Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12427 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12427 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nata a Foggia il 18/12/1967
COGNOME NOMECOGNOME nato a Foggia il 15/04/1969
COGNOME NOMECOGNOME nato a Foggia il 19/12/1966
avverso la sentenza del 24/09/2024 della Corte d’appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano accolti limitatamente alle posizioni di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, con rinvio alla Corte d’appello di Roma per un nuovo giudizio e che il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME sia dichiarato inammissibile;
letta la memoria dell’Avv. NOME COGNOME difensore della parte civile COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona della legale rappresentante pro tempore COGNOME COGNOME il quale, dopo avere argomentato in ordine all’unico motivo dei ricorsi di COGNOME Rosa e COGNOME NOME, ha affermato di «rimette alla Corte di cassazione la valutazione della fondatezza dei ricorsi presentati nell’interesse d COGNOME Rosa e COGNOME Antonio»;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/09/2024, la Corte d’appello di Torino confermava la sentenza del 05/10/2022 del Tribunale di Torino, emessa in esito a giudizio ordinario, con la quale NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condannati: a) alla pena, rispettivamente, di due anni, due mesi e venti giorni di reclusione ed € 889,00 di multa i primi due (NOME COGNOME e NOME COGNOME) e di un anno e due mesi di reclusione ed € 467,00 di multa il terzo (NOME COGNOME), per i reati, commessi in concorso tra loro e unificati dal vincolo della continuazione, di sostituzione di persona e di truffa pluriaggravati (dall’avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità e dall’avere commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera) ai danni di RAGIONE_SOCIALE; b) risarcimento, in favore di tale società, che si era costituita parte civile, dei dan patrimoniali e non patrimoniali a essa cagionati dai reati, da liquidarsi in separato giudizio; c) al pagamento, sempre in favore di NOME RAGIONE_SOCIALE, di una provvisionale immediatamente esecutiva di € 1.556.861,42.
Avverso tale sentenza del 24/09/2024 della Corte d’appello di Torino, hanno proposto ricorsi per cassazione, per il tramite dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
I ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, proposti con un unico atto a firma dell’avv. NOME COGNOME, sono affidati a un unico motivo, con il quale ricorrenti deducono, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 178, comma 1, lett. c), 179 e 601, commi 1 e 5, dello stesso codice, e la conseguente nullità della sentenza «per assenza del difensore di fiducia e degli imputati all’udienza di appello a causa dell’omessa citazione degli stessi».
Sotto un primo profilo, i ricorrenti lamentano che le notifiche degli avvisi di fissazione del giudizio di appello sarebbero state eseguite non al loro difensore, l’avv. NOME COGNOME che era stato da loro nominato con atto depositato presso il Tribunale di Torino il 24/11/2021 e che aveva la pec (indicata nello stesso atto di nomina) avvEMAIL , ma a un altro avvocato, l’avv. NOME COGNOME (e non NOME COGNOME), che aveva la diversa pec avv.EMAIL , alla quale i suddetti avvisi furono erroneamente inviati il 24/05/2024.
I ricorrenti rappresentano che, solo successivamente a tale errata notificazione, l’avv. NOME COGNOME era deceduto (il 16/07/2024).
Sotto un secondo profilo, i ricorrenti lamentano che anche le notifiche della citazione di essi imputati per il giudizio di appello sarebbero state effettuate, a sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., «non al difensore nominato bensì ad altro avvocato (quasi omonimo)».
NOME COGNOME e NOME COGNOME concludono che, poiché, pertanto, da un lato, il difensore da loro nominato non aveva potuto svolgere alcuna attività difensiva in vista dell’udienza davanti alla Corte d’appello di Torino, atteso che non era stato informato della fissazione di tale udienza, e, dall’altro lato, anche la notifica lor destinata era stata eseguita presso un altro difensore, si sarebbe determinata una nullità assoluta «con tutte le conseguenze di legge».
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 125, comma 3, e 546, commi 1, lett. e), e 3, dello stesso codice, la mancanza della motivazione con riguardo all’affermazione della sua responsabilità per il reato di truffa.
