Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20249 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20249 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
omettendo di restituirli alle loro richieste; entrambi i giudici di merito hanno sostenuto che le condotte successive all’apprensione delle somme non rappresentassero un post factum non punibile ma avessero concretizzato ulteriori artifizi e raggiri mirati a mantenerne il possesso inducendo le vittime a ‘continuare ad investire tramite lui’; segnala che i giudici di primo grado avevano errato nell’affermare essersi in presenza di una truffa a consumazione prolungata ravvisabile, invece, nell’ipotesi di conseguimento di periodiche erogazioni frutto di un unico iniziale comportamento fraudolento; rileva che, con l’atto d’appello, la difesa aveva contestato la costruzione giuridica proposta dal primo giudice insistendo, anche, sulla esclusione della continuazione ‘interna’ ma che la Corte d’appello non aveva considerato come nel caso di specie i momenti salienti sarebbero stati quelli della induzione in errore circa l’effettiva destinazione delle somme consegnate dalle vittime e della falsa rappresentazione della situazione quale condotta funzionale ad indurre costoro a non richiedere lo smobilizzo dei supposti investimenti; segnala che la Corte ha individuato la data del 13/12/2018 per la consumazione della truffa in danno dei coniugi COGNOME/COGNOME (capo A) e nell’ottobre dello stesso anno per quanto riguarda la parte civile NOME COGNOME (capo B) che, per l’appunto, sarebbero stati indotti ad omettere di chiedere la restituzione delle somme; richiama, quindi, il tenore della scrittura del 13/12/2018 che, lungi dall’essere stato il frutto di un ulteriore inganno, rappresenta invece un vero e proprio riconoscimento di debito dell’imputato in favore dei coniugi COGNOME/COGNOME in cui, effettivamente, il COGNOME aveva dato conto della destinazione personale delle somme che costoro gli avevano versato in vista di mai effettuati investimenti e, pertanto, della truffa perpetrata in loro danno; osserva che la Corte d’appello ha omesso di spiegare come e perché quell’atto avrebbe rappresentato l’ultimo atto commissivo e dispositivo e quale sarebbe stata la deminutio patrimonii determinatasi in capo alle persone offese e, inoltre, come tale atto fosse un momento dell’originario ed unico comportamento fraudolento che caratterizza la truffa a consumazione prolungata; sottolinea che anche la condotta di protrazione delle condotte volte ad evitare che i coniugi richiedessero la restituzione dei soldi investiti si era risolta, in realtà, come risulta dalla stessa deposizione del COGNOME, nel tentativo dell’imputato di tergiversare, evitare il confronto con le persone offese e non a porre in essere un’attività ingannatoria diretta ad indurre costoro a consegnargli altri soldi ovvero a non richiedere la restituzione di quanto investito; svolge considerazioni analoghe quanto alla vicenda compendiata al capo B) della rubrica per la quale la Corte ha fissato il termine della condotta truffaldina nel momento in cui il COGNOME avrebbe promesso al Gallo la restituzione delle somme consegnategli; richiama la giurisprudenza di questa Corte che, in casi analoghi, aveva sottolineato la centralità della dazione
del denaro ai fini della individuazione del momento consumativo del reato considerando i comportamenti successivi come finalizzati, semmai, ad impedire o escludere la scoperta del fatto truffaldino e non ad indurre le vittime a porre in essere condotte idonee a determinare un sia pur minimo pregiudizio patrimoniale; ribadisce, pertanto, che la corretta applicazione dei principi sopra richiamati comporta la declaratoria di prescrizione dei reati in data antecedente la sentenza di primo grado;
inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale penale in relazione agli artt. 512, 526 e 192 cod. proc. pen.; manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo del travisamento della prova e della corretta applicazione delle regole di valutazione della prova costituita dalla querela sporta da NOME COGNOME: richiama la sentenza di appello e segnala che non vi era alcun elemento di prova a sostegno dell’affermazione secondo cui il COGNOME avrebbe indotto le vittime ad astenersi dal disinvestire per evitare perdite sul capitale e che, comunque, non vi è alcun riferimento temporale circa il momento in cui ciò sarebbe accaduto; aggiunge che, non essendo stata confermata dalla Gallo, la considerazione contenuta nella querela del COGNOME avrebbe dovuto essere corroborata, ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., da altri e diversi elementi di riscontro, in realtà inesistenti.
