Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9154 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 9154  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE – parte civile – nel procedimento a carico di:
 NOME COGNOME, nata DATA_NASCITA a Napoli
 COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Merano
avverso la sentenza del 08/03/2023 della Corte di appello di Trento
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Bolzano, con sentenza emessa in data 10 marzo 2019: dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME e NOME COGNOME in ordine al reato di cui al capo 1) (truffa aggravata e continuata che il Tribunale affermava incidentalmente potere al più integrare gli estremi dell’appropriazione indebita aggravata e continuata), limitatamente alle condotte verificatesi fino al 18 marzo 2011, perché i reati erano estinti per prescrizione; – assolveva NOME e COGNOME dal predetto reato, quanto alle condotte successive fino all’aprile 2014, perché il fatto non sussiste; – dichiarava non doversi procedere nei confronti di COGNOME in ordine al reato di cui al capo 2) (una ulteriore truffa aggravata e continuata, riqualificata come appropriazione indebita aggravata e continuata), limitatamente alle condotte verificatesi fino al 21 aprile 2011, perché i reati erano estinti per prescrizione; – dichiarava COGNOME colpevole del predetto reato, come riqualificato, quanto alle condotte successive fino al novembre 2012, perché il fatto non sussiste, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, con le statuizioni accessorie anche in favore della parte civile.
Nei confronti di detta sentenza proponevano appello COGNOME, la parte civile e il P.M.
1.1. La Corte di appello di Trento, sez. distaccata di Bolzano, con sentenza del 23 luglio 2020, in parziale riforma della decisione di primo grado: dichiarava estinti per prescrizione tutti i reati contestati commessi fino al 2 lugli 2012; – dichiarava gli imputati colpevoli di concorso nel reato di cui al capo 1), come originariamente contestato, limitatamente alle condotte verificatesi nel periodo dal 3 luglio 2012 al 30 giugno 2013, condannando ciascuno alla pena ritenuta di giustizia, con le statuizioni accessorie, nonché entrambi in solido agli effetti civili; – confermava la condanna di COGNOME in ordine al reato di cui al capo 2), come riqualificato dal Tribunale.
La predetta sentenza, impugnata disgiuntamente da entrambi gli imputati, era annullata senza rinvio da questa Corte nei confronti di COGNOME limitatamente al reato di cui al capo 2) perché il reato era estinto per prescrizione con conferma delle statuizioni civili. Veniva invece annullata nei confronti di NOME e COGNOME limitatamente al reato di cui al capo 1) con rinvio alla Corte d’appello (penale) di Trento per nuovo giudizio. Da un lato la Suprema Corte rilevava che l’intervenuta riforma in appello del verdetto assolutorio pronunciato dal Tribunale in ordine al reato di cui al capo 1) ascritto agli imputati in concorso fondava su una mutata (ma soltanto parziale e per tale ragione
illegittima) valutazione delle prove acquisite, derivandone, in difetto della necessaria motivazione rafforzata, l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio. Dall’altro si dava atto che il termine prescrizionale (pur computati 201 giorni di sospensione) era interamente decorso. Tuttavia, malgrado la sussistenza della causa estintiva, la presenza della parte civile e la sottesa istanza risarcitoria comportavano che, in presenza di vizi della motivazione della sentenza impugnata, il proscioglimento nel merito dovesse ritenersi prevalente rispetto alla immediata declaratoria della causa di non punibilità con i limiti di cui all’ar 129 cod. proc. pen.
La Corte di appello di Trento, investita del giudizio di rinvio nei limiti d disposto annullamento, confermava la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Bolzano, condannando altresì la parte civile al pagamento delle spese dei gradi di appello, cassazione e rinvio.