Dopo avere riassunto il contenuto del primo motivo del suo atto di appello e dopo avere trascritto le argomentazioni che sono state sviluppate dalla Corte d’appello di Torino alle pagg. 9-10 della sentenza impugnata a dimostrazione dell’«intento fraudolento degli imputati sin dall’inizio della relazione commerciale con la RAGIONE_SOCIALE», il ricorrente deduce che tali argomentazioni non consentirebbero di ritenere provato il reato di truffa, in relazione alla sua posizione, e non sarebbero idonee a superare le censure che egli aveva sollevato con il proprio atto di appello.
Con riguardo alle argomentazioni sviluppate dalla Corte d’appello di Torino nel primo periodo del terzo capoverso e nel quarto capoverso della pag. 9 della sentenza impugnata, il COGNOME contesta che esse non spiegherebbero per quale motivo le circostanze che NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano fornito delle generalità false, spacciandosi per i titolari dell’impresa individuale COGNOME NOMECOGNOME e NOME COGNOME aveva sottoscritto degli assegni firmandoli come NOME COGNOME «costituiscano espedienti idonei ad indurre in errore la persona offesa, a distanza di molti mesi, dopo numerosi ed ingenti quantitativi di carne acquistata regolarmente, per oltre due milioni di euro». Ad avviso del ricorrente, dalle stesse circostanze si ricaverebbe piuttosto che «gli ipotizzati artifici e raggir (costituiti dal fatto che gli ordini vennero eseguiti materialmente dal COGNOME, spacciandosi per il COGNOME) non furono finalizzati ad alcuna induzione in errore, e gli stessi determinarono, esclusivamente, il perfezionamento di numerosi acquisti di carne, regolarmente pagati, peraltro per un importo complessivo considerevole».
Con riguardo all’argomentazione sviluppata dalla Corte d’appello di Torino nel penultimo capoverso della pag. 9 della sentenza impugnata secondo cui «il regolare pagamento delle prime forniture a mezzo bonifico bancario era la condicio sine qua non affinché la RAGIONE_SOCIALE continuasse a consegnare le carni», il
COGNOME contesta che «MI normale pagamento di merce per un periodo considerevole non implica necessariamente che l’adempimento è, necessariamente, una condicio sine qua non per la commissione di successive operazioni illecite o futuri inadempimenti», atteso che «tale assunto costituisce una mera possibilità, e risulta generico».
Il COGNOME afferma poi che le carenze motivazionali della sentenza impugnata risulterebbero ancora più evidenti alla luce di quanto egli aveva rappresentato nel proprio atto di appello in ordine al fatto che la ricostruzione che era stata operata dal Tribunale di Torino non sarebbe stata «compatibile con il periodo antecedente all’inadempimento, dal maggio 2018 al novembre 2018, in cui tutti gli ordini sono stati pagati, e, ancora, che si è trattato di un periodo di difficoltà economica, che alla fine non è riuscito a superare (certificato dal fallimento della ditta individua ad egli riferibile, verificatosi nel 2021 )».
Il ricorrente evidenzia altresì che, sempre nel proprio atto di appello, aveva anche precisato che «RAGIONE_SOCIALE ben conosceva le difficoltà economiche in cui versava alla fine di novembre 2018, tanto che faceva pervenire, alla stessa Società, nel periodo dell’inadempimento, anche delle buste, consegnate ad ogni carico di merce, tramite il vettore RAGIONE_SOCIALE, ovvero il teste COGNOME che ha confermato la circostanza». Buste le quali «contenevano verosimilmente titoli di credito (assegni postdatati, emessi con il placet della RAGIONE_SOCIALE ed anche denaro contante, circostanza, quest’ultima che risulta invece superata dalla Corte di Appello solo per il travisamento della prova».
La Corte d’appello di Torino non si sarebbe confrontata con tali specifici rilievi formulati con l’atto di appello né, tantomeno, li avrebbe superati, essendosi piuttosto trincerata dietro generiche affermazioni.
