Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18100 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18100 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a Comiso il 31/08/1967
avverso la sentenza del 14/05/2024 della Corte d’appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore della parte civile Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa, il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia rigettato e che l’imputato sia condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla suddetta parte civile, come da allegata nota spese;
lette le conclusioni a firma dell’avv. NOME COGNOME e dell’Avv. COGNOME NOME COGNOME difensori di NOME COGNOME i quali, nel replicare alle conclusioni del Pubblico Ministero, hanno insistito per l’accoglimento del ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14/05/2024, la Corte d’appello di Catania, in parziale riforma della sentenza del 13/01/2022 del G.u.p. del Tribunale di Ragusa, emessa in esito a giudizio abbreviato, riconosciuta la relativa non menzione nel certificato
del casellario giudiziale, confermava la condanna di NOME COGNOME alla pena di un anno di reclusione ed C 200,00 di multa per il reato di truffa continuata e pluriaggravata (dall’avere commesso il fatto con violazione dei doveri inerenti a un pubblico servizio e a danno di un ente pubblico) ai danni dell’Azienda sanitaria provinciale (ASP) di Ragusa.
Secondo il capo d’imputazione, tale reato era stato contestato all’Elia «perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi, quale medico/chirurgo specialista in endocrinologia e malattie del ricambio, legato da un rapporto di lavoro esclusivo con l’Azienda Sanitaria di Ragusa nella qualità di Dirigente Medico presso l’UOC di Medicina Interna dell’Opedale Giovanni Paolo II di Ragusa, avendo concordato lo svolgimento dell’attività libero professionale in regime di intra moenia (c/o un ambulatorio ubicato al piano terra del suddetto nosocomio), inducendo in errore l’ASP di Ragusa in ordine al regolare svolgimento del servizio e al rispetto del vincolo di esclusività, con artifici e raggiri, in violaz del Regolamento per la disciplina dell’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria approvato con delibera n. 1542 del 23/07/2015, effettuando indebitamente, senza alcuna autorizzazione, numerose visite private a domicilio in realtà, contemplate solo esclusivamente in casi straordinari ed occasionali -, senza fare transitare i pazienti dal preposto sportello ALPI dell’Azienda Sanitaria per la preventiva prenotazione e per il pagamento di quanto dovuto all’ASP di Ragusa, si appropriava interamente delle somme di denaro direttamente ricevute dagli assistiti (senza il rilascio di alcuna fattura o ricevuta fiscale) per le prestazi sanitarie arbitrariamente erogate, omettendo di riversare le quote di spettanza dell’Ente di appartenenza, così da procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno, garantendosi, altresì, la regolare percezione periodica dell’indennità collegata all’esclusività del rapporto». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso tale sentenza del 14/05/2024 della Corte d’appello di Catania, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dei propri difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME affidato a due motivi, con i quali lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alle regole di cui all’art. 192 cod. proc. pen. in tema di valutazione della prova, con riguardo «alla dimostrazione degli elementi costitutivi del reato» di truffa, nonché, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’inosservanza e/o l’erronea interpretazione dell’art. 640 cod. pen., avendo la Corte d’appello di Catania anche omesso di confutare i motivi del suo atto di appello riguardanti l’insussistenza degli elementi del danno altrui e degli artifici o raggiri.
2.1. Con la prima doglianza, che concerne l’elemento della truffa del danno altrui, l’Elia deduce anzitutto che, nell’effettuare delle visite «al di fuori dell’or
e dei luoghi di lavoro», egli non si era «appropriato d’alcuna somma, destinata all’Ente».
Ciò in quanto «i fatti sono caratterizzati da modalità incompatibili con l’iter burocratico volto a specifica autorizzazione per la visita domiciliare», atteso che «i pazienti autonomamente chiedevano di essere visitati presso il proprio domicilio (nella stessa giornata della chiamata)», con la conseguenza che si tratterebbe «di prestazioni che il Servizio Pubblico giammai avrebbe potuto garantire negli stessi termini». Secondo il ricorrente, «a visita domiciliare “a chiamata”, senza orari prestabiliti, nella stessa giornata, poteva essere assicurata solo quando il professionista non era impegnato nelle sue ordinarie mansioni. Ed infatti: alcuna delle visite incriminate si è mai svolta durante l’orario del lavoro ospedaliero o dell’attività intramoenia». Da ciò discenderebbe che sarebbe «pertanto escluso l’omesso versamento di quote di spettanza dell’ente e, quindi, un effettivo danno a carico dell’Ente medesimo, visto che comunque si trattava di prestazioni che per tempi e modi – l’Azienda Sanitaria non avrebbe potuto ugualmente (alternativamente) fornire».
