Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23900 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23900 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti dalle parti civili:
NOME, nata a Napoli il giorno DATA_NASCITA
rappresentata ed assistita dall’AVV_NOTAIO – di fiducia
NOME, nata a Napoli il giorno DATA_NASCITA rappresentata ed assistita dall’AVV_NOTAIO – di fiducia nel procedimento contro:
COGNOME NOME, nato a Pavia il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO – di fiducia avverso la sentenza in data 6/11/2023 della Corte di Appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecíes del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del dl. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso proposto dalle parti civili sulle statuizioni civili, con conseguent annullamento della sentenza impugnata e conseguente rinvio al giudice civile competente in grado di appello;
lette le memorie difensive datate 18 maggio 2024 e 25 maggio 2024 inviate dal difensore dell’imputato COGNOME NOME; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 6 novembre 2023 la Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Noia in data 10 aprile 2019 ha assolto NOME COGNOME dai reati allo stesso ascritti con la formula perché il fatto non sussiste ed ha revocato le statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado.
Il Tribunale aveva dichiarato il COGNOME colpevole di tre episodi di truffa aggravata (artt. 61 n. 7 e 640 cod. pen.) ai danni di NOME COGNOME (capi A e B della rubrica delle imputazioni) ed ai danni di NOME COGNOME (capo C) legati a ritenuti artifizi e raggiri utilizzati nelle trattive di vendita delle porzioni fabbricato sito a Pomigliano d’Arco delle quali aveva affermato di essere proprietario esclusivo, tacendo il fatto che su detti immobili vi era riserva di proprietà a favore della sua dante causa NOME COGNOME, il che lo privava della legittimazione ad alienare i beni, in tal modo facendosi consegnare dalle promissarie acquirenti ingenti somme di denaro a titolo di acconti.
Il COGNOME era poi stato riconosciuto dal Tribunale colpevole anche di un quarto episodio (capo D) di truffa aggravata ai danni di NOME COGNOME alla quale, con artifizi e raggiri, aveva prospettato la necessità di versare al AVV_NOTAIO (che non aveva stipulato alcun atto) la somma di 10.000 euro per il pagamento di differenze sulla tassa di registro relativa all’appartamento oggetto della vendita immobiliare, in tal modo facendo versare alla persona offesa tale importo che era di fatto finalizzato al pagamento di due cambiali emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE, amministrata dal COGNOME, a favore della società RAGIONE_SOCIALE
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore delle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo con un unico articolato motivo ed ai soli effetti civili ex art. 576 cod. proc. pen.: erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) in relazione all’art. 640 cod. pen., in ordine alla ritenuta insussistenza degli elementi costitutivi del reato,
nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultanti dal testo della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), in relazione alla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del delitto di cui all’art. 640 cod. pen.
Rileva, innanzitutto, la difesa delle ricorrenti che le motivazioni attraverso le quali i giudici di appello sono pervenuti al ribaltamento della sentenza di primo grado non possono essere condivise in quanto non risultano correttamente applicati i canoni interpretativi enucleati dalla Corte di cassazione in materia di truffa contrattuale, con specifico riferimento alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo che integrano tale delitto e, al contempo, si palesano manifestamente illogiche e contraddittorie in relazione alle emergenze dibattimentali, finendo per valorizzare una serie di circostanze ritenute meramente verosimili ma, in realtà, del tutto ininfluenti sull’originaria integrazione del dolo nonché smentite dalle complessive acquisizioni probatorie intervenute nel giudizio di primo grado.
Osserva, poi, la difesa delle ricorrenti che emerge dalla sentenza impugnata che l’imputato aveva nascosto alle COGNOME il rapporto giuridico sottostante intercorrente tra lui e l’effettiva proprietaria degli immobili (NOME COGNOME) i virtù del quale il COGNOME avrebbe acquistato l’intera proprietà dell’immobile promesso in vendita alle persone offese solo qualora avesse corrisposto il pagamento del prezzo concordato nel rispetto della rate ivi stabilite, condizione alla quale era subordinato lo scioglimento del patto di riservato dominio. Ciò nonostante, la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto non preordinato tale silenzio dell’imputato a lucrare indebitamente gli acconti ricevuti, acconti che poi comunque non versò alla COGNOME a causa di fatti sopravvenuti.