Con riguardo all’argomentazione sviluppata dalla Corte d’appello di Torino nell’ultimo capoverso della pag. 9 della sentenza impugnata, il COGNOME contesta che essa non spiegherebbe perché dal mancato incasso di alcuni titoli che erano stati rilasciati a RAGIONE_SOCIALE in pagamento di forniture successive al 28 novembre 2018 si dovrebbe desumere che «le inadempienze siano state dolosamente preordinate dal COGNOME (di concerto con gli altri coimputati) per truffare la società fornitrice». Il ricorrente rappresenta ancora al riguardo che le censure che egli aveva avanzato con il proprio atto di appello erano incentrate «sulla distinzione tra i due periodi, il primo, caratterizzato dall’adempimento (maggio-novembre 2018), e il secondo (fine novembre-dicembre 2018), contraddistinto da difficoltà economiche, che hanno causato la consegna di titoli postdatati ed anche denaro contante e poi il mancato pagamento delle ultime partite di carne, fermo restando che i fratelli COGNOME ben conoscevano le difficoltà del COGNOME, e che gli stessi, nonostante tutto, accordavano ulteriori forniture di merce, accettando, quale
“compensazione per il ritardo”, proprio quelle “buste” di cui il Lippolis ha confermato l’esistenza e la consegna proprio agli stessi COGNOME».
Con riguardo all’argomentazione sviluppata dalla Corte d’appello di Torino nel primo paragrafo della pag. 10 della sentenza impugnata, con la quale la stessa Corte d’appello ha confutato la tesi della difesa degli imputati secondo cui l’inadempimento sarebbe dipeso da una momentanea carenza di liquidità, il COGNOME contesta che tale argomentazione riguarderebbe non lui ma gli altri due coimputati e che essa, in ogni caso, non indicherebbe le ragioni per le quali si dovrebbe necessariamente desumere «uno specifico, risalente prolungato accordo illecito tra i tre coimputati, e quindi la prova certa della sussistenza del reat contestato».
Il ricorrente conclude che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe, pertanto, «meramente narrativa, e non dimostrativa, poiché priva di un logico ed autonomo apparato argomentativo in grado di superare le specifiche censure dell’appellante».
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 125, comma 3, e 546, commi 1, lett. e), e 3, dello stesso codice, la mancanza della motivazione con riguardo «alla mancata qualificazione della condotta contestata nel reato di insolvenza fraudolenta, con riferimento al periodo di merce impagata».
Dopo avere premesso che tale periodo era iniziato alla fine di novembre 2018 a causa di difficoltà economiche, tanto che la propria impresa individuale era stata poi dichiarata fallita dal Tribunale di Foggia nel 2021, il COGNOME contesta la motivazione con la quale la Corte d’appello di Torino ha negato l’invocata riqualificazione giuridica del fatto, lamentando che tale motivazione sarebbe «generica e comunque insufficiente per ritenere provato l’assunto accusatorio», in quanto non spiegherebbe perché il menzionato fallimento dell’impresa individuale COGNOME Antonio nel 2021 «non sarebbe indicativ di un pregresso stato di sofferenza e quindi di insolvenza, della stessa società, iniziato alla fine del 2018».
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente contesta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 125, comma 3, 539, 540 e 546, comma 3, dello stesso codice, nonché all’art. 165 cod. pen., la mancanza della motivazione con riguardo «alla concessione di una provvisionale, peraltro immediatamente esecutiva, in assenza dei presupposti di legge nonché erroneamente quantificata».
Il COGNOME denuncia l’«errore di calcolo» nel quale sarebbero incorsi i giudici del merito nel liquidare tale provvisionale nell’importo di € 1.556.861,42.
Secondo il ricorrente, tale importo sarebbe stato determinato «sommando i titoli di credito rimasti impagati, e , pertanto, dovrebbe corrispondere ai tit
allegati alla querela , i quali dovrebbero, a loro volta, coincidere con quel indicati nella sentenza» di primo grado.