La Procura Generale, nonostante la richiesta di trattazione in presenza avanzata dalla difesa ed accolta, ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio per rispondere dei delitti di truffa aggravata ed appropriazione indebita aggravata in danno di NOME COGNOME ed NOME COGNOME (capo A della rubrica) ed in danno di NOME COGNOME (capo B della rubrica) poiché ‘… con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in qualità di consulente finanziario … iscritto all’Albo ed operante … con MPS … con Banca Monte dei Paschi di Siena … Banca Widiba … con artifizi e raggiri consistiti: nel farsi affidare dalle persone offese i propri risparmi affinché fossero impiegati in investimenti finanziari remunerativi’; con riguardo a NOME COGNOME ed NOME COGNOME inoltre, la condotta del COGNOME si sarebbe concretizzata ‘… nel carpire la piena fiducia delle persone fornendo loro ampie rassicurazioni circa gli investimenti effettuati ed i relativi rendimenti …; nel farsi autorizzare ad operare
sui rapporti bancari ove erano depositate le somme oggetto di investimento …; nel far credere alle persone offese che, per salvaguardare il capitale investito e i relativi rendimenti, occorreva procedere a rapide operazioni di disinvestimento e reinvestimento …; nel celare la mancata esecuzione delle operazioni di reinvestimento …; nell’effettuare operazioni bancarie sul conto corrente … intestato alle persone offese … per l’ammontare di 32.000 a favore della RAGIONE_SOCIALE …; nel riconoscersi debitore nei confronti delle persone offese della somma di euro 75.000,00 attestando falsamente, nella scrittura privata sottoscritta in data 13/12/2018, di averla ricevuta a titolo di prestito personale anziché per essere impiegata in investimenti finanziari’; in tal modo ‘… inducendo in errore NOME e NOME e facendosi consegnare somma di denaro per l’ammontare complessivo di circa 100.000 euro che rimborsava solo in parte (euro 37.000) … si appropriava … di somme di denaro pari ad euro 75.000 …’; quanto a NOME COGNOME (capo B) la condotta dell’imputato si sarebbe concretizzata ‘… nell’aver predisposto e consegnato alla persona offesa, all’inizio del 2017, un foglio riepilogativo contenente dati non corrispondenti al vero circa le date e gli importi delle somme affidategli; nell’aver fatto sottoscrivere alla persona offesa, in un’unica occasione, nel corso del 2017, contratti di mutuo, peraltro retrodatati, nei quali era stabilito falsamente che la persona offesa trasferiva il denaro a titolo di mutuo, per l’ammontare complessivo di euro 312.000 alla RAGIONE_SOCIALE; nell’aver fornito costantemente rassicurazioni fino agli inizi del 2019 circa la restituzione delle somme affidategli, comprensive degli interessi maturati, sia telefonicamente sia accompagnando la persona offesa presso la sede della RAGIONE_SOCIALE in due occasioni, l’11/06/2018 e l’8/10/2018, quando era già intervenuto il fallimento della società; nell’aver riportato il proprio nominativo e/o quello della RAGIONE_SOCIALE quali beneficiari degli assegni bancari emessi dalla persona offesa relativamente alle somme da investire; inducendo in errore NOME e facendosi consegnare somme di denaro per l’ammontare complessivo di euro 250.000 che rimborsava solo in minima parte (euro 5.000)’ così procurandosi ‘… un ingiusto profitto con pari danno per la persona offesa’ ed appropriandosi ‘ con le modalità infra indicate, di somme di denaro pari a euro 240.000 di cui aveva il possesso in quanto gli erano state affidate da NOME NOME affinché fossero destinate all’acquisto di prodotti finanziari nel suo interesse …’.
Lo stesso capo di imputazione, inoltre, aveva riportato, in maniera analitica e dettagliata, le date in cui le persone offese avevano effettuato (tramite assegni bancari o bonifici) i singoli versamenti di denaro in favore dell’odierno ricorrente l’ultimo dei quali risaliva, per i coniugi COGNOMECOGNOME, al 27/10/2015 e, per NOME COGNOME, al 06/11/2013.
Come anticipato nel ‘ritenuto in fatto’, il COGNOME aveva pacificamente ammesso gli addebiti, dando atto di aver ingannato le persone offese inducendole a consegnargli il denaro nella falsa prospettiva del suo investimento in titoli o strumenti finanziari in grado di garantire un interesse anche non elevato purché, avevano sempre ribadito le parti civili, caratterizzati dalla pronta liquidabilità e conseguente restituzione del capitale di cui, tuttavia, l’imputato si era appropriato per scopi personali e che, nonostante le reiterate ed insistite richiesta, aveva trovato il modo di non restituire se non in minima parte.
In definitiva, l’unico profilo oggetto di trattazione e di effettivo e reale approfondimento è stato quella della ‘struttura’ dell’imputazione e della corretta qualificazione dei fatti anche al fine di individuare il momento consumativo del reato e, di conseguenza, di decorrenza del termine di prescrizione.