I riferimenti contenuti nella sentenza impugnata sull’irrilevanza di tale silenzio da parte dell’imputato su di un elemento fondamentale della trattiva che ne determinava una rilevante alea incombente sulla conclusione dei contratti definitivi sarebbero, secondo la difesa delle ricorrenti, legati ad una mera asserzione priva di plausibilità logica, prima ancora che di giuridico fondamento e riscontro probatorio.
In sostanza, le promissarie acquirenti sarebbero state indotte a prestare un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato qualora fossero state informate dello status giuridico dei beni e quindi non avrebbero provveduto al versamento all’imputato di ingenti somme di denaro.
A ciò si aggiunge, poi, l’osservazione che la mancata restituzione del denaro percepito a titolo di acconto costituisce chiaro sintomo della sussistenza del dolo iniziale del reato di truffa.
Sempre secondo la difesa delle ricorrenti la sentenza impugnata conterrebbe, poi, una contraddizione motivazionale in quanto, da un lato, si afferma che la mancata acquisizione della proprietà da parte dell’imputato non sarebbe stata la causa del mancato perfezionamento dei negozi giuridici con le persone offese e, dall’altro, si afferma l’esatto contrario, sostenendo che la causa dell’inadempimento del COGNOME sarebbe stato proprio il mancato pagamento della somma stabilita con la proprietaria COGNOME, determinando in tal modo la risoluzione del contratto.
A ciò si aggiunge, prosegue la difesa delle ricorrenti, che sarebbero meramente congetturali e fondate su di una ingiustificata rivalutazione delle dichiarazioni dell’imputato e della teste a discarico (NOME COGNOME) le osservazioni della Corte territoriale sull’assenza di una azione preordinata dell’imputato a carpire denaro alle persone offese, cui si accompagna l’altrettanto inspiegabile sottovalutazione delle acquisizioni probatorie che ne smentivano in radice l’attendibilità.
Le dichiarazioni della teste COGNOME, sempre secondo la difesa delle ricorrenti, sarebbero caratterizzate da plurime omissioni e contraddizioni (indicate alla pagg. 13 e 14 e, poi, ancora, alle pagg. da 17 a 19 del ricorso), palesemente orientate ad allontanare dall’imputato le responsabilità penali attribuitegli anche a costo di negare l’evidenza documentale dei fatti e smentite dalla circostanza che in altri contratti preliminari con altri acquirenti (Hapau e Nava) stipulati innanzi ad un AVV_NOTAIO nel 2015, erano invece riportate l’esistenza del patto di riservato dominio e le modalità attraverso le quali il diritto reale sarebbe stato trasferito in capo all’imputato.
Inoltre, come pacificamente emerso in dibattimento ed ammesso dallo stesso imputato, il COGNOME non si sarebbe limitato ad incassare ingentissime somme dalle persone offese ma ha addirittura rivenduto ad altri (tale COGNOME dal quale si è fatto consegnare altri 140.000 euro a titolo di acconto) il medesimo appartamento già promesso a NOME COGNOME nel preliminare del 29 gennaio 2015 (capo A della rubrica delle imputazioni) per il quale aveva già ricevuto da quest’ultima la somma di 240.000 euro così, alla fine, incassando una somma pari a circa il doppio della valutazione data all’immobile.