Il COGNOME deduce che, tuttavia, l’indicato importo di C 1.556.861,42 «è superiore rispetto alla somma degli importi indicati nei singoli assegni», come risulterebbe sommando gli importi che sono indicati sui titoli elencati alla pag. 5 della sentenza di primo grado, il cui totale ammonterebbe al minore importo di C 1.461.447,06.
4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente contesta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 125, comma 3, 539 e 546, comma 3, dello stesso codice, nonché all’art. 165 cod. pen., il travisamento della prova costituita dalle dichiarazioni del testimone COGNOME, trasportatore della società RAGIONE_SOCIALE incaricato del trasporto della carne dal Piemonte (dove aveva sede RAGIONE_SOCIALE) alla Puglia (dove aveva sede l’impresa individuale COGNOME NOMECOGNOME
Il COGNOME lamenta in particolare che la Corte d’appello di Torino, con l’affermare che, «quando ha parlato di pagamento per contanti, COGNOME si riferiva a quelli effettuati da COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE . Non vi è quindi il minimo elemento per sostenere che le pp.00. non disdegnavano pagamenti in nero» (pag. 10 della sentenza impugnata), la Corte d’appello di Torino avrebbe travisato le dichiarazioni del COGNOME, atteso che questi, alla domanda del pubblico ministero «lei come veniva pagato dal COGNOME?», aveva risposto «pagava direttamente l’azienda» (cioè RAGIONE_SOCIALE), «non lo so come pagava l’azienda».
Dalle dichiarazioni del COGNOME risultava pertanto che le buste che «da un certo punto in poi» gli venivano consegnate dal COGNOME erano dirette a NOME RAGIONE_SOCIALE (e non a RAGIONE_SOCIALE) e che lo stesso COGNOME non sapeva come RAGIONE_SOCIALE venisse pagata.
Vi sarebbe, perciò, un travisamento delle dichiarazioni del COGNOME atteso che, attribuendo alle stesse il loro effettivo significato, dovrebbe «necessariamente concludersi che la RAGIONE_SOCIALE almeno da un certo punto in poi, iniziava ad accettare in pagamento delle “buste”, e che le buste stesse contenevano verosimilmente non solo titoli, ma anche denaro contante».
Secondo il COGNOME, che le suddette buste «contenevano denaro contante» risulterebbe sempre dalle dichiarazioni del COGNOME, atteso che questi, alla domanda del difensore della parte civile «ma come fa a sapere che erano soldi ?», aveva risposto «dottore, non è che ci vuole la zingara per indovinare, non è il primo giorno che faccio sto’ lavoro io eh, cioè sono trent’anni e non è il primo che mi dice mi porti sta’ busta, mi porti sto’ pacco».
Ne discenderebbe che RAGIONE_SOCIALE ben sapeva, a partire “da un certo punto in poi” (ovvero dal 28.11.2018) che il Bracone era in difficoltà nel regolare
i pagamenti di carne. Inoltre la stessa società “non disdegnava” pagamenti in nero. L’opposto di quanto sostenuto dalla Corte di Appello».
Quanto esposto varrebbe a confutare: a) sia la sussistenza del reato di truffa, atteso che, interpretando correttamente le dichiarazioni del COGNOME – poiché da esse risultava che le persone offese ben sapevano che l’impresa individuale COGNOME Antonio, all’atto degli ordini di carne a partire da fine novembre 2018, era in difficoltà economica, «accettando anche assegni post-datati, accompagnati da denaro contante» -, «non è possibile sostenere che la presunta vittima è stata indotta in errore»; b) sia la concessione della provvisionale, la quale sarebbe stata quantificata erroneamente non solo per l’errore di calcolo che è stato evidenziato con il terzo motivo «ma anche perché dalla somma accordata a titolo di provvisionale non risulta detratto quanto pagato per contanti dal COGNOME, tramite le citate buste».
