Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12431 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12431 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a Modena il 07/05/1969
avverso l’ordinanza del 28/06/2024 del Tribunale di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 28/06/2024, il Tribunale di Milano rigettava la richiesta di riesame che era stata presentata da NOME COGNOME avverso il decreto del 11/03/2024 del G.i.p. del Tribunale di Milano con il quale era stato disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, della somma di C 10.346.789,00 ritenuta il profitto (costituito, in particolare, dalle fee conseguite) del reato di truffa continuata e pluriaggravata (dall’avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità e dall’avere commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera) ai danni del fondo d’investimento RAGIONE_SOCIALE (di seguito: «CBIM») di cui al capo 2) dell’imputazione provvisoria.
Tale reato sarebbe stato commesso inducendo in errore il suddetto fondo (nella persona di NOME COGNOME che condusse le trattative per conto di esso) in ordine alla bontà delle operazioni di investimento proposte – consistite nell’acquisto di obbligazioni emesse nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione di crediti (nei confronti del Servizio sanitario nazionale) realizzate per il tramit delle società veicolo (SPV; special purpose vehicle ) RAGIONE_SOCIALE (di seguito: «RAGIONE_SOCIALE»), RAGIONE_SOCIALE (di seguito: «Dragon») e RAGIONE_SOCIALE (di seguito: «RAGIONE_SOCIALE») – mediante artifici e raggiri consistiti nel sottacere o anche nel negare gli interessi del Grandi e di altri co-indagati nelle società coinvolte nelle operazioni e, quindi, il conflitto di interessi in cui versavano gli stessi indagati che aveva influenzato la selezione dei crediti cartolarizzati, nonché nel sottacere o anche nel negare la rischiosità dell’acquisizione dei crediti cosiddetti extra-budget (cioè dei crediti per prestazioni sanitarie erogate da strutture accreditate oltre lo stabilito limite di spesa) e nel fornire indicazioni devianti in ordine alla tempistic di realizzazione dell’investimento.
Avverso tale ordinanza del 28/06/2024 del Tribunale di Milano, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME affidato a un unico articolato motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 640 cod. pen. e degli artt. 2 e 3 della legge 30 aprile 1999, n. 130 (la quale detta le “Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti”), «per avere il Tribunale del riesame erroneamente valutato la sussistenza degli elementi del reato di truffa, nella sua configurazione contrattuale».
2.1. Dopo avere premesso che, con tale motivo, intende censurare la ritenuta sussistenza del fumus della contestata truffa contrattuale, il ricorrente denuncia che il Tribunale di Milano avrebbe «disapplicato» «le previsioni normative che disciplinano il compendio di informazioni da fornire a un investitore professionale che sottoscriva dei titoli emessi nell’ambito di queste operazioni»; previsioni che sono quelle dettate dalla legge n. 130 del 1999, la quale prevede «un elenco esaustivo delle informazioni che devono essere fornite al sottoscrittore dei titoli e delle sedi documentali con cui esse vanno veicolate».
Col «disapplicare» tali previsioni, il Tribunale di Milano avrebbe «ricondotto la vicenda contrattuale allo schema generico di una compravendita di un prodotto finanziario», omettendo il necessario «adattamento dello schema astratto della truffa alla fattispecie concreta contestazione».
Secondo il ricorrente, il giudizio in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti sarebbe stato perciò effettuato «sulla scorta di una illegittima estensione del compendio informativo che la legge imponeva di fornire all’investitore».
2.2. Il Grandi contesta il rilievo che è stato attribuito dal Tribunale di Milano al ritenuto conflitto di interessi che sarebbe stato sottaciuto all’investitore CBIM, e che avrebbe anche inciso sulla selezione dei crediti, avendo lo stesso Tribunale ritenuto che gli indagati avrebbero in particolare «occultato e sminuito il loro legame con CFE, e persino la titolarità in capo ad essa di alcune società veicolo i cui crediti sono finiti nelle cartolarizzazioni di RAGIONE_SOCIALE» (pag. 14, penultim capoverso, dell’ordinanza impugnata).
Il ricorrente deduce anzitutto come nessuna norma di legge «preveda questo asserito requisito di indipendenza dei soggetti che prendono parte alle ca rtola rizzazion i».
Il Grandi evidenzia in proposito che Banca d’Italia, con la circolare 3 aprile 2015, n. 288, ha previsto la possibilità che il servicer che curi la riscossione dei crediti cartolarizzati sia contestualmente il soggetto cedente tali crediti, sicché lo stesso servicer, in tale caso, «ha un duplice interesse nell’operazione: da un lato, si è spogliato dei crediti cedendoli ad un investitore , dall’altro è remunerat per curarne l’attività di recupero, da cui deriva il guadagno dell’investitore». I ricorrente sottolinea come l’ordinamento ammetta tale duplice ruolo del servicer, non ritenendo che esso sia fonte di pregiudizio per l’investitore.
