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Truffa e negligenza vittima: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un uomo condannato per truffa aggravata. La sentenza conferma un principio chiave: la configurabilità del reato di truffa e negligenza vittima non sono in conflitto. Anche se la vittima è stata superficiale o negligente, la responsabilità penale dell’autore del raggiro non viene meno, purché la sua azione fraudolenta sia stata la causa dell’errore e del conseguente danno patrimoniale. Il caso riguardava richieste di pagamento per abbonamenti inesistenti a riviste.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa e negligenza vittima: Quando la disattenzione non salva dal reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di reati contro il patrimonio, chiarendo il rapporto tra truffa e negligenza vittima. Anche di fronte a un raggiro apparentemente semplice o facilmente smascherabile, la responsabilità penale del truffatore non viene meno. La disattenzione o la superficialità di chi subisce l’inganno non costituiscono una scusante per chi lo ha ordito. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il caso: una truffa telefonica per abbonamenti inesistenti

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per due episodi di truffa, uno consumato e l’altro tentato, ai danni della stessa persona. L’imputato, secondo l’accusa, aveva contattato la vittima proponendole di risolvere bonariamente una presunta controversia legata a due inesistenti abbonamenti a riviste, per un valore di 5.000 euro ciascuno. Per evitare conseguenze legali, alla vittima era stato chiesto di versare determinate somme di denaro su conti correnti riconducibili all’imputato.

I motivi del ricorso: la presunta ingenuità della vittima

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. In primo luogo, si sosteneva che la condotta fosse un “raggiro telefonico” troppo semplice e fantasioso per poter ingannare una persona mediamente accorta. La vittima, peraltro, aveva già in essere un vero abbonamento a una rivista delle forze dell’ordine dal costo irrisorio (135 euro annui), e questo avrebbe dovuto farle comprendere l’inesistenza del debito da 5.000 euro. In sostanza, si puntava sulla negligenza della persona offesa per escludere l’idoneità del raggiro.
Inoltre, la difesa contestava l’esistenza del dolo, affermando che l’imputato si era limitato a mettere a disposizione i propri conti correnti a un’altra persona per aiutarla a eludere un pignoramento, senza essere a conoscenza della provenienza illecita del denaro.

La decisione della Cassazione sulla truffa e negligenza vittima

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna e ribadendo principi consolidati in giurisprudenza.

L’irrilevanza della superficialità della persona offesa

Il punto centrale della decisione riguarda proprio il rapporto tra truffa e negligenza vittima. I giudici hanno chiarito che la responsabilità penale per il reato di truffa è sempre collegata alla condotta fraudolenta dell’agente. La rilevanza penale dell’induzione in errore non viene meno solo perché la vittima (il deceptus) avrebbe potuto utilizzare strumenti di difesa per smascherare l’inganno. In altre parole, la colpa della vittima, la sua ingenuità o superficialità, non escludono il reato. Ciò che conta è che il raggiro, in concreto, abbia funzionato e sia stato la causa effettiva dell’errore che ha portato al danno patrimoniale.

La prova del dolo e la versione inverosimile dell’imputato

Quanto all’elemento soggettivo, la Corte ha ritenuto la versione dell’imputato palesemente inverosimile e falsa. L’idea di aver messo a disposizione ben due conti correnti a un conoscente incontrato casualmente in un bar, senza percepire alcun compenso e senza porsi domande sulla provenienza delle somme, è stata giudicata dai giudici di merito come illogica e contraddittoria. Tale valutazione, basata sui fatti e sulle prove, non è sindacabile in sede di legittimità. La Corte ha quindi confermato il riconoscimento della responsabilità concorsuale dell’imputato nella truffa.

L’applicazione delle circostanze aggravanti e il diniego delle attenuanti

Infine, la Cassazione ha respinto anche le doglianze relative all’applicazione di una circostanza aggravante (aver ingenerato il timore di un pericolo immaginario) e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. L’aggravante si applica a tutti i concorrenti nel reato, e il diniego delle attenuanti è stato legittimamente giustificato dall’assenza di elementi positivi a favore dell’imputato e dalla valutazione negativa del suo comportamento processuale.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di diritto consolidato: la tutela penale contro la truffa non è subordinata alla particolare diligenza della vittima. L’ordinamento protegge il patrimonio anche di chi si dimostra meno accorto o più credulone. La valutazione giuridica deve concentrarsi sulla condotta dell’agente: se questa, attraverso artifici e raggiri, è causalmente idonea a indurre in errore la controparte, il reato sussiste, a prescindere dal fatto che una persona più attenta avrebbe potuto evitare il danno. La Corte ha sottolineato che, una volta accertato il nesso di causalità tra il raggiro e l’errore della vittima, non ha senso discutere sull’idoneità astratta dei mezzi usati, dato che in concreto si sono dimostrati efficaci. La valutazione sulla colpevolezza dell’imputato è stata inoltre rafforzata dalla palese falsità della sua versione difensiva, che i giudici di merito hanno motivatamente smontato sulla base di dati documentali e logici.

Conclusioni

La sentenza in esame offre un importante promemoria: nel reato di truffa, il focus è sull’inganno perpetrato e non sulla capacità della vittima di difendersi. La legge penale non lascia impunito chi approfitta della buona fede o della disattenzione altrui. Questa decisione consolida la tutela del patrimonio individuale, affermando che la responsabilità di chi commette un illecito non può essere attenuata o esclusa dalla concorrente negligenza di chi lo subisce. Un principio di civiltà giuridica che pone l’accento sulla condotta del reo come unico fattore determinante per la sussistenza del reato.

La negligenza o la superficialità della vittima possono escludere il reato di truffa?
No. Secondo la giurisprudenza costante richiamata dalla Corte, la negligenza della persona offesa non esclude la configurabilità del reato di truffa. La responsabilità penale è sempre collegata al fatto dell’agente e non viene meno per il solo fatto che la vittima avesse a disposizione strumenti di difesa che non ha utilizzato.

Come viene valutata la partecipazione di chi mette a disposizione il proprio conto corrente per una truffa?
La Corte ha ritenuto che fornire il proprio conto corrente per ricevere somme di provenienza illecita, giustificandosi con una versione dei fatti palesemente inverosimile (come quella di aiutare un conoscente a eludere un pignoramento senza alcun compenso), costituisce un elemento sufficiente per riconoscere la responsabilità concorsuale nel reato di truffa, in quanto dimostra la consapevolezza e la volontà di partecipare all’illecito.

L’aggravante del timore di un pericolo immaginario si applica anche a chi non ha direttamente minacciato la vittima?
Sì. La Corte ha chiarito che l’imputato non è un soggetto terzo, ma un concorrente nel reato. In base all’art. 118 del codice penale, le circostanze oggettive che aggravano il reato si estendono a tutti i concorrenti, anche se da loro non conosciute o ritenute inesistenti per errore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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