4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 62-bis e 133 cod. pen., il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il COGNOME contesta la motivazione con la quale La Corte d’appello di Torino ha confermato il diniego del riconoscimento di tali circostanze attenuanti (in particolare, l’argomentazione che è esposta dalla Corte d’appello nel quartultimo capoverso della pag. 12 della sentenza impugnata) e deduce al riguardo che: a) la sua mancata partecipazione al processo «è una legittima scelta che non può incidere negativamente»; b) l’entità del danno cagionato alle persone offese «non è affatto pacifica», «considerato che lo stesso è stato in maniera erronea ed eccedente rispetto alla documentazione in atti e a quella indicata in sentenza»; c) la mancanza di iniziative risarcitorie non costituisce necessariamente un sintomo di mancato ravvedimento dell’imputato, atteso che nel corso del dibattimento era emerso il fallimento della sua impresa individuale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo dei ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME è fondato nel suo primo profilo, con assorbimento dell’esame del suo secondo profilo.
Dall’esame degli atti del processo – il quale, essendo stato denunciato un error in procedendo, non solo è possibile ma è doveroso -, risulta che: a) con dichiarazione di nomina del 23/11/2021, depositata presso il Tribunale di Torino il 24/11/2021, NOME COGNOME e NOME COGNOME nominarono proprio difensore di fiducia l’avv. NOME COGNOME; b) in questo atto di nomina era indicata la pec di tale difensore avv.EMAIL ; c) la notifica degli avvisi dell’udienza per il giudizio di appello fu eseguita alla pec avvEMAIL
d) come risulta dall’estratto dell’Albo degli avvocati, pubblicato dall’Ordine degli avvocati, che è stato prodotto dai ricorrenti, tale pec avvEMAIL è in realtà attribuita a un altro difensore, l’avv. NOME COGNOME (e non NOME COGNOME), il quale è nato a Bologna il 24/11/1974 e ha lo studio in Lucera, laddove il difensore di fiducia degli imputati avv. NOME COGNOME era nato a Napoli il 15/09/1943 e aveva il proprio studio in Foggia.
Da ciò risulta pertanto l’omissione della notificazione dell’avviso dell’udienza per il giudizio di appello al difensore di fiducia che era stato nominato dai due imputati, con la conseguente nullità assoluta, ai sensi degli artt. 178, comma 1, lett. c), e 179, comma 1, cod. proc. pen., di tale giudizio (Sez. U, n. 24630 del 26/03/2015, NOME, Rv. 263598-01) e, quindi, della sentenza impugnata che da esso dipende.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché è proposto per dei motivi non consentiti o manifestamente infondati.
2.1. Il primo e il quarto motivo, quest’ultimo nella parte in cui, con esso, si contesta l’affermazione di responsabilità per il reato di truffa, attenendo entrambi a tale affermazione di responsabilità, possono essere esaminati congiuntamente.
Il primo motivo non è consentito e il quarto motivo è manifestamente infondato.
2.1.1. Costituisce un orientamento consolidato della Corte di cassazione quello secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorr la cosiddetta “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le tante: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 25261501).
È parimenti consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, COGNOME
Rv. 280155-01; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018-01; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837-01).
Costituisce, ancora, un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione – e anch’esso, come i precedenti, condiviso dal Collegio – quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME Rv. 28074701; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
Non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362-01).
2.1.2. Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, la fattispecie in esame rinvia all’ipotesi della cosiddetta truffa contrattuale.
Al riguardo, la stessa Corte di cassazione ha chiarito che la cosiddetta truffa contrattuale ricorre in tutti i casi nei quali l’agente abbia posto in essere artifici raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, aventi a oggetto aspetti negoziali (anche collaterali, accessori o esecutivi) rilevanti a tale fine, e per ciò abbia tratto in inganno il soggetto passivo, che viene indotto a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe prestato (Sez. 2, n. 18778 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259964-01; Sez. 2, n. 47623 del 29/10/2008, COGNOME, Rv. 24229601; Sez. 2, n. 441 del 16/03/1966, Degortes, Rv. 102034-01).