In secondo luogo, sull’assunto che il danno sarebbe stato «reputato sussistente quale automatica conseguenza della violazione della clausola di esclusività», l’Elia contesta, da un lato, che la Corte d’appello di Catania avrebbe indebitamente «omologa le visite a domicilio (nella stessa giornata della chiamata al medico) alle visite intramoenia, all’interno della struttura ospedaliera», e, dall’altro lato, come «l’originario thema decidendum (come da contestazione) riguardasse l’omesso versamento di quote di spettanza dell’Ente, quale danno per l’Ente medesimo, non già la mera corresponsione dell’indennità collegata all’esclusività del rapporto».
Il ricorrente aggiunge che, «nel caso di specie, la violazione della clausola di esclusività non ha minimamente interferito con l’attività ospedaliera ed intramoenia, considerato che i compensi corrisposti dai pazienti all’Elia non erano di spettanza dell’Ente, non lo sarebbero stati, né potevano esserlo, in considerazione delle modalità sopra specificate. Sicché al profitto dell’imputato non è corrisposto un altrui danno, avente tangibile contenuto economico».
L’Elia puntualizza che, poiché se non lo avesse fatto lui stesso, un altro medico avrebbe effettuato la visita, giacché quei pazienti intendevano essere visitati presso il proprio domicilio in tempi brevi, «in ogni caso, alcuna somma avrebbe mai potuto percepire l’Azienda Sanitaria, quand’anche il ricorrente avesse rifiutato di effettuare quelle visite domiciliari».
Il ricorrente conclude sul punto che la mancanza di prova certa della sussistenza di un altrui danno non consentirebbe l’affermazione di responsabilità «pur al cospetto della violazione della clausola di esclusività, non risultando
dimostrato che i pazienti, senza l’adesione dell’imputato alla richiesta di visita domiciliare, si sarebbero rivolti all’Azienda Sanitaria secondo le vie ordinarie, risultando semmai la diversa volontà dei pazienti medesimi di essere visitati in tempi rapidi a casa propria».
2.2. Con la seconda doglianza, che concerne l’elemento della truffa degli artifici o raggiri, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Catania non avrebbe motivato con riguardo allo stesso elemento.
L’Elia argomenta poi che, nel caso di specie, il silenzio da lui serbato non potrebbe essere sussunto nella nozione di raggiro in quanto non si era sostanziato in un “silenzio-espressivo”, concretizzandosi in un comportamento concludente idoneo a ingannare la persona offesa, ma si era risolto in un semplice “silenzioinerzia”, costituito dall’«avere svolto, al di fuori dell’orario e dei luoghi di lavo un’attività meramente collaterale e occasionale, diversa dalla prestazioni istituzionali e che con le stesse non poteva interferire».
Il ricorrente aggiunge che la condotta a lui contestata non si potrebbe ritenere corredata da altre circostanze, ulteriori elementi o fattori di contesto, idonei a realizzare i presupposti del reato di truffa. A tale proposito, rileverebbe «non soltanto l’innocuità del contegno, assunto senza invadenze dell’ambito lavorativo istituzionale e in assenza di un correlato effettivo danno della p.o., ma, ancor prima, quale antecedente logico-giuridico, la mancanza di variazioni, rilevanti ai fini del sinallagma contrattuale, cui consegue la derubricazione dell’obbligo di comunicazione all’altro contraente (in osservanza del principio ex art. 1375 c.c.), per l’inconsistenza della violazione contrattuale, meramente formale, che – in ogni caso – non ha inciso sulla regolare esecuzione del contratto».
