, comma 1, cod. proc. pen., sia che provveda d’ufficio ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen., può motivare implicitamente, all’atto dell’adozione della relativa ordinanza, di natura istruttoria, in ordine alle ragioni che la rendono necessaria, sviluppando il processo argomentativo in sentenza, posto che ciò risulta coerente con la previsione dell’art. 586 cod. proc. pen., in forza del quale l’impugnazione avverso le ordinanze emesse nel corso del dibattimento può essere proposta solo con l’impugnazione della sentenza (Sez. 3, n. 1455 del 10/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285736 – 01).
In linea con l’enunciato principio, la trama argomentativa della sentenza impugnata permette di cogliere le ragioni della “selezione” di quei tre testi, operata dai giudici dell’appello, siccome riconducibili, essenzialmente, alla necessità di accertare l’esistenza o meno di autorizzazioni, scritte o verbali, che avessero consentito all’imputato di presentarsi all’ingresso della Scuola in anticipo rispetto all’orario registrato in concreto dal sistema di rilevazione CRONO, manualmente modificato dall’ESPOSITO.
Dunque, non può ravvisarsi, a tale riguardo, alcun difetto di motivazione.
Alle medesime conclusioni deve addivenirsi a proposito dell’ordinanza reiettiva delle richieste integrative formulate dalla difesa, avendo la Corte Militare correttamente giudicato superflue le prospettate audizioni, tenuto conto “che le modalità di funzionamento del sistema di rilevazione delle presenze della Scuola Marescialli di Viterbo sono state adeguatamente approfondite nel dibattimento di primo grado”.
6. Aspecifico è il motivo (secondo) con cui si contesta la carenza di motivazione sul dedotto mal funzionamento del sistema di rilevazione delle
presenze dei militari all’ingresso.
Il motivo, infatti, non si confronta con la complessiva ratio decidendi
esposta dai giudici del gravame in modo del tutto plausibile e non manifestamente illogico, siccome riportato al par.
2.1.
della superiore esposizione in fatto, che qui si intende integralmente riportata.
7. Inammissibile, infine, è il motivo (terzo) articolato sulla “offensività” del reato, non essendo emerso, dalla lettura della sentenza di primo grado, che il
Tribunale, nell’assolvere ESPOSITO, abbia fatto ricorso al criterio della
“compensazione” – peraltro, di natura prettamente civilistica, non spendibile in sede penale – tra il danno economico riveniente dalla condotta dell’imputato e le
ore di servizio che il medesimo avrebbe gratuitamente svolto.
8. In conclusione, il ricorso va rigettato, dal che consegue la condanna lege
ex del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1° luglio 2025
GLYPH
Il Consigliere estensore