2.1. Il Tribunale aveva dedicato, al tema, un’apposita trattazione (cfr., pagg. 10 e ss. della sentenza di primo grado) sottolineando che, certamente, le condotte descritte nell’imputazione erano sussumibili nel paradigma delineato dall’art. 640 cod. pen. ma, nel contempo, spiegando che le ulteriori condotte ‘… poste in essere dopo l’avvenuta appropriazione delle somme a séguito degli artifici e dei raggiri …’ non potessero essere considerate alla stregua di autonomi fatti di appropriazione indebita in quanto ‘… non si è presenza di un soggetto che si appropria di somme di cui ha la disponibilità anche attraverso l’interversione del possesso e grazie alla sua unica azione, ma di un soggetto che pone in essere un’attività per continuare ad indurre in errore i proprietari al fine di mantenere il possesso del bene’ (cfr., ivi pagg. 11-12).
I giudici di primo grado, pertanto, avevano ritenuto di poter inquadrare la vicenda -come descritta nell’imputazione -nella figura, di creazione giurisprudenziale, della truffa ‘a consumazione prolungata’; avevano infatti richiamato un arresto di questa Corte, relativo proprio ad una fattispecie di truffa commessa da un promotore finanziario a danno di clienti che erano stati indotti, per effetto di una condotta ingannatoria iniziale, a porre in atto una pluralità di atti dispositivi in un determinato arco temporale; avevano quindi sostenuto che, in termini a loro avviso analoghi, nel caso in esame ‘… la provvista veniva implementata o non veniva diminuita solo perché il COGNOME perpetrava nel suo disegno criminoso’ (cfr., ivi, ancora, pag. 11); avevano dato rilievo, a tal fine, anche a condotte meramente ‘omissive’ quali, per l’appunto, la rinuncia a disinvestire ed a richiedere l’immediata ed integrale restituzione del capitale versato nelle mani dell’imputato, ed a cui le vittime sarebbero state indotte con l’inganno.
Di qui, secondo il Tribunale, la ‘prosecuzione’ della truffa (ovvero, per meglio dire, delle truffe avvinte dalla continuazione ai sensi dell’art. 81 cod. pen.) sino al 2018-2019 (cfr., ivi, pag. 11).
2.2. Questa ricostruzione non è stata integralmente recepita e condivisa dalla Corte d’appello che, a fronte del puntuale appello articolato dalla difesa, ha ritenuto invece che si fosse in presenza non già di una pluralità di episodi di truffa ovvero di una truffa ‘a consumazione prolungata’ ma di una ‘… unica complessiva condotta truffaldina (…) che si è protratta nel tempo, costituita dalla ricezione nel tempo di somme di denaro per l’ammontare che si è indicato, perché fossero destinate ad investimenti, seguita dalla continua rappresentazione della bontà degli investimenti che venivano effettuati e dei relativi rendimenti, in modo tale da indurre le persone offese a non richiedere la restituzione di tali somme e dei relativi interessi promessi o, comunque, a desistere da richiesta che potessero aver inizialmente avanzato all’imputato in tal senso, così compiendo le persone offese medesime un atto di disposizione patrimoniale di carattere omissivo, rappresentato appunto dalla decisione di non avanzare richiesta di disinvestimento e restituzione delle somme consegnate per vaio tempo’ (cfr., pag. 45 della sentenza d’appello).
Secondo la ricostruzione dei giudici di secondo grado, dunque, la truffa si sarebbe protratta sino alla fine del 2018 quanto ai coniugi COGNOME/COGNOME allorché a costoro venne fatta sottoscrivere la scrittura del 13 dicembre ‘… in cui risultava, contrariamente a quanto era realmente avvenuto, che quella somma era stata a lui consegnata dai coniugi a titolo di prestito personale e non per investimenti’ (cfr., ivi); per NOME COGNOME invece, la truffa sarebbe proseguita sino al momento in cui il COGNOME, pressato dalle richiesta di restituzione del capitale che la persona offesa era stata indotta a credere fosse stata investita proficuamente, lo aveva accompagnato presso l’ufficio della società Garden (fallita ormai da tempo) per assicurargli la restituzione delle somme in un breve arco di tempo (cfr., ancora, ivi, pag. 45).
Di qui, secondo la Corte territoriale, l’erroneità della prospettazione difensiva che vorrebbe individuare la consumazione del reato e, pertanto, il dies a quo da cui far decorrere la prescrizione, dalle date dei versamenti di denaro ‘… dovendo invece la prescrizione decorrere dalla data di sottoscrizione della scrittura da parte dei coniugi COGNOMECOGNOME nel dicembre 2018 – che per costoro rappresenta l’ultimo atto giuridico commissivo dispositivo estorto con l’inganno e che ha attribuito a COGNOME la giuridica possibilità di ricostruire i suoi rapporti con gli investitori in termini diversi da quanto invece accaduto – e, per quanto riguardo NOME, dal momento, nel 2018, in cui l’imputato, con le ultime condotte
fraudolente descritte, garantì a costui la restituzione delle somme convincendolo a desistere dall’intraprendere iniziative legali volte a tutelare i propri diritti e ad ottenere la restituzione del denaro investito, in tal modo, peraltro, posticipando il momento in cui l’imputato poté definitivamente consolidare ed accrescere l’ingiusto profitto ed il Gallo, a sua volta, subire il danno’ (cfr., ivi, ancora, pag. 46).
