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Truffa fondi pubblici: quando scatta la confisca

La Corte di Cassazione conferma la condanna per truffa fondi pubblici a carico di due professionisti coinvolti nella richiesta di contributi regionali per il restauro di due chiese. La Corte ha ritenuto che presentare documentazione attestante falsamente la prosecuzione di lavori già conclusi e il possesso di autorizzazioni inesistenti costituisce un’attività fraudolenta che induce in errore l’ente pubblico. Di conseguenza, ha dichiarato legittima la confisca dell’intero importo erogato, in quanto profitto diretto del reato.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa fondi pubblici: quando scatta la confisca dell’intero importo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di truffa fondi pubblici, fornendo chiarimenti cruciali sulla differenza tra questo reato e l’indebita percezione di erogazioni pubbliche, nonché sulla legittimità della confisca totale dei contributi ottenuti illecitamente. La vicenda riguarda la richiesta di finanziamenti regionali per il restauro di due chiese, basata su documentazione che rappresentava falsamente lo stato di avanzamento dei lavori.

I fatti del caso: la richiesta di fondi per il restauro

Due professionisti, uno in qualità di responsabile del procedimento e l’altro come legale rappresentante della società appaltatrice, presentavano alla Regione Veneto domande di contributo per il restauro di due edifici di culto. A corredo delle domande, allegavano attestazioni e schede tecniche che descrivevano i lavori da finanziare (impiantistica e restauro interno) come la naturale prosecuzione di una prima fase di interventi (tetti e facciate).

Il problema, secondo l’accusa, era che la “fase uno” dei lavori era già stata completata prima ancora della pubblicazione del bando regionale, grazie a finanziamenti di altra provenienza. Gli imputati, invece, avevano fatto credere all’ente erogatore che si trattasse di un unico grande progetto ancora in corso, inducendolo così a finanziare opere che, altrimenti, non avrebbero avuto i requisiti di ammissibilità previsti dal bando. Inoltre, avevano attestato falsamente il possesso di autorizzazioni della Soprintendenza che, in realtà, sarebbero state ottenute solo in un secondo momento.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano riconosciuto la colpevolezza degli imputati per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.), disponendo la confisca del profitto del reato, pari all’intero importo dei contributi erogati.

La decisione della Corte di Cassazione sulla truffa fondi pubblici

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dagli imputati, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito. La Suprema Corte ha ritenuto che i ricorsi fossero una mera riproposizione delle argomentazioni già respinte in appello, senza un reale confronto critico con le motivazioni della sentenza impugnata, e che mirassero a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

La distinzione tra truffa (art. 640-bis) e indebita percezione (art. 316-ter)

Uno dei punti centrali sollevati dalla difesa era la riqualificazione del fatto nel reato meno grave di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.). La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo la linea di demarcazione tra le due fattispecie. Si ha indebita percezione quando il privato si limita a presentare dichiarazioni false o a omettere informazioni dovute, e l’ente pubblico svolge un ruolo meramente ricognitivo, senza un’autonoma attività di valutazione. Si configura, invece, la più grave truffa fondi pubblici quando, attraverso artifizi e raggiri, si induce in errore il funzionario pubblico, la cui attività decisionale viene concretamente sviata dalla condotta fraudolenta. Nel caso di specie, la presentazione di un complesso documentale falso era finalizzata a manipolare il processo valutativo e selettivo della Regione, integrando così un vero e proprio schema fraudolento.

Le motivazioni: perché si tratta di truffa fondi pubblici aggravata?

La Corte ha ritenuto che le motivazioni dei giudici di merito fossero logiche, coerenti e complete, fondate su prove decisive che dimostravano la sussistenza di tutti gli elementi del reato contestato.

La sussistenza degli artifizi e raggiri

La condotta degli imputati non si è limitata a una semplice dichiarazione mendace, ma si è sostanziata in un complesso di “artifizi e raggiri”. Hanno costruito una falsa rappresentazione della realtà, facendo apparire un progetto unitario in corso di svolgimento laddove esistevano due fasi di lavori distinte e temporalmente separate, la prima delle quali già conclusa. Questo schema fraudolento è stato funzionale a superare i requisiti di ammissibilità del bando regionale, che richiedeva che i lavori non fossero già terminati e che avessero ottenuto le necessarie approvazioni preventive.

Il profitto del reato e la legittimità della confisca

La Cassazione ha confermato che il profitto del reato coincidesse con l’intero importo del finanziamento pubblico erogato. Secondo un orientamento consolidato, quando un contributo pubblico viene ottenuto attraverso una frode, l’intera somma ricevuta costituisce un vantaggio “indebitamente” percepito e, quindi, un ingiusto profitto. Il fatto che tali somme siano state poi effettivamente utilizzate per i lavori di restauro non esclude l’illiceità del profitto, poiché la sua origine risiede nella condotta fraudolenta che ha viziato l’erogazione stessa. Di conseguenza, la confisca diretta nei confronti della società e, in via sussidiaria, per equivalente nei confronti degli imputati, è stata ritenuta pienamente legittima.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa pronuncia ribadisce alcuni principi fondamentali in materia di reati contro la pubblica amministrazione. In primo luogo, sottolinea che la predisposizione di un apparato documentale volto a ingannare l’ente erogatore su elementi essenziali per la concessione di un contributo integra il più grave reato di truffa e non la semplice indebita percezione. In secondo luogo, conferma un approccio rigoroso sul tema del profitto confiscabile: l’intero importo ottenuto tramite frode è considerato profitto illecito, a prescindere dal suo successivo impiego. Questa decisione serve da monito per professionisti e imprese che interagiscono con la pubblica amministrazione, evidenziando come la trasparenza e la veridicità delle dichiarazioni siano requisiti imprescindibili per accedere a fondi pubblici.

Qual è la differenza tra truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e indebita percezione?
Si configura il reato di indebita percezione (art. 316-ter c.p.) quando l’ente pubblico si limita a prendere atto di dichiarazioni false del richiedente. Si ha invece la più grave truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) quando la condotta del privato, attraverso artifizi e raggiri, induce attivamente in errore l’ente, incidendo sul suo processo decisionale e valutativo.

Perché la confisca dell’intero importo del finanziamento è stata ritenuta legittima?
La Corte ha stabilito che, in caso di truffa per ottenere fondi pubblici, l’intero importo erogato costituisce l’ingiusto profitto del reato. Questo perché, in assenza della condotta fraudolenta, il contributo non sarebbe stato concesso. Il fatto che il denaro sia stato poi utilizzato per lo scopo dichiarato (il restauro) non rende lecito il profitto, la cui origine è viziata dalla frode.

Quando una dichiarazione falsa in una domanda di contributo diventa un’azione fraudolenta?
Una semplice dichiarazione non veritiera può non essere sufficiente. Diventa un’azione fraudolenta (artifizi e raggiri) quando si inserisce in un sistema ingannatorio più complesso, volto a rappresentare una realtà diversa da quella effettiva per manipolare la volontà dell’ente pubblico. Nel caso esaminato, non si trattava solo di una data errata, ma della costruzione di una falsa narrazione di un progetto unitario e continuo per aggirare i requisiti del bando.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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