Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33720 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33720 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 13 novembre 2024 la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza emessa il 10 dicembre 2020 dal Tribunale di Roma con la quale l’imputato COGNOME NOME era stato dichiarato colpevole del reato di truffa e condanNOME alle pene di legge.
NOME COGNOME, in particolare, era stato contestato di avere, con artifizi e raggir consistiti nel millantare conoscenze nel mondo dello spettacolo e nel prospettare inesistenti opportunità nel settore della produzione cinematografica, indotto in errore NOME COGNOME, titolare di un’attività di ristorazione, che obbligava a mettere a disposizione il proprio locale per le riprese e forniva
“cestini alimentari” maturando un credito complessivo di euro 5.000,00, in tal modo conseguendo il COGNOME un ingiusto profitto con corrispondente danno per la persona offesa.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando tre motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di merito aveva ritenuto inverosimile la deduzione dell’imputato secondo la quale costui aveva prestato alla persona offesa la somma di euro 4.300,00 quale contributo amichevole per il pagamento dell’affitto arretrato, ciò in assenza di qualsivoglia pattuizione scritta e di u piano di restituzione della somma e considerato altresì che la persona offesa era sconosciuta all’imputato.
Osservava la difesa che in realtà il COGNOME aveva avuto numerosi contatti con il COGNOME, e pertanto era da lui ben conosciuto, avendo i due iniziato un piano di collaborazione a carattere duraturo, ciò che giustificava anche l’assenza di un piano di restituzione della somma data in prestito.
Deduceva inoltre che il NOME non aveva fornito i pattuiti cestini alimentari per la troupe cinematografica.
Con il secondo motivo deduceva contraddittorietà della motivazione assumendo che la vicenda rivestiva aspetti esclusivamente civilistici, essendo assente l’elemento del raggiro, necessario per l’integrazione del reato di truffa; deduceva inoltre che il programmato film non era stato girato per ragioni oggettive e che, per altro verso, neppure il NOME aveva adempiuto alla propria prestazione contrattuale.
Con il terzo motivo deduceva mancanza della motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato contestato, assumendo che, trattandosi nella specie di truffa contrattuale, la Corte d’Appello avrebbe dovuto motivare in relazione alla sussistenza del dolo iniziale, ossia della preordinazione del raggiro anteriormente alla conclusione dell’accordo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Tutti e tre i motivi, che lamentano vizio di motivazione sotto diversi profili, sono inammissibili in quanto non consentiti, poiché si risolvono in considerazioni di merito, inammissibili nella presente sede.
La Corte d’Appello, peraltro, ha reso una motivazione immune da vizi in relazione all’affermazione di responsabilità del ricorrente, evidenziando congruamente la versione dei fatti fornita dalla persona offesa NOME COGNOME, secondo la quale il COGNOME gli aveva fatto sottoscrivere alcuni contratti – prodotti in giudizio – in relazione alla realizzazione di un film nel proprio local commerciale, che in tali occasioni era accompagNOME da una persona definita come “nobildonna” e appellata la “NOME COGNOME COGNOME di Capalbio” e che in ragione di ciò, su richiesta dell’imputato, aveva corrisposto anticipi per spese vive per un valore di euro 5.000,00, somma mai restituita.
Argomentava, inoltre, in merito all’inverosimiglianza della versione dei fatti fornita dal COGNOME, secondo la quale questi avrebbe consegNOME al COGNOME la somma di euro 4.300,00 per aiutarlo nei pagamenti dell’affitto arretrato, osservando congruannente che era inverosimile che l’imputato avesse consegNOME tale somma a un soggetto fino a quei momento sconosciuto e senza alcuna garanzia riguardo alla restituzione.
La Corte territoriale ha anche argomentato in relazione alla sussistenza del raggiro – e dunque implicitamente anche del dolo della truffa, essendo evidentemente il raggiro frutto di una preordinazione – richiamando il fatto che la sottoscrizione dei contratti, la frequentazione del locale gestito dal COGNOME insieme a una persona definita come “nobildonna” e la prospettazione dei futuri guadagni avessero “creato l’affidamento richiesto dalla norma incriminatrice”.
Ed invero, quella dedotta con i motivi in trattazione è una censura in fatto, come tale inammissibile nel giudizio di legittimità, attenendo a “vizi” diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua “manifesta illogicità”, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali astrattamente idonei ad imporre diversa conclusione del processo. Inammissibili sono, pertanto, tutte le doglianze che “attaccano” la “persuasività”, l’inadeguatezza, la mancanza di “rigore” o di “puntualità”, la stessa “illogicità” quando non “manifesta”, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove ovvero che evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, de spessore della valenza probatoria del singolo elemento. Tutto ciò è “fatto”, riservato al giudice del merito. Quando il giudice del merito ha espresso il proprio apprezzamento, la ricostruzione del fatto è definita, e le sole censure possibili nel giudizio di legittimità sono quelle dei soli tre tassativi vizi indi
dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura: sicché è altro costante insegnamento di questa Suprema Corte che la deduzione alternativa di vizi, invece assolutamente differenti, è per sè indice di genericità del motivo di ricorso e, in definitiva, “segno” della natura di merito della doglianza che ad essi solo strumentalmente tenta di agganciarsi (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).
Osserva la Corte che, in relazione alle conclusioni assunte dalla Corte territoriale, il ricorrente omette di sviluppare un adeguato confronto critico rispetto alla sostanza delle contrarie argonnentazioni ivi utilizzate e di indicare la specifiche ragioni della loro asserita erroneità, limitandosi a contrapporvi una serie di doglianze già analizzate e motivatamente disattese in punto di fatto, così prospettando una diversa e alternativa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondate su una non consentita richiesta di rivisitazione del loro contenuto, senza addurre censure destinate a disarticolare, o anche solo a porre in crisi, la complessiva tenuta e la coerenza logica delle valutazioni al riguardo operate nella decisione impugnata.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, pertanto, essere dichiarat inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condanNOME, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inamnnissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 11/06/2025