Tanto premesso, osserva il Collegio che, nel caso di specie, la ricostruzione della vicenda restituita dalla lettura delle due sentenze di merito non consente di accedere alla sua ricostruzione in termini di truffa ‘a consumazione prolungata’ che, come è noto, è configurabile quando la percezione dei singoli emolumenti sia riconducibile ad un originario ed unico comportamento fraudolento con la conseguenza che il momento della consumazione del reato – dal quale far decorrere il termine iniziale di maturazione della prescrizione – è quello in cui cessa la situazione di illegittimità (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 57287 del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 272250 -01; Sez. 2, n. 4150 del 07/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275521 -01; Sez. 2, n. 23185 del 02/05/2019, COGNOME, Rv. 275784 – 01).
3.1. La truffa ‘a consumazione prolungata’, in definitiva, ha riguardo a quelle situazioni – prevalentemente legate alla erogazione, con cadenza periodica, di emolumenti pubblici – conseguenti ad una iniziale rappresentazione fraudolenta ed ingannatoria nei confronti del soggetto passivo, dei relativi e necessari presupposti.
E, tuttavia, questa figura è stata recepita e ritenuta configurabile anche in casi in qualche modo ‘vicini’ a quello che ci occupa: si è affermato, infatti, che il delitto di truffa commesso dall’intermediario finanziario che, senza autorizzazione, percepisca denaro da privati da investire in operazioni di ” trading ” mobiliare ha natura di reato istantaneo e si consuma al momento della diminuzione patrimoniale e dell’ingiustificato arricchimento quando le parti abbiano concluso contratti di mandato singoli, in forza dei quali l’autore del reato, ottenuto il versamento delle somme, effettua l’investimento mentre va considerato a consumazione prolungata quando, a fronte di un accordo iniziale, il cliente effettui periodici versamenti di somme scaglionate nel tempo (c.d. piani di accumulo) (cfr., Sez. 2, n. 189 del 21/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277814 – 01 che, in applicazione di tale principio, ha annullato la sentenza che aveva considerato a consumazione prolungata la truffa effettuata mediante la sottoscrizione di singoli e specifici contratti di mandato, individuandone erroneamente l’avvenuta consumazione al momento della mancata restituzione delle somme versate all’intermediario).
Nella sentenza ‘ COGNOME ‘ si è condivisibilmente richiamato il costante orientamento di questa Corte secondo cui il delitto di truffa si consuma nel momento in cui l’autore della condotta fraudolenta ottiene l’ingiusto profitto della propria attività criminosa laddove, nella truffa c.d. a consumazione prolungata, l’evento del reato si identifica, come accennato, nella percezione dei singoli emolumenti causalmente riconducibile ad un originario ed unico comportamento fraudolento con la conseguenza che il momento della consumazione del reato – dal quale far decorrere il termine iniziale di maturazione della prescrizione – è quello in cui cessa la situazione di illegittimità; con riferimento, poi, alla frode strumentale al conseguimento di erogazioni pubbliche il cui versamento sia rateizzato, si è chiarito che il reato si consuma al momento della percezione dell’ultima rata di finanziamento, purché, per l’appunto, tutte le erogazioni siano riconducibili all’originario ed unico comportamento fraudolento, mentre, quando per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima è necessario il compimento di ulteriori attività fraudolente, si deve viceversa ritenere che siano integrati altrettanti ed autonomi fatti di reato (cfr., Sez. 5, n. 32050 del 11/06/2014, Corba, Rv. 260496 – 01).
Quest’ultima distinzione è stata per l’appunto ritenuta applicabile al caso dell’operatore finanziario, ovvero all’intermediario che abbia percepito il denaro dai privati in conseguenza di una falsa rappresentazione della loro destinazione ad essere investito in operazioni di trading mobiliare: nel caso in cui siano stati conclusi diversi contratti ed eseguiti singoli versamenti di somme di denaro si è in presenza di una o più truffe di natura istantanea consumata (o consumate) al momento del verificarsi dell’atto di disposizione patrimoniale con correlativa diminuzione patrimoniale per la vittima ed ingiustificato arricchimento in capo all’agente; laddove, invece, come chiarito nella sentenza COGNOME , l’accordo iniziale – comunque e necessariamente frutto di artifizi e raggiri – avesse previsto versamenti periodici e scaglionati nel tempo in forza dell’unico ed iniziale contratto (c.d. piani di accumulo), si sarà in presenza di una di truffa a consumazione prolungata.
3.2. E’ dunque alla luce di questi principi che va verificata la correttezza della soluzione cui è approdata la Corte d’appello di Torino in punto di ricostruzione giuridica della vicenda.
