Truffa Contrattuale: Vendere un’Auto con Patto di Riservato Dominio Nascosto
La stipula di un contratto si basa sulla fiducia e sulla trasparenza. Ma cosa succede quando una delle parti nasconde volontariamente un’informazione cruciale? Un’ordinanza della Corte di Cassazione analizza un caso di truffa contrattuale legato alla vendita di un’autovettura, offrendo chiarimenti importanti su cosa costituisce un raggiro penalmente rilevante. Il silenzio su un dettaglio fondamentale, come un patto di riservato dominio, può trasformare una compravendita in un reato.
I Fatti: Una Vendita Apparentemente Normale
Il caso riguarda un uomo che vende un’automobile a un acquirente, ricevendo la cospicua somma di 37.000 euro. L’accordo sembra in tutto e per tutto regolare, ma nasconde un’insidia: il venditore aveva acquistato a sua volta il veicolo da un concessionario tramite un contratto con patto di riservato dominio. In pratica, l’auto non era ancora di sua piena proprietà, ma apparteneva legalmente al concessionario fino al saldo completo del prezzo, cosa che non era avvenuta. Il venditore, non solo ha omesso questa informazione fondamentale, ma non ha neanche utilizzato i soldi ricevuti dall’acquirente per estinguere il debito e liberare il veicolo dal vincolo.
L’Appello e i Motivi del Ricorso
Condannato in appello per truffa, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione. La sua difesa ha contestato la decisione dei giudici di merito, sostenendo un’errata valutazione delle prove e proponendo una diversa ricostruzione dei fatti. Secondo il ricorrente, non vi era la prova di un’intenzione fraudolenta fin dall’inizio e le sue azioni non integravano gli estremi del reato.
La Truffa Contrattuale secondo la Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo inammissibile. I giudici hanno chiarito che il ruolo della Cassazione non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la logicità della motivazione della sentenza impugnata. In questo caso, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione coerente e priva di vizi logici, spiegando perché le azioni dell’imputato costituissero una vera e propria truffa contrattuale.
Il Silenzio Malizioso come Raggiro
Il punto centrale della decisione è il concetto di “silenzio malizioso”. La Corte ha ribadito un principio consolidato: gli artifizi o raggiri, elementi essenziali della truffa, non consistono solo in azioni attive (come creare documenti falsi), ma anche in comportamenti omissivi. Tacere deliberatamente su una circostanza fondamentale per la conclusione di un contratto, come l’esistenza di un patto di riservato dominio che impedisce il trasferimento della proprietà, è un comportamento che inganna la controparte e le impedisce di prendere una decisione libera e consapevole.
L’Elemento Soggettivo: Il Dolo Iniziale
La Corte ha inoltre individuato diversi elementi che provano il dolo, cioè l’intenzione fraudolenta fin dal principio. Tra questi:
1. L’aver incassato 37.000 euro senza rivelare il vincolo sulla proprietà del bene.
2. Il non aver utilizzato tale somma per saldare il debito con il concessionario e liberare l’auto.
3. L’aver continuato a rassicurare la vittima anche dopo la vendita, inviandole una carta di circolazione provvisoria intestata a suo nome, mantenendo così l’apparenza di una transazione regolare.
le motivazioni
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile principalmente perché la difesa chiedeva una nuova valutazione del merito della vicenda, attività preclusa in sede di legittimità. Come stabilito dalla giurisprudenza costante (richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 12 del 2000), la Cassazione non può sostituire la propria interpretazione dei fatti a quella dei giudici di grado inferiore, né può valutare la tenuta logica di una sentenza confrontandola con modelli di ragionamento alternativi. Il suo compito è unicamente quello di verificare se la motivazione della sentenza impugnata sia manifestamente illogica o contraddittoria, vizio che in questo caso non è stato riscontrato. La Corte d’Appello aveva, infatti, costruito un percorso argomentativo solido, basato su elementi fattuali precisi che dimostravano sia la condotta ingannatoria (il silenzio sul patto di riservato dominio) sia l’intento fraudolento iniziale dell’imputato.