Ancora, secondo la difesa delle ricorrenti, la motivazione della sentenza impugnata è silente su un aspetto fondamentale della ricostruzione dei fatti offerta dall’imputato, per la quale l’inadempimento contrattuale da parte del COGNOME sarebbe dipeso dal mancato accordo tra le parti circa il pagamento dei corrispettivi economici mancanti, determinatisi per effetto delle modifiche al progetto originario richieste e dal differente costo dei materiali di pregio scelti dalle parti acquirenti. La sentenza di primo grado si era però occupata di sgombrare il campo da ogni
possibile equivoco ingenerato da siffatte argomentazioni rilevando che agli atti non è stato prodotto alcun capitolato relativo ad ulteriori lavori da effettuarsi e nessun riferimento ad un eventuale aumento di prezzo da quantificare al completamento dei lavori e, del resto, non risulta che l’imputato abbia mai inviato alle COGNOME un formale comunicazione finalizzata a rappresentare alle stesse l’esigenza delle ·,,,,, -,,,,,… tmaggiori spese e dei problemi che la mancata corresponsione delle strwm stavano COGNOME causando nei confronti della proprietaria COGNOME.
Inoltre, anche con riguardo alla contestazione di cui al capo D, secondo la difesa delle ricorrenti, le argomentazioni della sentenza impugnata si rivelano superficiali, congetturali e contraddittorie oltre che fondate su di un acritico recepirnento delle giustificazioni addotte in udienza dall’imputato il quale avrebbe dissimulato i versamenti dietro una causale rivelatasi falsa e che non ha trovato alcuna giustificazione nelle risultanze dibattimentali.
Infine, la Corte di appello sarebbe incorsa in un equivoco nella determinazione del momento in cui le persone offese hanno appreso della mancanza del titolo di piena proprietà in capo all’imputato e del patto di riservato dominio in quanto risulta dalla lettura delle dichiarazioni di NOME COGNOME che la stessa apprese della presenza del vincolo sull’immobile non in occasione dell’incontro con la controparte presso lo studio del AVV_NOTAIO ma solo qualche mese più tardi parlando con un altro acquirente degli immobili.
La difesa dell’imputato NOME COGNOME ha depositato telematicamente due memorie difensive rispettivamente datate 18 maggio 2024 e 25 maggio 2024 nelle quali ha dedotto l’infondatezza dei ricorsi, dei quali ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o disporsi il rigetto, confutando le argomentazioni ivi contenute ed evidenziando, tra l’altro, che:
i contratti preliminari non furono predisposti né dal COGNOME, né dal suo mediatore ma da professionisti incaricati dalle stesse promittenti acquirenti;
il C.T.U. ha riconosciuto al COGNOME una spesa per l’intervento di ristrutturazione di Euro 420.000 (circa quanto dalle COGNOME ricevuto in esecuzione dei contratti preliminari);
il contratto stipulato con il COGNOME è successivo alla comunicazione di recesso del contratto da parte della NOME;
quanto alla questione relativa alle spese notarili, le ricorrenti ben sapevano che l’atto di trasferimento della proprietà non doveva essere rogato dal AVV_NOTAIO ma dal AVV_NOTAIO;
non è ravvisabile in capo all’imputato l’elemento soggettivo del reato di truffa così come non è ravvisabile alcun nesso di causalità tra la mancata menzione
del patto di riservato dominio nel preliminare di vendita e la mancata stipula del contratto definitivo per il trasferimento della proprietà
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso congiunto delle parti civili è fondato.
Occorre doverosamente premettere che la Corte di appello ha chiarito che in relazione ai reati in contestazione ai capi A, C e D della rubrica delle imputazioni, al momento della pronuncia della propria sentenza, era già maturato il termine di prescrizione, ma che si è reso necessario procedere ad una decisione nel merito oltre che per il residuo reato di cui al capo B anche per gli altri capi essendovi stata in primo grado condanna dell’imputato al risarcimento dei danni a favore delle parti civili.
Nella motivazione della sentenza impugnata si leggono poi i seguenti fatti che risultano non controversi: il COGNOME non era (già) proprietario degli immobili oggetto dei contratti preliminari di vendita in quanto gli stessi erano gravati da un patto di riservato dominio consacrato in un atto notarile a favore della proprietaria NOME COGNOME, vincolo che impediva la loro immediata alienazione fino al momento in cui l’odierno imputato non avesse pagato alla COGNOME l’intero importo della compravendita (1.700.000 euro), suddiviso in nove rate da 190.000 euro cadauna con scadenze fino al 31 dicembre 2016 che erano pari al prezzo convenuto per ciascun immobile.