La Corte premetteva un inquadramento degli accordi contrattuali tra 1-a dott.ssa NOME e l’RAGIONE_SOCIALE. La prima aveva sottoscritto con la struttura contratti in base ai quali la stessa assumeva la funzione di direttrice sanitaria del dipartimento di medicina estetica e sottoponeva i clienti a cure medico-estetiche da somministrarsi all’interno del reparto dedicato. Il contratto prevedeva che la società avrebbe incassato dai pazienti il prezzo per le cure prestate, per le materie prime e per i prodotti utilizzati e che il corrispettivo del medico sarebbe stato pari, al netto del costo dei prodotti, a una percentuale di quanto pagato dai clienti.
I giudici di appello rappresentavano poi che, dal novembre 2010 (e fino al luglio 2012), tale accordo aveva subito una modifica, nel senso che a NOME da quel momento era consentito incassare direttamente i pagamenti riferibili a trattamenti di biorivitalizzazione, essendo stata posta la questione della non titolarità, da parte della struttura, dell’autorizzazione sanitaria necessaria trattandosi di attività legate al prelievo di sangue. Secondo quanto argomentato dalla Corte, a tale modifica andava riconosciuta valenza novativa, dal momento che il medico da quel momento aveva agito in nome proprio e nel proprio interesse, e non più per conto della società. Ne derivava che da tale data i contratti di prestazione d’opera erano intercorsi tra gli utenti e il medico, non essendo riferibili alla struttura alberghiera, né potendo considerare la professionista quale semplice mandataria all’incasso. Le condotte illecite avevano avuto quale scopo non quello di appropriarsi delle somme ricevute in esecuzione del contratto, bensì l’ottenimento dell’indebito vantaggio di non renderle palesi alla struttura. Donde l’esclusione della rilevanza delle condotte decettive (manipolazione e alterazione dei programmi gestionali) ai fini della integrazione
del reato di truffa, collocandosi le medesime in un momento in cui il singolo rapporto contrattuale aveva ormai esaurito i suoi effetti.
Né tantomeno poteva ritenersi configurabile il reato di appropriazione indebita, non potendo affermarsi che il medico, non riversando alla società le somme incassate, avesse posto in essere un atto di interversione del possesso, potendo semmai tale condotta inquadrarsi in un illecito di natura civilistica.
Sotto diverso profilo, la Corte riteneva che non fosse stata raggiunta la prova che NOME avesse incassato direttamente anche importi relativi a prestazioni diverse dal trattamento di biorivitalizzazione, di tal che non era possibile diversificare e distinguere tali introiti rispetto a quelli per i quali intervenuta la modifica del regolamento contrattuale nel novembre 2010.
Il difensore della parte civile ha proposto ricorso per cassazione avverso detta pronuncia, chiedendone l’annullamento e censurando:
4.1. la violazione di legge per avere ritenuto che la condotta contestata al capo 1) non debba essere sussunta nel novero della truffa contrattuale in fase esecutiva. La Corte territoriale, attribuendo efficacia novativa all’accordo del novembre 2010, ha ritenuto che le condotte decettive non integrassero la fattispecie di truffa. Viceversa, e comunque a prescindere dalla portata novativa o meno del citato accordo, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l’arco temporale in cui possono proiettarsi le condotte truffaldine si presta a comprendere gli sviluppi dell’accordo negoziale fino all’esaurimento dei suoi effetti, ovvero l’intero periodo di efficacia del medesimo. Del resto, la deroga al sistema di incasso aveva fatto sorgere fra le parti un rapporto di reciproci debiti e crediti per i quali operava la compensazione legale (avendo ad oggetto somme di denaro ed essendo egualmente liquidi