In secondo luogo, la ricostruzione operata dal Tribunale di Milano al fine di sostenere l’esistenza del contestato conflitto di interessi – il quale sarebbe in particolare derivato dal fatto che i veicoli in cui investì il fondo RAGIONE_SOCIALE acquistarono crediti da altri veicoli il cui capitale sociale era stato sottoscritto da RAGIONE_SOCIALE contrasterebbe con quanto è previsto dall’art. 3, commi 2, primo periodo, e 2 -bis, secondo periodo, della legge n. 130 del 1999.
Secondo il ricorrente, poiché da tale normativa emergerebbe che «i veicoli di cartolarizzazione si caratterizzano per un meccanismo di funzionamento diverso da quello delle comuni società di capitali: non è il socio a percepire gli utili e non è l’amministratore a prendere le decisioni strategiche ai fini dell’operazione: gli incassi vengono utilizzati per soddisfare l’investitore e l’amministrazione del veicolo è in capo al servicer, sempre nell’interesse del detentore dei titoli», ne discenderebbe che il fatto che CFE detenesse il capitale di veicoli di cartolarizzazione che cedettero i crediti ai veicoli in cui investì il fondo CBIM sarebbe «irrilevante» atteso che, a norma di legge, «è previsto che ogni profitto di un veicolo sia trasferito esclusivamente all’investitore, non titolare dell quote di capitale, in ragione del principio del patrimonio separato».
In terzo luogo, il Tribunale di Milano non avrebbe considerato che il mezzo fondamentale per trasmettere ogni informazione all’investitore è costituito dal prospetto informativo e che, nel caso di specie, tale documento conteneva un paragrafo nel quale all’investitore «veniva comunicata la possibile esistenza di
conflitti di interesse», con un’informativa che sarebbe stata perfino eccedente rispetto a quanto è richiesto dall’art. 2, comma 3, lett. i), della legge n. 130 del 1999 («gli eventuali rapporti di partecipazione tra il soggetto cedente e la società cessionaria»).
In quarto luogo, il ricorrente deduce che il fatto che non vi fosse stato alcun occultamento dell’esistenza di un suo rapporto con CEE sarebbe comprovato dalla circostanza, che è evidenziata dallo stesso Tribunale di Milano, che egli riceveva e inviava comunicazioni «tramite un indirizzo di posta con dominio “cfefinance.com “» (pag. 19 dell’ordinanza impugnata).
Il Grandi conclude il punto dedicato al ritenuto conflitto di interessi lamentando che il Tribunale di Milano avrebbe omesso di considerare la normativa vigente in materia di cartolarizzazione dei crediti, con la conseguenza che lo stesso Tribunale avrebbe finito col considerare fraudolenta l’asserita esistenza di circostanze che la suddetta normativa non vieta e la presunta omissione di informazioni che la stessa normativa non richiede nelle operazioni con investitori professionali, così attestando la valutazione del fumus «su un livello molto più basso di quello che si richiederebbe per questo tipo di operazioni, parametrandolo a una generica vendita di prodotti finanziari nei confronti di investitori semplici».
2.3. Il Grandi contesta ancora il rilievo che è stato attribuito dal Tribunale di Milano all’elemento dell’acquisto, da parte dei veicoli in cui investì il fondo CBIM, di crediti provenienti da altri veicoli di cartolarizzazione.
Secondo il ricorrente, il Tribunale di Milano avrebbe anche sotto questo aspetto «disapplicato» la legge n. 130 del 1999, in quanto avrebbe omesso di attribuire il giusto rilievo al fatto che tale legge attribuisce al prospetto informati anche il compito di indicare «le caratteristiche dell’operazione, con riguardo sia ai crediti sia ai titoli emessi per finanziarla» (art. 2, comma 3, lett. a), considerato che, nel caso di specie, i prospetti informativi «descrivevano espressamente le modalità di acquisto dei crediti».
Il Grandi rappresenta quindi che: «e la L. n. 130/99 individua il prospetto informativo quale strumento centrale dell’operazione, al cui interno devono essere stabilite le caratteristiche dell’investimento, con riferimento sia ai crediti cartolarizzati, sia ai titoli emessi, non si può sostenere che l’operazione dovesse seguire regole diverse, più o meno cautelative per l’investitore»; nel caso di specie, nel prospetto informativo, «da un lato era ammesso l’acquisto di crediti da un altro veicolo, dall’altro lato era concessa all’investitore la possibilità d opporsi a tale acquisto a sua insindacabile discrezione».