Secondo l’accordo, al pagamento di ciascuna rata la RAGIONE_SOCIALE avrebbe prestato il proprio consenso alla cancellazione della riserva sul passaggio di proprietà.
Tuttavia, il COGNOME pagò alla COGNOME solo le prime tre rate che consentirono di liberare per la vendita solo tre appartamenti, peraltro diversi da quelli oggetto di contrattazione con le odierne parti civili alle quali venne taciuto il reale stato delle cose. L’imputato comunque incassò dalle odierne ricorrenti ingenti somme di denaro e ciò prima ancora del contratto preliminare di vendita (per il capo A) o dopo lo stesso (capo B) senza poi provvedere alla successiva cessione degli immobili alle promissarie acquirenti in quanto gli immobili stessi furono alienati a terze persone.
L’imputato, infine, non risulta avere restituito alle odierne ricorrenti il denaro percepito in forza dei menzionati contratti.
Prima di proseguire oltre occorre rammentare alcuni principi di diritto in materia di truffa contrattuale che anche l’odierno Collegio condivide.
«In tema di truffa contrattuale, l’elemento che imprime al fatto dell’inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti – determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitiv rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria» (Sez. 2, n. 39698 del 13/09/2019, Rv. 277708).
«Integra il delitto di truffa contrattuale la condotta del venditore che omette di rendere nota all’acquirente l’altruità del bene oggetto del contratto» (Sez. 2, n. 31927 del 17/07/2013, Rv. 256846).
«In tema di truffa contrattuale, anche il silenzio, maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l’elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la decisione impugnata che aveva ravvisato gli estremi del reato con riferimento alla condotta del costruttore di un immobile, il quale, nella fase delle trattative per la vendita dello stesso, ed anche successivamente alla stipula del preliminare, aveva omesso di riferire all’altro contraente che il bene era gravato da ipoteca, facendosi versare cospicui acconti)» (Sez. 2, n. 28791 del 18/06/2015, Rv. 264400).
«Integra gli estremi della truffa contrattuale la condotta di chi ponga in essere artifizi o raggiri consistenti nel tacere o nel dissimulare fatti o circostanze tali ch ove conosciuti, avrebbero indotto l’altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto» (Sez. 2, n. 28703 del 19/03/2013, Rv. 256348).
Così delineato il (non controverso) quadro AVV_NOTAIO nel quale sono state assunte le decisioni dei giudici di merito, si rende immediatamente necessario evidenziare che la sentenza impugnata non appare adeguatamente motivata in relazione ad alcuni rilevanti profili emergenti dalla sentenza di condanna emessa dal Tribunale.
La Corte territoriale, infatti, nel compiere un’operazione di overturning della decisione adottata dal Tribunale non ha motivato, come sarebbe stato necessario, per contrastare alcuni elementi evidenziati dal Giudice di primo grado che si presentano indubbiamente rilevanti ai fini del decidere, in tal modo determinando un vizio di motivazione rilevabile in sede di legittimità ai sensi del disposto della lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen.
L’esclusione del dolo iniziale del reato di truffa in capo al COGNOME appare, infatti, affermato attraverso una immotivata sottovalutazione delle dichiarazioni delle persone offese che di fatto non risultano smentite dalle risultanze processuali ed attraverso una altrettanto non adeguatamente motivata rivalutazione dell’attendibilità della teste COGNOME, attendibilità, per le ragioni che si andranno a ricordare, non ritenuta tale dal Giudice di primo grado.