CONSIDERATO IN DIRITTO
In ordine logico, deve essere esaminata per prima la seconda doglianza (di cui al punto 2.2 della parte in fatto), concernente l’elemento della truffa degli artifici o raggiri.
Essa non è consentita ed è, comunque, manifestamente infondata.
La doglianza non è consentita perché, nel proprio atto di appello, come risulta dall’integrale lettura di esso, l’Elia nulla aveva dedotto con riguardo al suddetto elemento, attinente alla condotta, degli artifici o raggiri, con le conseguenze che legittimamente la Corte d’appello non ha motivato in ordine alla sussistenza dello stesso elemento, già ritenuta dal G.u.p. Tribunale di Ragusa, e che la doglianza si appalesa del tutto nuova, in quanto prospettata per la prima volta davanti a questa Corte e, perciò, non consentita.
La stessa doglianza sarebbe, comunque, manifestamente infondata, atteso che la Corte di cassazione ha ripetutamente affermato, con riguardo a fattispecie concrete sovrapponibili a quella in esame, che integra il reato di truffa aggravata a norma del n. 1) del secondo comma dell’art. 640 cod. pen., commesso nell’esecuzione del contratto, la condotta del dirigente medico ospedaliero, autorizzato a svolgere attività libero professionale in regime di intra moenia in rapporto di esclusività con un’Azienda sanitaria, il quale non comunichi a tale ente pubblico di svolgere attività professionale presso il proprio studio privato, così inducendo lo stesso ente in errore in ordine al regolare svolgimento del rapporto e, quindi, a corrispondergli lo stipendio maggiorato dell’indennità di esclusiva (Sez. 2, n. 46209 del 03/10/2023, Alfonso, Rv. 285442-01; Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, C., Rv. 275463-04).
Tale fattispecie risulta sovrapponibile a quella, che viene qui in rilievo, di mancata comunicazione, da parte del dirigente medico ospedaliero in regime di intra moenia in rapporto di esclusività, dello svolgimento di attività professionale presso il domicilio dei pazienti (anziché presso il proprio studio).
La fattispecie concreta che ha costituito l’oggetto della prima delle sentenze citate (quella della Seconda sezione) non differisce sostanzialmente dalla fattispecie concreta che viene qui in rilievo neppure sotto i profili che sono stati invocati dal ricorrente, atteso che, diversamente da quanto è stato dallo stesso sostenuto (alla pag. 4 del suo ricorso), anche nel caso in esame, come in quello di cui al precedente, l’imputato non aveva fatto «transitare i pazienti presso il CUP e presso l’ufficio ticket» (pag. 4 della sentenza di primo grado) e aveva ricevuto direttamente dagli stessi pazienti le parcelle per le visite svolte.
La prima doglianza (di cui al punto 2.1 della parte in fatto), concernente l’elemento della truffa costituito dall’evento del danno altrui, è manifestamente infondata.
Si deve anzitutto rilevare che, contrariamente a sembra sostenere l’Elia, nel capo d’imputazione gli era stato contestato anche che, con la propria condotta decettiva, egli si era «garanti, altresì, la regolare percezione dell’indennità collegata all’esclusività del rapporto».
Ciò rilevato, la Corte d’appello di Catania ha correttamente ritenuto tale profilo come «assorbente», atteso che, anche a voler ritenere che, come sostenuto dall’Elia, i pazienti che egli aveva visitato a domicilio non si sarebbero rivolti all’ASP di Ragusa – con la conseguente insussistenza di quote delle parcelle da essi corrisposte di spettanza della stessa ASP e a essa non versate -, il danno patrimoniale in capo all’ASP di Ragusa si era comunque in tutta evidenza realizzato con la corresponsione all’Elia dell’indennità di esclusiva, che l’ente sanitario gli aveva erogato sul presupposto che egli, come si era obbligato a fare, svolgesse
effettivamente attività libero professionale esclusivamente in regime di intra
moenia.
3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento
della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dall’inammissibilità del ricorso consegue altresì la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio
dalla parte civile Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa in persona del direttore generale
pro tempore, che si liquidano in complessivi euro 3.167,00, oltre
accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa in persona del direttore generale p.t. che liquida in complessivi euro 3.167,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 20/03/2025.