ed esigibili). Attraverso l’occultamento delle somme direttamente incassate, la professionista impediva di conseguenza anche l’operare della compensazione, ottenendo così, in concorso con l’amministratore delegato, prestazioni altrimenti non dovute. Sotto diverso profilo, deve ritenersi che anche il silenzio, tenuto maliziosamente su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni, integri l’element del raggiro, così come, ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo, i proposito fraudolento non deve essere necessariamente antecedente o coevo alla stipulazione del contratto;
4.2. il vizio di motivazione allorché da un lato si indica quale scopo delle illecite condotte concorrenti degli imputati l’ottenimento dell’indebito vantaggio di non rendere palesi alla struttura le somme incassate da NOME in esecuzione del contratto, escludendo dall’altro che ciò fosse preordinato all’appropriazione delle medesime, quando invece il vantaggio (indebito)
consisteva nell’avere trattenuto la quota parte degli incassi di pertinenza della società;
4.3. il vizio di motivazione quanto alla ritenuta esistenza e validità giuridica dell’accordo, cui viene attribuita anche efficacia novativa circa le modalità di incasso delle prestazioni, sulla base della dichiarazione scritta datata 8 luglio 2014. A prescindere dalla efficacia della dichiarazione essa è comunque circoscritta al periodo dicembre 2010-luglio 2012, né varrebbe a scriminare l’occultamento di incassi per prestazioni diverse dai trattamenti di biorivitalizzazione. Quanto all’efficacia novativa, la motivazione è carente, giacché l’art. 6 del contratto dimostra che esso è invece univocamente diretto a delegare effettuazione, fatturazione e incasso delle prestazioni a 1-l-a NOME;
4.4. il vizio di motivazione con riguardo alla circostanza che la condotta contestata avrebbe avuto ad oggetto unicamente i trattamenti di biorivitalizzazione, quando invece è emerso dalle risultanze processuali che vi fossero altre tipologie di prestazione sottratte fraudolentemente alla fatturazione, come in parte ammesso dagli stessi imputati.
5. Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
Il difensore della imputata NOME ha depositato, in data 2 febbraio 2024, memoria di replica, chiedendo il rigetto del ricorso ed evidenziando che le sentenze di merito hanno chiarito che la condotta contestata alla NOME e allo COGNOME di cancellare dal computer le prestazioni mediche fornite era finalizzata a non contabilizzare quanto era stato incassato; essa di contro non serviva a procurarsi il profitto dai clienti, che elargivano legittimamente le somme versate. Sotto diverso profilo, in relazione al motivo di ricorso relativo al vizio d motivazione quanto alla insussistenza del reato di appropriazione indebita, rappresentava che le pronunce di merito avevano chiarito che 1a NOME NOME NOME come semplice prestatrice d’opera nell’interesse della società, né era una semplice delegata all’incasso, per cui, sulle somme percepite, non poteva gravare ab origine un vincolo di successiva destinazione pro quota alla parte civile. Donde non è mai intervenuta alcuna interversione del possesso, non essendovi stata mai un’originaria destinazione.
In data 5 febbraio 2024 il difensore della parte civile ha presentato conclusioni scritte, con le quali insiste per l’annullamento della sentenza impugnata, e nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.  Il ricorso della parte civile è fondato.
Il percorso argomentativo sviluppato dalla sentenza impugnata, che ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha escluso la configurabilità della fattispecie di truffa contrattuale, non appare coerente con l’indirizzo interpretativo espresso in materia dalla giurisprudenza di legittimità.