le conclusioni
Questa ordinanza rafforza il principio secondo cui la trasparenza e la buona fede sono elementi essenziali non solo dal punto di vista civilistico, ma anche penale. Chi vende un bene ha il dovere di informare l’acquirente di qualsiasi vincolo che ne limiti la proprietà o la disponibilità. Omettere deliberatamente tali informazioni, inducendo l’altro a concludere un affare che altrimenti non avrebbe concluso, integra il reato di truffa contrattuale. La decisione serve da monito: il silenzio, quando è finalizzato a ingannare, ha lo stesso peso di una menzogna esplicita e può portare a una condanna penale, oltre che all’obbligo di risarcire il danno.
Nascondere un patto di riservato dominio nella vendita di un bene costituisce reato di truffa?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il silenzio maliziosamente serbato su una circostanza così fondamentale come l’esistenza di un patto di riservato dominio integra gli “artifizi o raggiri” necessari per il reato di truffa, in quanto non consente all’acquirente di autodeterminarsi liberamente.
Cosa dimostra l’intenzione di truffare (dolo) in un caso di truffa contrattuale come questo?
L’intenzione di truffare è dimostrata da più elementi: il farsi consegnare una somma di denaro senza informare l’acquirente del vincolo sulla proprietà, l’omettere di versare il dovuto al legittimo proprietario per liberare il bene, e il continuare a rassicurare la vittima anche in seguito, ad esempio inviando documenti di circolazione provvisori.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di un processo?
No. La Corte di Cassazione non può sovrapporre la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici dei gradi precedenti. Il suo compito è limitato a verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata, senza poter effettuare una nuova ricostruzione storica degli eventi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8189 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8189 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PORDENONE il 15/10/1973
avverso la sentenza del 10/04/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che con un unico motivo di ricorso la difesa dell’imputato deduce vizi di motivazione della sentenza impugnata in relazione all’intervenuta affermazione della penale responsabilità con riguardo al contestato reato di truffa;
che il motivo di ricorso, che, come detto, contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità denunciando la illogicità della motivazione sulla base della diversa lettura dei dati processuali o un diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova, non è consentito dalla legge, stante la preclusio per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260);
che la Corte di appello, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del proprio convincimento (si vedano, in particolare, pagg. da 6 a 8 della sentenza impugnata) rilevando che: a) l’imputato aveva acquistato l’autovettura dalla RAGIONE_SOCIALE con patto di riservato dominio; b) gli artifizi o ragg necessari ai fini dell’integrazione del reato di truffa possono consistere anche nel semplice silenzio maliziosamente serbato in relazione a circostanze fondamentali per la conclusione di un contratto, posto che un simile comportamento non consente alla persona offesa di autodeterminarsi liberamente; c) nel caso di specie, depone a favore della sussistenza dell’elemento soggettivo della truffa la circostanza che l’imputato, da un lato, si è fatto consegnare dalla persona offesa la somma di euro 37.000 senza informarla dell’esistenza di un patto di riservato dominio, dall’altro, ha omesso di versare alla RAGIONE_SOCIALE il predetto importo, sì da liberare dal gravame l’autovettura destinata alla vendita; d) anche durante la fase esecutiva, nonostante il bene fosse sempre rimasto di proprietà e nella piena disponibilità della RAGIONE_SOCIALE, l’imputato continuava a rassicurare la vittima, trasmettendole copia della carta di circolazione provvisoriamente intestata a suo nome; e) la successiva rottura dei rapporti contrattuali, tanto tra la vittima e l’imputato quan tra questi e la RAGIONE_SOCIALE, pur costituendo un elemento successivo alla
conclusione del contratto e alla ricezione delle somme, può rilevare come ulteriore prova del dolo iniziale del reato di truffa contrattuale;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 febbraio 2025.