Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13549 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13549 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nata a Torre Annunziata il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/03/2023 della Corte d’appello di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/03/2023, la Corte d’appello di Messina confermava la sentenza del 04/03/2022 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto di condanna di NOME COGNOME alla pena di un anno di reclusione ed C 500,00 di multa per il reato di truffa.
Secondo il capo di imputazione, tale reato era stato contestato all’imputata «perché, con artifizi e raggiri consistiti nel predisporre una falsa inserzione sul sit Internet “www.subito.it ” mettendo in vendita un’autovettura Fiat Panda TARGA_VEICOLO, induceva l’acquirente in errore che la acquistava, effettuando un versamento di Euro 2.250,00 sulla carta Postepay evolution nr. NUMERO_CARTA, utilizzata dall’inserzionista e alla stessa intestata. Il bene acquistato non perveniva nella
disponibilità della p.o. In tal modo l’indagata si procurava l’ingiusto profitto pa alla somma versata a titolo di prezzo dell’autoveicolo, con corrispondente danno per la persona offesa. In Barcellona P.G., in data 11.10.2018 (data del versamento)».
Avverso l’indicata sentenza del 17/03/2023 della Corte d’appello di Messina, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 23-bis del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con modf. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e degli artt. 178, comma 1, lett. c), 180, 523 e 602 cod. proc. pen.
Nel citare le disposizioni di cui al comma 2 dell’art. 23-bis del d.l. n. 137 del 2020 e al comma 1 dell’art. 523 cod. proc. pen., articolo richiamato dall’art. 602 (comma 4) dello stesso codice, la ricorrente lamenta che la cancelleria della Corte d’appello di Messina, in violazione del suddetto comma 2 dell’art. 23-bis del d.l. n. 137 del 2020, avrebbe inviato tardivamente (per via telematica) le conclusioni del pubblico ministero, anch’esse formulate tardivamente, con le conseguenze che la difesa dell’imputata non era stata posta tempestivamente al corrente del contenuto delle conclusioni del pubblico ministero e non aveva potuto presentare, entro il previsto termine del quinto giorno antecedente l’udienza, le proprie conclusioni, «in quanto la tempistica a disposizione era particolarmente ridotta».
Secondo la ricorrente, la lamentata violazione integrerebbe una nullità di ordine generale a regime intermedio (è citata: Sez. 5, n. 20885 del 28/04/2021, H., Rv. 281152-01), tempestivamente dedotta con il ricorso per cassazione.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il «difetto di motivazione» con riguardo all’affermazione di responsabilità.
Secondo la COGNOME, la Corte d’appello di Messina non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per le quali la mera intestazione della carta Postepay costituirebbe «prova certa della sua responsabilità penale e che la stessa sia l’effettiva beneficiaria del pagamento».
A tale proposito, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Messina avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta, che era stata formulata nel proprio atto di appello, di effettuazione di una perizia antropometrica «sulla persona ripresa dalle videoregistrazioni dell’Ufficio Postale di Milano 93 dell’11/10/2018, ore 16,45 e ore 17.15»; perizia la quale avrebbe consentito di escludere la propria responsabilità.
La difesa della ricorrente asserisce che la stessa sarebbe una persona nullatenente, del tutto priva di competenze informatiche e che vive ai margini della
società (grazie a sussidi alimentari e alloggiando presso dormitori di fortuna), la quale sarebbe «stata responsabile esclusivamente di aver ceduto incautamente la propria postepay ai reali truffatori in cambio di poche decine di euro». Il che escluderebbe che essa possa essere ritenuta «portatrice del dolo necessario per addebitarle futuri, indeterminati, imprecisi episodi di truffa on line da commettersi in danno di potenziali incerti, quanto ipotetici, acquirenti».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1. La Corte di cassazione ha chiarito che, nel giudizio cartolare di appello, celebrato nella vigenza della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, la mancata comunicazione, in via telematica, al difensore dell’imputato delle conclusioni del procuratore generale, in violazione dell’art. 23bis del d.l. n. 137 del 2020, determina una nullità generale a regime intermedio, deducibile dalla difesa nei limiti previsti all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen. allegando uno specifico, concreto e attuale interesse al riguardo (Sez. 2, n. 33455 del 20/04/2023, COGNOME, Rv. 285186-01, relativa a una fattispecie in cui le conclusioni del procuratore generale contenevano la mera e immotivata richiesta di rigetto dell’appello, sicché la circostanza dell’omessa comunicazione alla difesa non aveva prodotto alcuno specifico e concreto pregiudizio per il ricorrente). La necessità della deduzione di un concreto pregiudizio recato alle ragioni difensive è stata ribadita da Sez. 2, n. 49964 del 14/11/2023, Corridore, Rv. 285645-01, relativa a una fattispecie in cui le conclusioni del procuratore generale contenevano la mera richiesta di conferma della sentenza di primo grado, sicché, in difetto della deduzione di un pregiudizio alle prerogative difensive, la Corte ha escluso che l’omessa comunicazione avesse prodotto concreto nocumento per il ricorrente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte di cassazione ha altresì affermato che, nel giudizio cartolare d’appello celebrato secondo la disciplina emergenziale pandemica da Covid-19 ai sensi dell’art. 23-bis del d.l. n. 137 del 2020, il deposito tardivo, per via telematica, difensore dell’imputato delle conclusioni scritte del procuratore generale non integra di per sé una nullità di ordine generale per violazione del diritto di difesa in quanto, stante il carattere tassativo delle nullità e l’assenza di una sanzione processuale per tale ipotesi, è necessario specificare il concreto pregiudizio derivatone alle ragioni della difesa, come – a titolo esemplificativo – la necessità di approfondimenti per la laboriosità delle imputazioni o per la complessità delle tesi avversarie (Sez. 7, n. 32812 del 16/03/2023, COGNOME, Rv. 285331-01; Sez. 6, n. 30146 del 28/04/2023, COGNOME, Rv. 285040-01; Sez. 2, n. 34914 del 07/09/2021, COGNOME, Rv. 281941-01).
