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Truffa e accattonaggio: la Cassazione chiarisce

Un uomo è stato condannato per truffa per aver ingannato due minorenni facendosi consegnare del denaro con un espediente. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, chiarendo la distinzione tra il reato di truffa e la contravvenzione di accattonaggio. Secondo la Corte, quando alla semplice menzogna per suscitare pietà si aggiungono specifici artifizi e raggiri che causano un danno patrimoniale alla vittima e un ingiusto profitto all’agente, si configura il reato più grave di truffa.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa e accattonaggio: Quando Chiedere Soldi Diventa un Reato Grave

La linea di confine tra una richiesta di aiuto e un reato può essere sottile, ma la legge penale traccia distinzioni precise. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 1740/2024) offre un’analisi chiara sulla differenza tra truffa e accattonaggio, stabilendo quando una condotta fraudolenta, finalizzata a ottenere denaro, supera la soglia del reato minore per configurare la più grave fattispecie della truffa.

I Fatti del Caso: Più di una Semplice Richiesta di Elemosina

Il caso ha origine da un episodio in cui un uomo aveva avvicinato due ragazze minorenni, di quattordici anni. Raccontando loro false notizie sul proprio stato di bisogno, le aveva convinte a consegnargli del denaro. La condotta, però, non si era limitata a una semplice menzogna. L’imputato aveva utilizzato un espediente specifico: si era fatto consegnare delle banconote con la promessa di restituire il resto, ma aveva poi trattenuto una somma superiore a quella pattuita, procurandosi un ingiusto profitto di ventidue euro a danno delle giovani.

Condannato in primo grado e in appello per il reato di truffa, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il suo comportamento dovesse essere riqualificato come accattonaggio fraudolento, un reato di minore gravità.

L’Analisi della Cassazione sulla truffa e accattonaggio

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna per truffa e cogliendo l’occasione per delineare con precisione i confini tra le due figure di reato. I giudici hanno sottolineato come la condotta dell’imputato integrasse pienamente gli elementi costitutivi della truffa, ovvero gli ‘artifizi’ e i ‘raggiri’.

La Differenza tra Artificio e Raggiro

La sentenza chiarisce in modo esemplare questi due concetti chiave:
* L’artificio: È l’espediente con cui l’agente altera la realtà esterna per creare nella vittima una falsa rappresentazione. Nel caso di specie, l’artificio è consistito nel rappresentare falsamente una situazione di disagio per muovere a compassione le vittime.
* Il raggiro: È il comportamento, prevalentemente verbale, ispirato ad astuzia e finalizzato a sfruttare l’ingenuità altrui. Qui, il raggiro si è concretizzato nella promessa di restituire il resto corretto a fronte di una banconota di taglio superiore, promessa poi non mantenuta.

La combinazione di questi due elementi ha indotto in errore le ragazze, portandole a compiere un atto di disposizione patrimoniale (la consegna del denaro) che altrimenti non avrebbero compiuto, con conseguente danno per loro e profitto per l’imputato.

La Clausola di Sussidiarietà: Perché Prevale la Truffa

Un punto cruciale della decisione riguarda l’art. 669-bis del codice penale, che punisce l’esercizio molesto o fraudolento dell’accattonaggio. La difesa puntava su questa norma, ma la Corte ha evidenziato come essa contenga una clausola di sussidiarietà: si applica ‘salvo che il fatto costituisca più grave reato’.

Poiché la condotta dell’imputato, attraverso il mezzo fraudolento, ha causato un danno patrimoniale diretto alle persone offese e gli ha procurato un ingiusto profitto, essa integra pienamente il delitto di truffa, che è un reato più grave. Di conseguenza, la norma sull’accattonaggio non può trovare applicazione.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla corretta qualificazione giuridica del fatto. I giudici di merito prima, e la Cassazione poi, hanno ritenuto che il comportamento dell’imputato andasse ben oltre la semplice mendicità, anche se esercitata con l’inganno. La costruzione di una vera e propria ‘mise en scène’, unita all’inganno specifico sulla restituzione del denaro, ha trasformato l’azione in un’attività fraudolenta complessa, finalizzata a un profitto illecito a danno di soggetti vulnerabili.

La condanna è stata quindi confermata non solo sulla base delle dichiarazioni delle vittime, ma anche attraverso una rigorosa applicazione dei principi che distinguono la truffa da altre figure di reato apparentemente simili. La presenza di un danno patrimoniale e di un profitto ingiusto, ottenuti con mezzi fraudolenti, è stata l’elemento dirimente.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: la legge penale distingue nettamente tra chi chiede aiuto, pur mentendo sulla propria condizione, e chi orchestra un piano per ingannare attivamente il prossimo e sottrargli denaro. Mentre il primo comportamento può integrare la contravvenzione di accattonaggio fraudolento, il secondo, caratterizzato da una macchinazione più elaborata e da un danno economico diretto, rientra a pieno titolo nel più grave delitto di truffa. La decisione serve come monito: l’utilizzo di astuzia e inganni per manipolare la generosità altrui, causando un pregiudizio economico, è sanzionato con severità dall’ordinamento.

Chiedere l’elemosina mentendo sulla propria condizione è sempre truffa?
No, non sempre. Secondo la Corte, diventa truffa quando alla menzogna si aggiungono specifici ‘artifizi e raggiri’ (come un piano per farsi consegnare più denaro del dovuto) che causano un danno economico alla vittima e un ingiusto profitto per chi agisce.

Qual è la differenza fondamentale tra accattonaggio fraudolento e truffa in questo caso?
L’accattonaggio fraudolento si limita a usare un mezzo ingannevole per suscitare pietà. La truffa, come in questo caso, implica un’attività più complessa (una ‘mise en scène’) e un inganno specifico (il raggiro del resto) che induce la vittima a compiere un atto di disposizione patrimoniale dannoso.

Perché la Corte ha condannato per truffa e non per il reato meno grave di accattonaggio?
Perché la norma che punisce l’accattonaggio (art. 669-bis c.p.) contiene una ‘clausola di sussidiarietà’, che la rende inapplicabile se il fatto costituisce un reato più grave. Poiché l’imputato ha procurato a sé un profitto e un danno alle vittime attraverso un raggiro, ha integrato tutti gli elementi del reato di truffa, che prevale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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