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Truffa medico: visite private e bonus di esclusività

Un medico, dipendente in esclusiva di un’azienda sanitaria, ha effettuato visite private a domicilio senza autorizzazione e senza versare le quote dovute, continuando a percepire l’indennità di esclusività. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per truffa medico, stabilendo che il silenzio sulla violazione del patto di esclusività costituisce l’artificio che induce in errore l’ente, il cui danno consiste nel pagamento indebito del bonus.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa Medico: Quando le Visite Private Violano il Patto di Esclusività

Il rapporto di lavoro esclusivo tra un medico e una struttura sanitaria pubblica è un pilastro del Servizio Sanitario Nazionale, garantito da un’apposita indennità. Ma cosa succede quando questo patto viene violato con attività private non dichiarate? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 18100/2025) fa luce su come tale condotta possa integrare il grave reato di truffa medico ai danni dello Stato. Il caso analizza la posizione di un dirigente medico che, effettuando visite a domicilio senza autorizzazione, ha ingannato l’ente di appartenenza, continuando a percepire indebitamente il bonus di esclusività.

I Fatti del Caso: Attività Pubblica e Visite a Domicilio non Autorizzate

Un dirigente medico, specialista in endocrinologia e legato da un rapporto di lavoro esclusivo con l’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP), svolgeva parallelamente attività libero-professionale privata. In particolare, effettuava numerose visite a domicilio, ricevendo direttamente il compenso dai pazienti senza emettere fattura e, soprattutto, senza far transitare le prenotazioni e i pagamenti attraverso i canali ufficiali dell’ente (sportello ALPI).

Secondo l’accusa, questa condotta, posta in essere in violazione del regolamento sull’attività intramuraria, aveva un duplice scopo illecito: appropriarsi interamente delle somme ricevute, senza versare le quote di spettanza dell’ASP, e procurarsi un ingiusto profitto garantendosi la continua percezione dell’indennità di esclusività, un bonus economico corrisposto proprio a fronte della rinuncia a svolgere attività privata esterna.

L’Appello e i Motivi del Ricorso in Cassazione

Condannato in primo e secondo grado, il medico ricorreva in Cassazione affidandosi a due principali motivi di doglianza.

1. Assenza di danno per l’ente: La difesa sosteneva che l’ASP non avesse subito alcun danno economico. Le visite a domicilio “a chiamata” erano prestazioni che l’ente pubblico non avrebbe comunque potuto garantire con le stesse tempistiche. Di conseguenza, nessun compenso era stato sottratto all’Azienda, e la violazione della clausola di esclusività non si era tradotta in un danno patrimoniale concreto.
2. Insussistenza degli artifici e raggiri: Il medico argomentava che la sua condotta si era limitata a un “silenzio-inerzia”, ovvero l’aver svolto un’attività collaterale al di fuori dell’orario di lavoro, senza interferire con le mansioni istituzionali. Tale silenzio, secondo la difesa, non poteva essere qualificato come un comportamento attivo idoneo a ingannare l’ente, elemento necessario per configurare il reato di truffa.

La Truffa Medico e l’Indennità di Esclusività: L’Analisi della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna per truffa aggravata. L’analisi dei giudici si è concentrata sui due elementi cardine del reato: la condotta ingannevole e il danno patrimoniale.

La Condotta Ingannevole: il Silenzio che Configura il Raggiro

La Corte ha smontato la tesi del “silenzio-inerzia”. Richiamando consolidata giurisprudenza, ha affermato che la condotta del dirigente medico che, in regime di esclusività, non comunica all’ente lo svolgimento di attività professionale privata, integra pienamente il reato di truffa. La mancata comunicazione non è un semplice silenzio, ma un raggiro che induce in errore l’amministrazione sul regolare adempimento del contratto. L’ente, confidando nel rispetto del patto di esclusività, continua a corrispondere un’indennità maggiorata che non sarebbe dovuta.