Come osservato dalla RAGIONE_SOCIALE ricorrente, la possibilità di configurare il delitto di truffa nella fase esecutiva del contratto è stata affermata da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha evidenziato che l’induzione in errore, mediante raggiro o artifizio, sussiste non solo quando il contraente pone in essere, originariamente, l’attività fraudolenta, ma anche quando il di lui comportamento, diretto a ingenerare errore, si manifesti successivamente, nel corso cioè dell’esecuzione contrattuale, in rapporto di causalità con il verificarsi del danno e dell’ingiusto profitto (Sez. 2, n. 4846 del 01/02/1974,Tartaglia, Rv. 127456). Successivamente, è stato rappresentato che nei contratti sottoposti a condizione, ovvero in quelli ad esecuzione differita o che non si esauriscono in un’unica prestazione, è configurabile il reato di truffa nel caso in cui gli artifici raggiri siano posti in essere anche dopo la stipula del contratto e durante la fase di esecuzione di esso, al fine di conseguire una prestazione altrimenti non dovuta o di far apparire verificata la condizione (Sez. 2, n. 29853 del 23/06/2016, Prattichizzo, Rv. 268074). Ancor più recentemente si è affermato che l’arco temporale in cui possono proiettarsi le condotte truffaldine si presta senz’altro a comprendere gli sviluppi dell’accordo negoziale fino all’esaurimento dei suoi effetti, ovvero l’intero periodo di efficacia del medesimo. A tanto consegue che la truffa contrattuale può configurarsi finché il contratto sia in esecuzione, potendo la condotta illecita dispiegarsi per tutto il lasso temporale d’efficacia negoziale, di significativa durata soprattutto in relazione ai c.d. contratti di lungo termine, caratterizzati da una fisiologica sfasatura tra il momento di conclusione dell’accordo e l’esaurimento dei suoi effetti, quali i contratti ad esecuzione periodica o continuata, i contratti istantanei ad esecuzione differita e i contratti sottoposti a condizione. Alla dilatazione della fase esecutiva del contratto corrisponde lo spostamento del momento consumativo della truffa al compimento dell’ultimo atto dannoso, dando rilevanza a tutte le condotte fraudolente che lo precedono e allo stesso avvinte da nesso di derivazione causale (Sez. 2, n. 5046 del 17/11/2020, dep. 2021, Cantone, Rv. 280563). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sotto diverso profilo, deve altresì rilevarsi che, in tema di truff contrattuale, il silenzio può essere sussunto nella nozione di raggiro quando non si risolve in un semplice silenzio-inerzia, ma si sostanzia, in rapporto alle concrete circostanze del caso, in un “silenzio espressivo”, concretizzandosi in un comportamento concludente idoneo ad ingannare la persona offesa (Sez. 2, n. 46209 del 03/10/2023, Alfonso, Rv. 285442; Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, C., Rv. 275463).
Va peraltro condiviso il rilievo della ricorrente secondo cui nel caso di specie, è anche rilevabile una condotta commissiva sostanziatasi nella manomissione di programmi gestionali e di dati contabili al fine di occultare l’insorgenza del diritto della società alla percentuale di spettanza, precludendo nel contempo l’esercizio delle ragioni a tutela dei propri diritti.
Si osserva inoltre che il mutamento della regolamentazione negoziale secondo cui era la stessa NOME a fatturare e incassare i corrispettivi dai clienti non comporta necessariamente la irrilevanza delle condotte illecite ai fini della consumazione della fattispecie di truffa, dal momento che le condotte decettive realizzate al fine di dissimulare gli incassi conseguiti si sono concretizzate in un comportamento concludente idoneo ad ingannare la persona offesa e possono porsi in rapporto di causalità con il verificarsi del danno e dell’ingiusto profitto. In tal senso sono condivisibili i rilievi della parte ricorren proposito della incidenza di tali condotte sulla operatività della compensazione tra i rispettivi debiti e crediti.
In conclusione, l’apprezzamento in fatto e in diritto del materiale probatorio acquisito risulta affetto da un serio deficit valutativo, che ne vulnera il necessario rigore logico.
Risultano pertanto fondate le censure della parte civile, attesa l’erroneità e l’insufficienza dei parametri di giudizio adottati, non dotati di adeguata capacità ricostruttiva ed esplicativa dei fatti contestati agli imputati.
Ne deriva l’annullamento della sentenza impugnata che, trattandosi di caducazione in accoglimento esclusivo del ricorso della parte civile per i soli effetti della responsabilità civile, comporta, ai sensi degli artt. 576 e 622 cod. proc. pen., il rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello (sezione civile della Corte di appello di Trento), cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
La statuizione che precede assorbe le ulteriori doglianze della medesima parte civile.
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Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso il 13/02/2024