Anche sotto questo aspetto il Tribunale di Milano avrebbe quindi «ricondotto la vicenda negoziale alla stregua di una generica vendita di prodotti finanziari verso investitori semplici, trascurando di prendere in debita considerazione come la
legge regola questa tipologia di operazioni finanziarie»; legge che trova la propria ratio nel fatto che gli investitori professionali sono ben in grado di comprendere e, anzi, di determinare, le caratteristiche dell’investimento al quale intendono prendere parte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo è manifestamente infondato.
È opportuno rammentare che le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno da tempo precisato che, in tema di sequestro preventivo, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del tribunale del riesame o della Corte di cassazione non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta a indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza e alla gravità degli stessi (Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, COGNOME, Rv. 215840-01).
In sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, COGNOME, Rv. 266896-01; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, COGNOME, Rv. 240521-01).
È altresì consolidato l’orientamento della Corte di cassazione secondo cui, in sede di riesame del sequestro, il Tribunale deve stabilire l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, astraendo non dalla concreta rappresentazione dei fatti quali risultano allo stato degli atti, ma solo ed esclusivamente dalla necessità di ulteriori acquisizioni e valutazioni probatorie, sicché l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipizzata dalla norma incriminatrice (ex plurimis: Sez. 2, n. 19682 del 13/04/2022, Osella, non massimata sul punto).
Giova altresì ricordare che le Sezioni Unite hanno anche chiarito che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di «violazione di legge» per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e
autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) del comma 1 dell’art. 606 dello stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-01. Successivamente: Sez. 5, n. 8434 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236255-01; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, COGNOME, Rv. 242916-01; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119-01).
Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve anzitutto rilevare che il ricorrente, nel denunciare il giudizio del Tribunale di Milano in ordine alla sussistenza del fumus del reato di truffa continuata, non contesta che le operazioni di cartolarizzazione in questione abbiano avuto un esito finanziariamente negativo per CBIM (come è stato argomentato dal Tribunale di Milano, sulla base del materiale probatorio acquisito; in particolare, pagg. 12-13 dell’ordinanza impugnata).
Il COGNOME contesta piuttosto che il Tribunale di Milano, nel ritenere che nelle suddette operazioni – che si sono perciò concluse con un danno per CBIM e con un profitto per il Grandi costituito dalle fee da lui conseguite – sia ravvisabile il fumus del reato di truffa, avrebbe «disapplicato», cioè non avrebbe osservato, le norme della legge n. 130 del 1999 che disciplinano le informazioni che, nelle operazioni di cartolarizzazione dei crediti, devono essere fornite al sottoscrittore dei titoli che sia, come CBIM, un investitore professionale, e che individuano nel prospetto informativo il documento tramite il quale tali informazioni devono essere veicolate, finendo con l’estendere, illegittimamente, il «compendio informativo che la legge imponeva di fornire all’investitore» professionale.
In questa prospettiva, il Grandi deduce allora come gli obblighi informativi che sono previsti dalla legge n. 130 del 1999 fossero stati rispettati, atteso che i prospetti informativi delle tre operazioni di cartolarizzazione che erano state concluse con CBIM indicavano sia «la possibile esistenza di conflitti di interesse» sia, secondo quanto è previsto dall’art. 2, comma 3, lett. a), della legge n. 130 del 1999, «le caratteristiche dell’operazione, con riguardo sia ai crediti sia ai titol emessi per finanziarla».
Tale prospettiva, nella quale è formulato il motivo, non appare, tuttavia, condivisibile, atteso che, come è stato osservato dal Tribunale di Milano (a pag. 12 dell’ordinanza impugnata), se è vero che l’elevata professionalità dei soggetti delle operazioni in questione e il considerevole rilievo economico dell’investimento da essi realizzato (per la sottoscrizione degli emessi titoli obbligazionari CBIM e i suoi investitori hanno versato circa 106 milioni di euro) inducono ad attribuire senz’altro un significativo rilievo al contenuto dei documenti e, tra questi, al contenuto dei prospetti informativi, ciò non esclude però che, al fine di valutare la sussistenza o no del fumus del reato di truffa, si possano e si debbano considerare
anche altri elementi, tra cui anche i colloqui tra i negoziatori, le e-mail che essi si scambiarono, le consulenze tecniche.