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte di cassazione ha precisato che, nella truffa contrattuale, l’elemento che imprime al fatto dell’inadempienza dell’agente il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volont negoziale di uno dei due contraenti – determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo -, rivela contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria (Sez. 2, n. 39698 del 13/09/2019, COGNOME Rv. 277708-01; Sez. 2, n. 5801 del 18/11/2013, dep. 2014,
COGNOME, Rv. 258203-01; Sez. 2, n. 37859 del 22/09/2010, Bologna, Rv. 24890701).
2.1.3. Venendo alla fattispecie concreta, la Corte d’appello di Torino ha diffusamente e congruamente argomentato in ordine agli artifici e raggiri che erano stati compiuti dagli imputati al fine di determinare i rappresentanti della società RAGIONE_SOCIALE (in particolare, i fratelli NOME COGNOME e NOME COGNOME) a effettuare delle forniture di carne a loro favore, successivamente non pagate, e che si dovevano ritenere idonei a comprovare il dolo, cioè l’intento fraudolento, degli stessi imputati sin dall’inizio del rapporto commerciale da essi intavolato con RAGIONE_SOCIALE
Anzitutto, l’utilizzo di false generalità da parte dei coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali si erano presentati ai fratelli COGNOME come i titola dell’impresa individuale COGNOME NOME (in particolare: NOME COGNOME si era presentato come NOME COGNOME e NOME COGNOME si era presentata come NOME COGNOME), condotta che veniva del tutto logicamente intesa dalla Corte d’appello di Torino come dolosamente diretta a ingenerare fiducia nei COGNOME, in quanto, mentre l’impresa individuale COGNOME NOME era attiva sin dal lontano 15/02/1993 (data della sua iscrizione alla Camera di commercio) e non presentava segnalazioni negative, l’impresa RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Rosa non era neppure autorizzata a svolgere l’attività di deposito carni. La Corte d’appello di Torino ha altresì rilevato, in modo parimenti logico, come nessun’altra spiegazione si potesse dare al fatto che, come era stato riferito da NOME COGNOME, NOME COGNOME sottoscrivesse gli assegni dati in pagamento a COGNOME RAGIONE_SOCIALE firmandosi come NOME COGNOME, essendo una tale condotta del tutto estranea a qualsiasi normale relazione commerciale.
In secondo luogo, la Corte d’appello di Torino ha argomentato come, in tale contesto, anche il regolare pagamento della prime forniture di carne mediante bonifico bancario si dovesse ritenere anch’esso dolosamente diretto a guadagnare la fiducia dei COGNOME – la quale sarebbe inevitabilmente venuta subito meno se le prime forniture non fossero state regolarmente pagate, con la conseguente immediata cessazione del rapporto commerciale -, così da indurli a effettuare le successive forniture dietro pagamenti con mezzi diversi dal bonifico (id est: assegni).
A proposito di tale argomentazione, si deve rammentare il principio, che è stato affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui, in tema di truffa contrattuale commessa mediante la compravendita di merci, il raggiro può essere integrato da una serie preordinata di acquisti successivi, dapprima per importi regolarmente onorati, in modo da ingenerare nel venditore l’erroneo convincimento di trovarsi di fronte a un contraente solvibile e degno di credito, e
poi per ulteriori importi che non vengono invece pagati, purché l’inadempimento degli obblighi contrattuali sia l’effetto di un precostituito proposito fraudolento desumibile in base alle caratteristiche del fatto, e l’eventuale mancanza di diligenza o di prudenza da parte della persona offesa non esclude la idoneità del mezzo, in quanto determinata dalla fiducia che l’agente ha saputo conquistarsi presso la controparte contrattuale (Sez. 2, n. 23940 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279490-01; Sez. 2, n. 24499 del 07/05/2015, COGNOME, Rv. 264224-01).
In terzo luogo, la Corte d’appello di Torino ha valorizzato l’elemento che il pagamento delle forniture di carne effettuate da RAGIONE_SOCIALE a partire dalla fine del mese di novembre 2018 era stato simulato dagli imputati non solo con assegni che furono poi protestati per mancanza di fondi ma anche con assegni che erano stati protestati perché la firma non corrispondeva allo specimen o con assegni tratti su conti correnti intestati a persone del tutto estranee al rapporto contrattuale.