Non v’è innanzitutto chi non veda come il farsi consegnare dalle persone offese ingentissime somme di denaro per oltre complessivi 350.000 euro (mai restituiti nonostante l’interruzione dei rapporti e la rescissione dei contratti) i relazione ad impegni di vendita di porzioni immobiliari senza informarle dell’esistenza di un patto di riservato dominio in capo alle stesse è elemento di per sé tutt’altro che secondario ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo necessario per configurare i fatti-reato in esame.
A ciò si aggiunge un altro elemento non preso in diretta considerazione nella sentenza della Corte di appello ma tutt’altro che irrilevante ai fini della valutazione della condotta del COGNOME e dell’elemento soggettivo che la sorregge che è quello della circostanza che l’imputato da un lato ha ricevuto le predette somme e, dall’altro, non risulta essersi attivato per versare alla COGNOME – come il naturale e corretto sviluppo degli eventi avrebbe richiesto – le somme ottenute dalle COGNOME così da liberare dal gravame le porzioni immobiliari promesse in vendita alle stesse.
Si è già detto della rilevanza ictu °cui/ della circostanza sulla quale è stato serbato il silenzio da parte dell’imputato ed a ciò si aggiunge sul punto quanto emerso dalle dichiarazioni di NOME COGNOME richiamate nella sentenza del Tribunale la quale, da un lato ha riferito che nulla le era mai stato spiegato in merito all’esistenza di un patto di riservato dominio, né tantomeno che la stipula del contratto definitivo era comunque subordinata al versamento da parte del COGNOME di una ingente somma di denaro alla COGNOME in mancanza del quale quest’ultima non avrebbe mai prestato il proprio consenso alla liberazione della proprietà e, dall’altro, che se avesse saputo fin dall’inizio che il COGNOME non era il reale proprietario delle unità immobiliari non avrebbe mai concluso i contratti o comunque si sarebbe cautelata contattando direttamente la COGNOME.
Le dichiarazioni di NOME COGNOME sono, inoltre, state confermate da NOME COGNOME e, soprattutto, come evidenziato dal Tribunale, risultano pienamente riscontrate dal contenuto dei contratti preliminari che contengono la seguente dicitura: «La promittente venditrice garantisce la piena ed esclusiva proprietà degli immobili compromessi in vendita e la libertà degli stessi da vincoli, passività, privilegi, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli».
A fronte di siffatti elementi probatori evidenziati dal Giudice di primo grado, la Corte di appello nella motivazione della sentenza qui in esame non risulta, come avrebbe dovuto nel momento in cui ha deciso di procedere ad un ribaltamento della sentenza di primo grado, avere prodotto una motivazione adeguata a va nificarli
L’affermazione contenuta a pag. 11 della sentenza di appello secondo la quale non vi sarebbe «prova che la condotta onnertosa abbia avuto efficacia causale determinante nell’indurre le controparti a corrispondere al COGNOME congrui acconti anticipati rispetto alla stessa stipula dei contratti preliminari e alla stipula dei var negozi giuridici» rimane, quindi ed a fronte di quanto appena osservato, fine a sé stessa e soprattutto smentita dalle dichiarazioni delle persone offese non attinte neppure dalla Corte di appello da una aperta valutazione di inattendibilità.
7. Carenza di motivazione è altresì riscontrabile nella positiva valutazione di attendibilità della teste COGNOME, valutazione che la Corte di appello ha sostanzialmente fondato sul fatto che la stessa si è autoaccusata di avere omesso l’indicazione del patto di riservato dominio nei contratti preliminari e sostenendo poi, di avere informato fin da un primo incontro con le COGNOME avvenuto nel novembre 2014, in presenza anche del COGNOME, dell’esistenza del predetto patto.
Non risulta, peraltro, la Corte di appello avere spiegato perché un soggetto come il COGNOME – qualora fosse stato in buona fede come dallo stesso asserito che era parte di contratti preliminari che implicavano impegni economici di rilevantissimo valore e dei quali non poteva di certo ignorare il contenuto, non abbia chiesto l’immediata integrazione dei predetti contratti informandone tempestivamente le odierne ricorrenti. Così come la Corte territoriale non risulta avere adeguatamente approfondito i particolari rapporti di “vicinanza” tra il COGNOME e la Rea che ben possono avere avuto incidenza sulla rivalutata attendibilità di quest’ultima.