Tanto affermato, si deve osservare come il Tribunale di Milano abbia congruamente argomentato come dalle effettuate indagini tecniche fosse emerso il conflitto di interessi in cui versavano il COGNOME e il COGNOME nella gestione del tre cartolarizzazioni che furono sottoscritte da CBIM, in particolare, come le tre società veicolo RAGIONE_SOCIALE Dragon e RAGIONE_SOCIALE avessero operato un massiccio acquisto di crediti da altre SPV riferibili alle società RAGIONE_SOCIALE e, quindi, agli indagati, il che aveva influenzato la selezione, da parte di ESC, dei crediti da inserire nei portafogli di Levante, Dragon e Dragon II, consentendo altresì agli stessi indagati di realizzare un circuito fraudolento assimilabile al cosiddetto “schema Ponzi”, che aveva permesso di chiudere positivamente delle prime operazioni di cartolarizzazione (chiusura positiva che veniva anche “pubblicizzata” nel corso delle trattative con i nuovi clienti) grazie alla cessione dei crediti che erano presenti nei portafogli delle società veicolo di tali prime operazioni di cartolarizzazione alle nuove società veicolo Levante, Dragon e Dragon II.
Il Tribunale di Milano ha quindi congruamente evidenziato come tale situazione di conflitto di interessi fosse stata non solo sottaciuta ma anche espressamente negata a NOME COGNOME nel corso delle trattative che questi aveva condotto, per conto del fondo CBIM, con il Grandi.
Lo stesso Tribunale ha altresì compiutamente argomentato come l’indagato avesse anche fornito a NOME COGNOME ampie assicurazioni in ordine al «certo» realizzo dei crediti cosiddetti extra-budget, i quali, al contrario, presentavano già, alla luce dei correnti orientamenti giurisprudenziali, seri problemi in ordine non solo al quando di realizzazione (a fronte di un investimento che si prefiggeva un orizzonte di rimborso di 2-3 anni) ma anche all’an di essa, che poteva anche mancare.
Da ciò discende che, anche ad ammettere che nei prospetti informativi fossero stati indicati a CBIM la «possibile» esistenza di conflitti di interesse e le caratteristiche dei crediti, tra cui l’acquisizione di essi da altre società veicolo nonché dei titoli emessi per finanziarne l’acquisto, ciò non toglie che, come è stato evidenziato, in modo pienamente condivisibile, dal Tribunale di Milano, negli stessi prospetti non fosse indicato che chi stava gestendo le operazioni di cartolarizzazione si trovava in una situazione di effettivo conflitto di interesse e che, comunque, tale elemento, nel corso di trattative che devono essere condotte comportandosi secondo buona fede (art. 1337 cod. civ.), dovesse essere reso noto, e non negato, a CBIM. Ciò affinché tale società investitrice fosse posta a conoscenza del rischio, evidentemente ulteriore rispetto a quello che è connaturato alle operazioni di tipo finanziario, che era legato all’interesse – da parte di chi,
come ESC, si presentava invece come società “indipendente” e mossa dalla finalità di ottenere il miglior esito possibile all’operazione per il proprio cliente – al cartolarizzazione di determinati crediti (acquistati, peraltro, a un prezzo elevato) in funzione essenzialmente strumentale rispetto alla positiva conclusione di un’altra precedente cartolarizzazione e all’ottenimento di rilevanti fee sia per le nuove cartolarizzazioni sia per la chiusura delle precedenti.
L’indicata condotta silente e, di più negatoria, rispetto alla sussistenza di tale conflitto di interessi, come pure le false assicurazioni in ordine al «certo» realizzo dei crediti cosiddetti extra-budget, appaiono pertanto idonee, come è stato ritenuto dal Tribunale di Milano, a integrare il fumus del reato di truffa.
Le considerazioni che precedono sono tali da escludere le denunciate violazioni di legge, in ordine alle quali, fermo restando quanto si è sin qui detto, si osserva comunque che: a) la possibilità che le attività di riscossione dei crediti ceduti e cartolarizzati siano affidate a un servicer che sia anche il cedente degli stessi crediti, costituisce un’evenienza che è in tutta evidenza diversa da quella ricorre nel caso in esame e alla quale non può pertanto essere attribuita alcuna significatività rispetto a tale caso; b) il fatto che, nelle SPV, le somme incassate dai debitori siano destinate agli investitori (portatori dei titoli che sono stati emess per finanziare l’acquisto dei crediti) non esclude affatto il pregiudizio che può derivare agli stessi investitori dall’acquisizione di titoli che incorporano crediti ch possono essere tali da non consentire il rimborso del capitale investito; c) il mero fatto che il Grandi potesse avere utilizzato l’indirizzo di posta “cfefinance.com ” non significa che egli non avesse commesso le sopra indicate condotte silenti o, di più, negatorie, integranti il fumus degli artifici e raggiri.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 20/02/2025.