La descrizione del fatto contenuta nel capo di imputazione contiene, infatti, l’analitica rassegna dei versamenti operati dalle persone offese attraverso bonifici o assegni bancari emessi tra il febbraio del 2011 e l’ottobre del 2015 quanto ai coniugi NOMECOGNOME e tra il dicembre del 2010 ed il novembre del 2013 quanto a NOME COGNOME.
Si tratta di importi differenti e variabili tanto che, anche al di là delle risultanze dibattimentali di cui i giudici di merito hanno dato conto, e non particolarmente illuminanti sul punto, già di per sé non consentivano di ricostruire le due vicende in termini di truffa ‘a consumazione prolungata’ nella forma del periodico versamento di importi – normalmente fissi ed a cadenza regolare secondo lo schema dei ‘piani di accumulo’.
3.3. Fermo quanto precede, la questione centrale è quella della rilevanza delle condotte tenute dall’imputato nel periodo successivo all’ultimo versamento di denaro da parte delle persone offese.
Secondo la Corte d’appello, infatti, il COGNOME avrebbe proseguito nella sua condotta truffaldina inducendo sia i coniugi COGNOMECOGNOME che NOME COGNOME ad astenersi dal richiedere indietro il capitale ovvero a desistere o a non insistere nelle richieste già più o meno informalmente avanzate, rassicurandoli sull’andamento degli ‘investimenti’ che non sarebbe stato il caso di dismettere in quel momento ovvero, comunque, sfuggendo e tergiversando rispetto alle pretese avanzate dalle persone offese (cfr., pag. 45 della sentenza d’appello); la condotta truffaldina sarebbe infine culminata, seguendo la ricostruzione dei giudici d’appello, nella predisposizione della scrittura del 13/12/2018 che il COGNOME indusse i coniugi COGNOME/COGNOME a sottoscrivere e nel convincere NOME COGNOME della prossima restituzione accompagnandolo presso la sede della società Garden che, tuttavia, era fallita ormai da tempo.
Così facendo, si legge nella sentenza impugnata, le persone offese avrebbero posto in essere atti di disposizione patrimoniale ‘… di carattere omissivo …’ rappresentati ‘… dalla decisione di non avanzare richieste di disinvestimento e restituzione delle somme consegnate per vario tempo’ (cfr., ivi).
Ebbene, il Collegio intende ribadire che il delitto di truffa contrattuale è reato istantaneo e di danno, il cui momento di consumazione – che segna il dies a quo della prescrizione – va determinato alla luce delle peculiarità del singolo accordo, avuto riguardo alle modalità ed ai tempi delle condotte, onde individuare, in concreto, quando si è prodotto l’effettivo pregiudizio del raggirato in correlazione al conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 11102 del 14/02/2017, COGNOME, Rv. 269688 – 01, in cui la Corte ha chiarito che la truffa contrattuale deve risolversi, comunque, in un atto di disposizione patrimoniale indotto con artifizi e raggiri, produttivo di un ingiusto profitto per l’agente e di un danno per la vittima, che non solo deve avere contenuto economico ma deve consistere in una lesione del bene tutelato, concreta ed effettiva; su tale premessa, si è pertanto ritenuto che, nel caso di specie, il reato fosse estinto per prescrizione, dovendo il relativo termine farsi decorrere
dalla realizzazione della condotta tipica e non dalla successiva mancata distribuzione degli interessi, in quanto, già al momento della stipula dei contratti, seguita dai conferimenti di capitale, l’imputato non aveva alcuna disponibilità dei prodotti offerti in vendita; conf., sulla rilevanza del profilo del pregiudizio patrimoniale della persona offesa, causalmente collegato alla condotta truffaldina dell’agente, quale elemento costitutivo della truffa ‘contrattuale’, Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216429 – 01, secondo cui la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato; cfr., ancora, Sez. 2, n. 33588 del 13/07/2023, COGNOME, Rv. 285143 – 01).
3.4. Pacifica, nel caso di specie, la deminutio patrimoni direttamente collegata ai versamenti di denaro in favore del COGNOME, a loro volta frutto della condotta truffaldina di costui, si tratta, allora, di verificare se altrettanto è possibile affermare con riguardo alle condotte tenute dall’odierno ricorrente e dirette a scoraggiare ovvero a far desistere le persone offese dalle proprie legittime richieste di restituzione del capitale ‘investito’.
Questa Corte, nel suo massimo consesso, ebbe modo di chiarire che, ai fini della configurabilità del delitto di truffa, l’atto di disposizione patrimoniale, quale elemento costitutivo implicito della fattispecie incriminatrice, deve consistere in un atto volontario, causativo di un ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall’errore indotto da una condotta artificiosa; si precisò, tuttavia, che lo stesso non deve necessariamente qualificarsi in termini di atto negoziale, ovvero di atto giuridico in senso stretto, ben potendo essere integrato anche da un permesso o assenso, dalla mera tolleranza o da una ” traditio “, da un atto materiale o da un fatto omissivo, dovendosi ritenere sufficiente la sua idoneità a produrre un danno (cfr., in tal senso, Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251499 – 01).