Quanto, infatti, al primo dei due profili appena evidenziati il Tribunale (v. pag. 14 della relativa sentenza) aveva chiarito che dell’omissione la COGNOME non poteva essere ritenuta l’unica responsabile poiché «… da sua stessa ammissione, ella si era limitata a trascrivere il contenuto di atti predisposti dall’imputato e non da lei personalmente».
Quanto, poi, al secondo profilo riguardante elementi che potevano insinuare dubbi circa la genuinità delle dichiarazioni della COGNOME, sempre il Tribunale aveva chiarito che la testimone era legata al COGNOME da un vero e proprio rapporto professionale, che durava da tempo, essendosi la stessa occupata della commercializzazione del “COGNOME RAGIONE_SOCIALE“, imponente progetto immobiliare realizzato dall’imputato e, ancora, che «la COGNOME ometteva di riferire i suoi pregressi
rapporti col COGNOME così come tentava di nascondere la circostanza che uno degli agenti immobiliari dei quali si serviva era proprio il figlio del COGNOME» (come documentato dalla stessa parte civile).
Carenza di adeguata motivazione della sentenza impugnata è, inoltre, rilevabile nella questione riguardante la successiva rottura dei rapporti personali e contrattuali tra le COGNOME ed il COGNOME.
E’ ben vero che si tratta di un elemento successivo alla stipulazione dei contratti ed alla percezione delle somme da parte del COGNOME ma lo stesso può anche assumere rilevanza ai fini della prova del dolo iniziale del reato di truffa contrattuale, in quanto detto elemento soggettivo deve essere valutato attraverso un esame globale della vicenda in tutta la sua evoluzione temporale.
Sostiene, in sintesi, la Corte di appello, sposando la versione al riguardo fornita dall’imputato, che l’inadempimento contrattuale da parte del COGNOME sarebbe dipeso dal mancato accordo tra le parti circa il pagamento da parte di NOME COGNOME dei corrispettivi economici mancanti, insorti per effetto delle modifiche al progetto originario. Mentre per quanto riguarda la posizione di NOME COGNOME il contratto definitivo non si sarebbe perfezionato a seguito di una controversia insorta con la stessa e relativa ad un immobile dato da quest’ultima in permuta.
Trattasi anche in questo caso di affermazioni che meritavano un maggiore approfondimento nella motivazione della sentenza impugnata.
In particolare, rimane legata a mere asserzioni sfornite di un concreto supporto probatorio la questione relativa ai lavori supplementari asseritamente richiesti da NOME COGNOME al COGNOME, sia perché, come evidenziato dal Tribunale, i preliminari prevedevano espressamente che «Risulta espressamente convenuto tra le parti che le unità immobiliari promesse in vendita saranno trasferite complete in ogni loro parte e rifinitura», con la conseguenza che nulla sarebbe stato dovuto al COGNOME per le modifiche richieste ed il prezzo finale era stato pattuito per la consegna di un immobile finito in ogni sua parte, senza alcun sovrapprezzo, sia perché «agli atti … non veniva prodotto alcun capitolato relativo a lavori extra da effettuarsi e nessun riferimento ad un eventuale aumento di prezzo da quantificare al completamento dei lavori».
Quanto, poi, al contratto con NOME COGNOME lo stesso Tribunale aveva evidenziato che la mancata vendita dell’immobile non appariva altrimenti giustificata.
Né, sottolineava, ancora il Tribunale, la mancata restituzione delle somme versate dalle odierne ricorrenti trovava la giustificazione addotta dal COGNOME circa
il fatto di averle trattenute a titolo di caparra, ciò perché, ancora una volta nulla risultava al riguardo dai contratti stipulati tra le parti.