Si deve comunque rammentare come la Corte di cassazione abbia affermato il principio secondo cui integra il delitto di truffa la consegna in pagamento, all’esito di una transazione commerciale, di un assegno di conto corrente bancario postdatato, qualora vengano contestualmente fornite al prenditore rassicurazioni circa la disponibilità futura della necessaria provvista finanziaria (Sez. 2, n. 33441 del 21/07/2015, COGNOME, Rv. 264236-01; Sez. 2, n. 28752 del 18/06/2010, COGNOME, Rv. 247866-01).
In quarto luogo, la Corte d’appello di Torino ha logicamente argomentato come la tesi degli imputati secondo cui gli inadempimenti sarebbero dipesi da una momentanea carenza di liquidità risultasse incompatibile con le diverse scuse che erano state accampate al riguardo da NOME COGNOME e da NOME COGNOME i quali, a fronte delle rimostranze di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, avevano detto loro, sia per telefono sia per e-mail, una volta di avere subito un accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate che aveva bloccato i loro conti corrente, un’altra volta di avere problemi in banca legati all’assenza della loro funzionaria di fiducia.
La stessa Corte d’appello ha comunque sottolineato la costante rassicurazione, da parte dei due coimputati, della presenza di fondi sui conti correnti sui quali erano stati tratti gli assegni dati in pagamento a RAGIONE_SOCIALE
Tale motivazione della preordinata finalità ingannatoria e, quindi, fraudolenta degli indicati artifici e raggiri sin dall’inizio della relazione commerciale che er stata instaurata dagli imputati con RAGIONE_SOCIALE e della sussistenza, perciò, della contestata truffa contrattuale commessa mediante la compravendita della carne risulta, ad avviso del Collegio, del tutto priva di contraddizioni e di illogicit tanto meno manifeste.
A fronte di ciò, le doglianze che sono state avanzate dal ricorrente con il primo motivo, oltre a non considerare i fatti che sono stati valorizzati dalla Corte d’appello di Torino nel loro complesso, lungi dall’evidenziare dei vizi motivazionali che possano essere ricondotti a una delle categorie del vizio della motivazione che sono previste nella lett. e) del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen., appaiono piuttosto dirette a sollecitare una diversa valutazione del significato probatorio da attribuire alle diverse prove, per giungere a una diversa interpretazione dei suddetti fatti, a sé favorevole, il che, come si è detto nel punto 2.1.1, non è possibile fare in sede di legittimità.
2.1.4. È, invece, manifestamente infondato il quarto motivo, con il quale il ricorrente ha lamentato il travisamento delle dichiarazioni del testimone COGNOME
A proposito di tale motivo, si deve anzitutto osservare che il fatto che i rappresentanti di RAGIONE_SOCIALE avevano accettato in pagamento degli assegni postdatati, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, non significa affatto che «RAGIONE_SOCIALE ben sapeva, a partire “da un certo punto in poi” (ovvero dal 28.11.2018) che il COGNOME era in difficoltà nel regolare i pagamenti di carne».
Ciò in quanto: da un lato, il pagamento differito rispetto alla consegna della merce risponde a una diffusa prassi commerciale e non implica di per sé solo la consapevolezza, in capo a chi lo accetta, di una futura difficoltà di chi gli ha consegnato l’assegno postdato a fare fronte alla copertura di esso; dall’altro lato, e in ogni caso, l’asserita consapevolezza di NOME COGNOME e di NOME COGNOME delle difficoltà del COGNOME a fare fronte ai pagamenti risulta chiaramente smentita da quanto si è detto al punto 2.1.3 circa la ripetuta rassicurazione, da parte dei due coimputati, della presenza di fondi sui conti correnti sui quali erano stati tratti gli assegni dati in pagamento a RAGIONE_SOCIALE
In secondo luogo, quanto al fatto che, dalle dichiarazioni del testimone COGNOME, sarebbe risultato che le buste che gli venivano date dal COGNOME perché le consegnasse ai COGNOME contenevano, oltre ad assegni, anche denaro contante che avrebbe costituito un pagamento in nero delle forniture di carne, si deve osservare come la risposta del COGNOME alla domanda del difensore della parte civile «ma come fa a sapere che erano soldi ?» «dottore, non è che ci vuole la zingara per indovinare, non è il primo giorno che faccio sto’ lavoro io eh, cioè sono trent’anni e non è il primo che mi dice mi porti sta’ busta, mi porti sto’ pacco», appare il frutto di una mera illazione dello stesso testimone, il quale non ebbe evidentemente modo di vedere cosa effettivamente ci fosse all’interno delle menzionate buste, che ben potevano contenere esclusivamente assegni o altri documenti e non denaro.