In quell’occasione, si osservò che, nel delitto di truffa ‘… il passaggio dall’errore agli eventi consumativi deve essere contrassegnato da un elemento sottaciuto dal legislatore, costituito dal comportamento collaborativo della vittima che per effetto dell’induzione arricchisce l’artefice del raggiro e si procura da sé medesimo danno. La collaborazione della vittima per effetto del suo errore
rappresenta in altri termini il requisito indispensabile perché ingiusto profitto e danno possano dirsi determinati dalla condotta fraudolenta dell’agente; e costituisce il tratto differenziale del reato in esame rispetto ai fatti di mera spoliazione da un lato, ai reati con collaborazione della vittima per effetto di coartazione dall’altro’ (cfr., dalla motivazione).
Nel contempo, le Sezioni Unite ‘ Rossi ‘ riconobbero che ‘… codesto requisito implicito, ma essenziale, della truffa quale fatto di arricchimento a spese di chi dispone di beni patrimoniali, realizzato tramite lo stesso grazie all’inganno, è definito atto di disposizione patrimoniale ‘, evidenziando tuttavia che ‘… la definizione è tuttavia imprecisa, nel senso che apparentemente evoca categorie civilistiche rispetto alle quali è impropria. Nulla nella formulazione della norma consente difatti di restringere l’ambito della collaborazione carpita mediante inganno ad un atto di disposizione da intendersi nell’accezione rigorosa del diritto civile e di escludere, all’inverso, che il profitto altrui e il danno proprio o di colui del cui patrimonio l’ingannato può legittimamente disporre, sia realizzato da costui mediante una qualsiasi attività rilevante per il diritto, consapevole e volontaria ma determinata dalla falsa rappresentazione della realtà in lui indotta. Più corretto e semplice è allora dire che per l’integrazione della truffa occorre, e basta, un comportamento del soggetto ingannato che sia frutto dell’errore in cui è caduto per fatto dell’agente e dal quale derivi causalmente una modificazione patrimoniale, a ingiusto profitto del reo e a danno della vittima’ (cfr., ivi).
In conclusione, si chiarì che ‘… il così detto atto di disposizione ben può consistere per tali ragioni in un permesso o assenso, nella mera tolleranza o in una traditio , in un atto materiale o in un fatto omissivo’ e che, tuttavia, ‘… quello che conta è che sia un atto volontario, causativo di ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall’errore indotto da una condotta artificiosa’ in quanto ‘… il senso riposto dell’atto di disposizione è che il danno deve potersi imputare ad un’azione che viene svolta all’interno della sfera patrimoniale aggredita, causata da errore e produttiva di danno e ingiusto profitto’ (cfr., ivi).
In definitiva, se è vero che nel delitto di truffa il comportamento della vittima, indotto dall’inganno, ben può risolversi in un atteggiamento meramente omissivo o di mera tolleranza, è pur sempre necessario che da esso derivi un pregiudizio patrimoniale ovvero un qualche profilo di ‘danno’ di natura patrimonialmente apprezzabile in capo alla persona offesa.
Ed è proprio su questo aspetto che la sentenza della Corte d’appello di Torino risulta errata in diritto: come già detto, infatti, i giudici torinesi hanno
affermato che il COGNOME, dopo aver incamerato le somme consegnategli nella falsa prospettiva del loro investimento, avrebbe tenuto condotte ‘truffaldine’ protrattesi nel tempo ‘… in modo tale da indurre le persone offese a non richiedere la restituzione di tali somme dei relativi interessi promessi, o comunque a desistere da richieste che potessero aver inizialmente avanzato all’imputato in tal senso’ (cfr., pag. 45 della sentenza).
3.5. Ebbene, se, come si è chiarito, anche una condotta meramente ‘omissiva’ può risolversi in un atto di ‘disposizione patrimoniale’, quel che difetta tuttavia nel caso di specie è l’esistenza di un pregiudizio patrimoniale autonomo e distinto rispetto alla iniziale dazione del denaro e che a tale ‘omissione’ sia causalmente legato.
Il danno indotto nel patrimonio delle persona offesa, infatti, era stato quello correlato alla consegna del denaro al COGNOME nelle occasioni e nelle date indicate nell’imputazione e rispetto al quale la condotta consistente nell’induzione a non insistere o a desistere dalla richiesta di restituzione non aveva prodotto, nel patrimonio delle vittime, alcun ulteriore pregiudizio finendo soltanto per consentire all’imputato di sottrarsi – più o meno a lungo – alle pur legittime pretese dei suoi interlocutori.