1.2. Nel caso in esame, le conclusioni del pubblico ministero («letti gli atti del procedimento in epigrafe, ritenuti non meritevoli di accoglimento i motivi di gravame, chiede la conferma della sentenza appellata») contenevano una mera e immotivata – non potendosi ritenere costituire un’effettiva motivazione, per la sua assoluta genericità, la frase «ritenuti non meritevoli di accoglimento i motivi di gravame» – richiesta di conferma della sentenza di primo grado, con la conseguenza che l’essere state la citate conclusioni del procuratore generale, come sostenuto dalla ricorrente, tardivamente trasmesse alla cancelleria e/o tardivamente inviate al difensore dell’imputata non può avere prodotto alcuno «”specifico, concreto ed attuale” pregiudizio» (così Sez. 2, n. 33455 del 20/04/2023, COGNOME, cit.) per la stessa ricorrente, giacché l’atto tardivamente comunicatole non conteneva alcuna specifica deduzione suscettibile di arrecarle processualmente nocumento e alla quale ella dovesse quindi essere posta in condizione di contro-argomentare.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
2.1. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, integra il delitto di truffa contrattuale, ai sensi dell’art. 640 cod. pen., la condotta di messa in vendita di un bene su un sito internet accompagnata dalla sua mancata consegna all’acquirente dopo il pagamento del prezzo, posta in essere da parte di chi falsamente si presenti come alienante ma abbia il solo proposito di indurre la controparte a versare una somma di denaro e di conseguire, quindi, un profitto ingiusto (Sez. 2, n. 51551 del 04/12/2019, Rv. 278231-01. In senso analogo: Sez. 2, n. 43660 del 19/07/2016, COGNOME, Rv. 268448-01, relativa a una fattispecie in cui, sul web, era stato indicato, come nella specie – pag. 6 della sentenza di primo grado – un «prezzo conveniente»).
2.2. Posto che la sussistenza di una tale condotta è, nel caso in esame, pacifica, quanto alla responsabilità della ricorrente per la stessa condotta, ciò che costituisce la questione posta dal motivo di ricorso, il Collegio ritiene insussistente il denunciato vizio motivazionale, atteso che, in assenza di attendibili elementi di segno contrario – nella specie, come subito si dirà, non ravvisabili – non si può ritenere né contraddittorio né manifestamente illogico reputare, come ha fatto la Corte d’appello di Messina, che l’intestataria di una carta Postepay (nella specie, la COGNOME) sulla quale venga chiesto di accreditare e venga effettivamente accreditato il prezzo del negozio truffaldino sia anche la beneficiaria di tale pagamento e sia quindi, in quanto tale, responsabile, quanto meno a titolo di concorso, della truffa.
Quanto alla tesi, sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui questa, persona nullatenente, avrebbe «ceduto incautamente la propria postepay ai reali truffatori in cambio di poche decine di euro», si deve osservare: da un lato, che,
dalla lettura delle sentenze di merito, non risulta che tale ricostruzione dei fatti si mai stata riferita dalla COGNOME, la quale non ha ritenuto di partecipare a nessuno dei due gradi di giudizio di merito, essendo stata, quindi, la stessa ricostruzione prospettata esclusivamente dal difensore; dall’altro lato, che la stessa ricostruzione risulta in ogni caso del tutto vaga, atteso che, in essa, difetta qualsiasi indicazione in ordine alle specifiche circostanze in cui sarebbe avvenuta l’asserita cessione della carta e, in particolare – e soprattutto – in ordine al specifica persona alla quale la stessa carta sarebbe stata ceduta. Sicché appare condivisibile la conclusione della Corte d’appello di Messina secondo cui «Ma ricostruzione alternativa del fatto offerta nell’atto di appello è rimasta invero de tutto sfornita di prova».
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Messina ha implicitamente fornito una risposta negativa alla richiesta della difesa della COGNOME di effettuazione della menzionata perizia antropometrica, avendo evidentemente ritenuto – in modo, come si è detto, non manifestamente illogico – che, in presenza di una ricostruzione alternativa del fatto non proveniente direttamente dall’imputata e, in ogni caso, del tutto vaga e priva di riscontri, l’intestazione alla COGNOME dell carta Postepay sulla quale era stato fatto accreditare il prezzo del negozio truffaldino costituisse prova che la stessa COGNOME era stata la beneficiaria del profitto dello stesso negozio e, in quanto tale, responsabile della truffa.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma, 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagam della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa d ammende.
Così deciso il 06/02/2024.