Si tratta, come detto, di elementi che necessitavano un attento vaglio anche perché riguardanti una contrapposizione tra mere dichiarazioni delle parti interessate e contenuto di prove documentali, vaglio che non ha trovato adeguato approfondimento nella motivazione della sentenza impugnata che ha, per contro, riversato la propria attenzione sui rapporti di particolare fiducia instauratisi tra COGNOME e le COGNOME.
La Corte di appello ha evidenziato sul punto i seguenti elementi ritenuti rilevanti a non ritenere comprovata con certezza la sussistenza del dolo del reato di truffa:
la circostanza che è stato lo stesso COGNOME a citare in giudizio nel maggio 2017 le COGNOME per il ritenuto loro inadempimento contrattuale;
la condotta tenuta dall’imputato in occasione dell’incontro con il AVV_NOTAIO – che dava per scontato che la situazione proprietaria fosse nota ai presenti e che sollecitava il COGNOME a darsi da fare per soddisfare i diritti delle sorelle COGNOME – condotta che a parere della Corte territoriale appare dimostrativa di un genuino risentimento dello stesso COGNOME verso le promettenti acquirenti asserendo al cospetto del AVV_NOTAIO che doveva avere altro denaro da costoro e che dunque ancora in quel momento non manifestava alcun comportamento tradente un primigenio intento di ricevere il denaro per poi sottrarsi ai suoi obblighi e che, anzi, rassicurava i presenti che avrebbe provveduto a formalizzare gli atti con la COGNOME.
I giudici della Corte di appello hanno, poi, anche evidenziato che non è emerso con certezza che i rapporti tra le odierne ricorrenti e l’imputato si siano interrotti per effetto della volontà del COGNOME di sottrarsi alle obbligazioni assunte dopo avere lucrato gli acconti ricevuti, sottolineando per contro che i rapporti tra le parti sono proseguiti nel tempo e che sono state ampliate e modificate le pretese immobiliari delle signore COGNOME in un’ottica collaborativa tra le parti al punto che NOME COGNOME, pur non avendo ricevuto dal COGNOME il primo immobile acquistato «lungi dal ritenersi truffata o da chiedere la risoluzione del contratto e la restituzione del denaro, continuò a stipulare altri contratti con il COGNOME: la COGNOME ha, infatti, ammesso che nel maggio del 2016 stipulò un contratto per altre due unità immobiliari».
Si tratta indubbiamente di affermazioni caratterizzate da una logica intrinseca ma che, tuttavia, non portano ad escludere che i rapporti intercorsi tra le parti appaiono meritevoli di un ulteriore approfondimento nell’opportuna sede giudiziaria civile, ciò in quanto non risulta adeguatamente spiegato dalla sentenza impugnata, in un’ottica probatoria che va al di là del mero dato assertivo, perché
i rapporti fiduciari intercorsi dalle parti dovrebbero giustificare le affermazioni del COGNOME circa l’effettuazione di lavori straordinari di notevole importo senza un previo accordo scritto tra le parti e, per contro, deve essere scartata a priori l’opposta possibilità che il COGNOME si sia approfittato proprio della natura di tali rapporti, sviluppati sì nei confronti di persone colte ma non per ciò solo aventi una particolare dimestichezza con le vicende immobiliari, per indurre le odierne ricorrenti a versargli ingentissime somme di denaro che altrimenti non avrebbe ottenuto qualora le avesse debitamente informate del reale status degli immobili promessi in vendita prima di procedere all’incasso delle somme di denaro.
Analoga carenza motivazionale è, infine, da ravvisarsi in relazione ai fatti di cui al capo D della rubrica delle imputazioni in quanto anche in questo caso la Corte di appello non risulta avere adeguatamente spiegato le ragioni per le quali quanto affermato sul punto dal Tribunale è da ritenersi smentito dalle risultanze processuali.
Per le considerazioni or ora esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente agli effetti civili, con rinvio ex art. 622 cod. proc. pen. per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso il 6 gffigno 2024.