Ne discende la palese inidoneità del denunciato travisamento delle dichiarazioni del testimone COGNOME a disarticolare il ragionamento probatorio della Corte d’appello di Torino e a rendere illogica la motivazione con la quale la stessa Corte d’appello, sulla base del complesso degli elementi e delle logiche argomentazioni che si sono viste al punto 2.1.3, ha ritenuto l’integrazione del reato di truffa che era stato contestato all’imputato.
2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell’insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell’agente (Sez. 5, n. 44659 del 21/10/2021, COGNOME, Rv. 282174-01; Sez. 7, n. 16723 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 263360-01; Sez. 2, n. 45096 del 11/11/2009, COGNOME, Rv. 245695-01).
La Corte d’appello di Torino ha fatto corretta applicazione di tale principio, avendo esattamente evidenziato come i COGNOME fossero stati indotti in errore mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create al suddetto scopo di ingannarli, quali si dovevano ritenere – come in effetti è – le circostanze e le condizioni che si sono indicate al punto 2.1.3, in particolare, la spendita di false generalità da parte di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, l’utilizzo, da parte di essi, dell’impresa individuale del Bracone, la spendita di titol di credito inesigibili, le reiterate rassicurazioni circa il saldo delle forniture.
Da ciò l’evidente correttezza della qualificazione giuridica del fatto come truffa e non come insolvenza fraudolenta.
2.3. Il terzo motivo e il quarto motivo, quest’ultimo nella parte in cui, con esso, si contesta la concessione e la quantificazione della provvisionale, non sono consentiti.
La Corte di cassazione ha infatti chiarito – affermando un principio che viene costantemente ribadito e che è condiviso anche dal Collegio – che non è impugnabile con il ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, atteso che si tratta di una decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata a essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773-02. Nello stesso senso: Sez. 2, n. 43886 del 26/04/2019, COGNOME, Rv. 277711; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486-01; Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, COGNOME, Rv. 261054-01; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C., Rv. 261536-01).
2.4. Il quinto motivo non è consentito.
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli facc riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare allo scopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Torino ha confermato la scelta sanzionatoria che era stata compiuta dal Tribunale di Torino, compresa quella relativa al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche: da un lato, rilevando la mancata partecipazione al processo da parte dal COGNOME e la mancanza di iniziative risarcitorie da parte sua, rilievi che devono essere intesi nel senso non dell’attribuzione a tali mancanze di una connotazione negativa ma dell’assenza degli elementi positivi che avrebbero potuto essere costituiti dalla partecipazione al processo e dall’intrapresa di iniziative risarcitorie; dall’altro lat valorizzando la palese consistente entità del danno che era stato cagionato alla persona offesa NOME RAGIONE_SOCIALE
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
In conclusione: a) la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME con trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Torino per il prosieguo; b) il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore
della cassa delle ammende; c) nulla deve essere disposto in ordine alle spese processuali della parte civile NOME RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME atteso che la parte civile non ha richiesto tali spese né ha argomentato con riguardo al ricorso del COGNOME.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, e dispone trasmettersi gli atti alla Corte d’appello di Torino per il prosieguo. Dichiara inammissibile ricorso di COGNOME Antonio che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Nulla per le spese processuali della parte civile nei confronti di COGNOME Antonio.
Così deciso il 20/02/2025.