Il Danno per l’Ente Pubblico: Oltre le Quote non Versate

Il punto cruciale della sentenza riguarda l’individuazione del danno. La Cassazione ha ritenuto “assorbente” e decisivo il profilo contestato nell’imputazione originaria: la condotta del medico era finalizzata a garantirsi “la regolare percezione dell’indennità collegata all’esclusività del rapporto”.

Il danno patrimoniale per l’ASP non è tanto la mancata percezione delle quote sulle visite (aspetto che potrebbe essere discutibile), quanto la corresponsione indebita dell’indennità di esclusività. L’ente ha pagato un bonus economico basandosi su un presupposto – la totale dedizione del professionista all’attività pubblica – che si è rivelato falso a causa della condotta occultata dal medico. Questo esborso economico, privo della sua causa contrattuale, costituisce il danno concreto e diretto che perfeziona il reato di truffa.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, stabilendo principi chiari. In primo luogo, la doglianza relativa all’assenza di artifici e raggiri è stata giudicata inammissibile perché proposta per la prima volta in Cassazione. Tuttavia, nel merito, è stata definita manifestamente infondata. La giurisprudenza è costante nell’affermare che il medico ospedaliero, autorizzato all’attività intra moenia in regime di esclusività, che omette di comunicare all’ente lo svolgimento di attività privata, induce in errore l’amministrazione, portandola a corrispondergli indebitamente lo stipendio maggiorato con l’indennità di esclusiva. Questo comportamento integra il reato di truffa aggravata.

In secondo luogo, riguardo al danno, la Corte ha sottolineato che il capo d’imputazione contestava al medico di essersi garantito, con la sua condotta, la percezione dell’indennità di esclusività. Pertanto, il danno patrimoniale per l’Azienda Sanitaria si è realizzato con l’erogazione di tale indennità, basata sul falso presupposto del rispetto del vincolo di esclusività. Questo profilo è stato considerato sufficiente a configurare il danno, rendendo irrilevante la questione se i pazienti si sarebbero comunque rivolti o meno all’ente pubblico.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce con fermezza un principio fondamentale: il patto di esclusività nel pubblico impiego sanitario non è una mera formalità, ma un obbligo contrattuale il cui rispetto è condizione per la percezione di specifiche indennità economiche. La sua violazione, se occultata all’ente di appartenenza, non si limita a una semplice inadempienza disciplinare, ma può configurare il grave reato di truffa aggravata. Il danno per l’erario non risiede solo nelle mancate entrate, ma anche e soprattutto nelle uscite indebite, come il pagamento di un bonus di esclusività a chi, di fatto, non ne avrebbe più diritto.

Il silenzio di un medico sullo svolgimento di attività privata può configurare il reato di truffa?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la mancata comunicazione all’ente pubblico dello svolgimento di attività privata, in violazione di un rapporto di esclusività, costituisce un raggiro che induce in errore l’amministrazione, portandola a corrispondere indebitamente l’indennità di esclusiva. Questa condotta integra il reato di truffa.

Qual è il danno per l’ente pubblico se le visite private non avrebbero comunque generato ricavi per esso?
Il danno patrimoniale per l’ente pubblico non consiste necessariamente nella mancata percezione di una quota sui compensi delle visite, ma si concretizza nell’erogazione indebita dell’indennità di esclusività. Tale indennità viene corrisposta sul falso presupposto che il medico rispetti pienamente il vincolo di esclusività, e il suo pagamento in assenza di tale condizione costituisce il danno per l’erario.

La condotta del medico è stata considerata un’inadempienza contrattuale o un reato?
La condotta è stata considerata un reato di truffa continuata e pluriaggravata. La Corte ha stabilito che nascondere l’attività privata per continuare a percepire un bonus non dovuto va oltre la semplice violazione contrattuale e integra gli elementi costitutivi del reato di truffa, ovvero gli artifici o raggiri, l’induzione in errore, l’ingiusto profitto e l’altrui danno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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