Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6331 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 6331 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME
NOME nato a VIMERCATE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/03/2023 della CORTE DI APPELLO DI MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 31 marzo 2023 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Monza aveva condannato NOME COGNOME alla pena di un anno, due mesi di reclusione e 409,00 euro di multa per due reati di truffa, uno consumato e l’altro tentato, aggravati dalla circostanza prevista dall’art. 640, secondo comma, n. 2, cod. pen., commessi nei confronti della medesima persona offesa, alla quale – secondo la tesi accusatoria ritenuta fondata dai giudici di merito – l’imputato aveva proposto di risolvere bonariamente, con il pagamento di due diverse somme di denaro, una potenziale
contro
versia nascente da debiti asseritamente relativi al pagamento di 5.000 euro per ciascuno di due inesistenti abbonamenti a riviste.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza in ragione dei seguenti motivi.
2.1. Erronea applicazione della legge penale, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta qualificazione come truffa della condotta contestata, sostanziatasi in un “raggiro telefonico” dal contenuto “affatto semplice, fantasioso e facilmente verificabile, non idoneo a produrre una ingiusta deminutio patrimoniale”.
La circostanza che la persona offesa avesse effettivamente in essere, dall’anno 2018, un abbonamento con una rivista delle forze dell’ordine, per il prezzo annuale di 135 euro, le “avrebbe dovuto permettere di sapere che il suo debito di C 5.000 verso l’RAGIONE_SOCIALE, rimasto pure ignoto, fosse del tutto inesistente e non dovuto”.
2.2. Illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza “in punto di colpevolezza”, quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo.
La Corte di appello, sulla base delle dichiarazioni dell’imputato, che ha riferito di avere messo a disposizione di NOME COGNOME il proprio conto corrente sul quale accreditare somme per eludere un vincolo pignoratizio, ha affermato la sussistenza del dolo del reato ex art. 388 cod. pen., non contestato, e anche di quello di truffa, con il primo incompatibile; non vi è prova che il ricorrente fosse consapevole della provenienza delittuosa della somma accreditata sul proprio conto corrente, poi consegnata a COGNOME, ovvero che egli volesse concorrere in una duplice truffa in danno di una persona sconosciuta.
2.3. Violazione della legge penale in relazione all’erronea applicazione della circostanza aggravante prevista dall’art. 640, secondo comma, n. 2, cod. pen., considerato che il pericolo immaginario prospettato alla persona offesa dipendeva unicamente dall’autore della truffa e non già da terzi soggetti.
2.4. Erronea applicazione della legge penale, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge
10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati o non consentiti.
4.1. In primo luogo, i giudici di merito hanno correttamente richiamato e applicato il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale neppure la negligenza e superficialità della persona offesa escludono la configurabilità del reato di truffa, posto che «la rilevanza penale dell’accertata, fraudolenta, induzione in errore non viene meno per il solo fatto che il deceptus abbia a sua disposizione strumenti di difesa, in ipotesi non compiutamente utilizzati, poiché in siffatta situazione la responsabilità penale è sempre collegata al fatto dell’agente, ed è indipendente dalla eventuale cooperazione, più o meno colposa, della vittima negligente» (Sez. 2, n. 42867 del 20/06/2017, Gulì, Rv. 271241-01; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 2, n. 51538 del 20/11/2019, C., Rv. 278230-01; Sez. 2, n. 51166 del 25/06/2019, COGNOME, Rv. 278011-01; Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268960-01).
Essendo poi stato accertato il nesso di causalità tra l’artificio o il raggiro e l’altrui induzione in errore, non rileva evocare l’idoneità in astratto dei mezzi usati – come ha fatto la difesa – quando in concreto essi si siano dimostrati idonei a trarre in errore la vittima (Sez. 2, n. 55180 del 25/09/2018, Fiume Pugliese, Rv. 274299-01).
4.2. Indipendentemente dal rilievo incidentale della sentenza impugnata sull’eventuale integrazione del delitto ex art. 388 cod. pen., la Corte territoriale, aderendo alle argomentazioni del primo giudice, ha rimarcato la palese inverosimiglianza e la falsità della versione fornita dall’imputato, smentita anche da un dato documentale (pag. 9), secondo la quale egli avrebbe messo a disposizione un proprio conto corrente (in realtà è stato accertato che furono due) a un uomo di identità e professione sconosciute, incontrato casualmente in un bar, promettendo di consegnargli le somme che sarebbero ivi confluite senza percepire alcun compenso.
I giudici di merito, con motivazione tutt’altro che illogica o contraddittoria, hanno riconosciuto la responsabilità concorsuale dell’imputato.
La difesa, peraltro, pur censurando formalmente la motivazione, ha lamentato “un’errata valutazione delle prove” (pag. 12): a questa Corte, però, è preclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità
delle fonti di prova (v., ad es., Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217).
4.3. Privo di ogni fondamento è il motivo inerente all’applicazione della circostanza aggravante.
Il pericolo immaginario è stato prospettato alla persona offesa dall’autore delle telefonate, ma il ricorrente non è un terzo bensì un concorrente nel reato, al quale, alla luce di quanto disposto dall’art. 118 cod. pen., la circostanza oggettiva si estende se conosciuta o ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa, secondo il criterio generale di imputazione delle aggravanti previsto dall’art. 59, secondo comma, dello stesso codice.
4.4. Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è stato legittimamente giustificato dai giudici di merito con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/201 7, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610; da ultimo v. Sez. 3, n. 47760 del 19/10/2023, COGNOME, non mass.), tali non essendo stati con fondamento ritenuti quelli indicati nell’appello, relativi all’asserito pregresso svolgimento di un lavoro dipendente (dato neutro), al positivo comportamento processuale dell’imputato (valutato invece molto negativamente) e alla presenza di “un minor e remoto precedente penale per falso” (privo di rilievo positivo).
Alla inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/12/2023.