È per questa ragione che la sottoscrizione della scrittura del 13/12/2018 da parte dei coniugi COGNOMECOGNOME non può essere, in quest’ottica, considerato un autonomo profilo di ‘truffa’ in danno di costoro, risolvendosi nel tentativo del COGNOME, sia pure attraverso una dichiarazione sostanzialmente mendace circa la causale dei versamenti ricevuti, di rassicurare le vittime – e nel contempo fronteggiarne l’insistenza – sulla restituzione del denaro che gli era stato consegnato; allo stesso modo, la condotta certamente decettiva del COGNOME nei confronti di NOME COGNOME, condotto presso la sede della Garden, già fallita, era stata pacificamente diretta a tentare di convincere la persona offesa sulla prossima restituzione del denaro da lui ricevuto e, anche in tal caso, tentare di arginarne le pressanti richieste: in entrambi i casi, dunque, l’aspetto che impedisce di configurare degli autonomi episodi di truffa, è proprio l’assenza di un pregiudizio patrimoniale correlato e conseguente al comportamento omissivo indotto dal COGNOME e da cui è conseguita soltanto la (temporanea) desistenza delle vittime dall’insistere nelle loro pretese di restituzione del denaro già a suo tempo consegnato.
E’ alla luce di questa impostazione che vanno lette alcune decisioni rese in fattispecie in realtà, però, diverse da quelle che ci occupano: così,
Sez. 2, n. 24277 del 12/04/2022, COGNOME, Rv. 283514 – 01, massimata nel senso che ‘nell’ipotesi di truffa realizzata inducendo la vittima a sottoscrivere un falso contratto assicurativo a fini di investimento, con possibilità di rinnovo del rapporto contrattuale alla scadenza, costituisce atto di disposizione patrimoniale, causativo del profitto ingiusto, con correlativo danno per la persona offesa, non solo il versamento del premio assicurativo, ma anche la decisione del deceptus di destinare le somme già investite, incrementate dell’eventuale guadagno, al rinnovo della polizza, invece di chiederne la restituzione’; in quel caso, infatti, l’agente, oltre ad aver ricevuto somme di denaro a fronte di polizze assicurative via via incrementate, non soltanto aveva omesso, alla scadenza dei periodi contrattuali, di restituire le somme investite ma, attraverso ulteriori condotte decettive, aveva indotto i clienti a non richiedere la restituzione del capitale investito ma a prolungare il rapporto contrattuale secondo le pattuizioni che prevedevano la facoltà del rinnovo tacito della polizza.
Ed è proprio questo elemento che aveva consentito di attribuire alla condotta meramente passiva della vittima la valenza di un atto di disposizione patrimoniale in quel caso idoneo a determinare un effettivo e correlativo danno per le persone offese che, oltre a quello legato ai versamenti già eseguiti, aveva potuto essere individuato nella ‘… scelta di mantenere le somme già investite – in luogo del loro incasso con l’eventuale guadagno realizzato – con il nuovo impiego per rinnovare l’accordo contrattuale e dare luogo ad un nuovo investimento’ (cfr., dalla motivazione della sentenza ‘ Gribaudo ‘).
In definitiva, in quel caso, a differenza di quello all’attenzione della Corte d’appello di Torino, l’atteggiamento ‘omissivo’, indotto in maniera truffaldina dall’agente, aveva prodotto un effetto giuridico (consistente nell’avvenuto rinnovo della polizza) direttamente produttivo di un autonomo ed ulteriore pregiudizio patrimoniale per la vittima, conseguente alla impossibilità, per la nuova durata del contratto, di ottenere la restituzione del capitale inizialmente investito e degli ipotetici interessi.
Lo stesso dicasi per la fattispecie vagliata da Sez. 5, n. 33796 del 11/05/2023, COGNOME, Rv. 285199 – 01, massimata nel senso che ‘è configurabile il delitto di truffa nel caso in cui il danno della vittima si realizzi per effetto di un suo comportamento omissivo, determinato dalla condotta ingannevole dell’imputato’: la vicenda esaminata riguardava la condotta dell’imputato che nascondeva alle persone offese le perdite maturate sugli investimenti, consegnando loro prospetti excel da lui redatti, che falsamente ne indicavano la redditività provvedendo poi, quando il cliente aveva bisogno di
realizzare la liquidità così fittiziamente rappresentata, ad indebiti trasferimenti di somme dai conti di ignari correntisti vittime del capo uno, al fine di costituire la necessaria provvista.
In quel caso, infatti, la Corte aveva dovuto affrontare il problema, puntualmente posto con il ricorso, della possibilità di ritenere sussistente il danno patrimoniale e la stessa disposizione patrimoniale quale conseguenza della condotta artificiosa dell’agente, laddove tali situazioni si erano risolte, in realtà, nell’omessa attivazione di atti dispositivi idonei a bloccare gli investimenti in perdita.
Ribadito che l’atto di ‘disposizione patrimoniale’ ben può consistere in una condotta meramente omissiva o di mera tolleranza, la Corte aveva chiarito che il delitto di truffa non richiede che il profitto o danno discenda da condotte “attive” del raggirato o della persona offesa, ben potendo conseguire da un suo comportamento omissivo, nel senso che la vittima, indotta in errore, ometta di compiere quelle attività intese a fare acquisire al proprio patrimonio una concreta utilità economica, alla quale ha diritto e che rimane invece acquisita al patrimonio altrui.
Fatta questa premessa, la sentenza ‘ COGNOME ‘ aveva condivisibilmente ritenuto ravvisabile gli estremi della truffa dal momento che, in quel caso ‘… il comportamento omissivo della vittima, determinato dalla condotta ingannevole dell’imputato, ha fatto sì che essa cumulasse un danno nel suo patrimonio, costituito dalla continuata gestione finanziaria in perdita dei propri investimenti, sicuramente attribuibile alla circostanza che, all’ignaro investitore, veniva rappresentata una situazione di incremento degli investimenti stessi ampiamente in attivo attraverso l’artificiosa documentazione creata appositamente dal ricorrente’; con conseguente perdita, per la vittima, anche della possibilità di utilizzare diversamente e fruttuosamente il capitale.
Anche in tal caso, dunque, l’esistenza degli estremi del delitto di truffa era stata correttamente ancorata alla verifica di un pregiudizio patrimoniale verificatosi, in capo alla vittima, quale conseguenza diretta ed autonomamente derivante dalla condotta omissiva indotta dall’agente.
Di qui, dunque, l’errore in cui è caduta la Corte torinese laddove ha ritenuto di poter attribuire autonomo rilievo, sul piano penale, a condotte che, sia pure ingannatorie, avevano comportato – per le odierne persone offese – soltanto la rinuncia, più o meno temporanea, a richiedere indietro le somme a suo tempo consegnate all’imputato ma non erano state, di per sé, produttive di autonomi ed ulteriori profili di pregiudizio patrimoniale, elemento comunque necessario, come
si è visto, per ricondurle in via autonoma al paradigma disegnato dall’art. 640 cod. pen.
Da quanto sin qui argomentato, consegue che i delitti di truffa ascritti al COGNOME si debbono ritenere consumati sino alle date del 27/10/2015 per il capo A) e del 06/11/2013 per il capo B).
Alla data della sentenza di primo grado (24/10/2022), il reato di cui al capo B) era dunque certamente prescritto, imponendosi perciò l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, con revoca delle statuizioni civili; quanto al capo A), invece, la prescrizione è intervenuta soltanto successivamente alla sentenza del Tribunale tempestivamente appellata; all’annullamento, senza rinvio, della sentenza d’appello, consegue allora, ai sensi dell’art. 578, comma 1, cod. proc. pen., la conferma delle statuizioni civili.
È opportuno qui precisare che proprio la sentenza d’appello, con affermazione non contestata dalla difesa, ha ricostruito la truffa come ‘unico reato concretizzatosi nel definitivo danno da perdita dei denari investiti …’ (cfr., pag. 47), per questa ragione avendo perciò eliso l’aumento per la continuazione ‘interna’.
Per questa ragione la data dell’ultima erogazione di denaro in favore del COGNOME finisce con il determinare la consumazione di quello che, ai fini della individuazione delle conseguenze risarcitorie, è stato considerato quale reato unico e complessivo.
Nulla va liquidato a titolo di spese processuali in favore delle parti civili che, a prescindere dall’esito del giudizio, in cui NOME COGNOME è risultato soccombente, si sono limitate a trasmettere alla Cancelleria le proprie conclusioni con allegata la relativa notula senza, tuttavia, argomentare sulle questioni sollevate dal ricorrente (cfr., con specifico riferimento a ricorsi trattati dalla VII Sezione della Corte, con le forme di cui all’art. 610 cod. proc. pen., Sez. 7, n. 44280 del 13/09/2016, C., Rv. 268139-01; Sez. 7, n. 7425 del 28/01/2016, COGNOME, Rv. 265974-01; Sez. 7, n. 39902 del 05/07/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 7, n. 46288 del 05/11/2021, COGNOME, non mass.; in generale, Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020, COGNOME, Rv. 278834 -01; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713 – 01; Sez. 2, n. 24619 del 02/07/2020, Puma, Rv. 279551-01 secondo cui, nel giudizio di legittimità, quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di
natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione; da ultimo, v. Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286581 – 03, in cui si è affermato che nel giudizio di cassazione con trattazione orale non va disposta la condanna dell’imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l’allegazione di nota spese).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione ai capi A) e B) perché estinti per prescrizione.
Revoca le statuizioni civili in relazione al capo B) e conferma le statuizioni civili in relazione al capo A).
Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese processuali sostenute nel grado dalle parti civili NOME, COGNOME NOME e NOME. Così è deciso, 06/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME