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Truffa contrattuale: il momento del danno effettivo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25355/2025, ha stabilito un principio fondamentale in materia di truffa contrattuale. Il caso riguardava una compravendita online di un ciclomotore, dove l’acquirente otteneva la consegna del bene esibendo una ricevuta di bonifico falsa. L’imputato, complice di chi aveva stipulato l’accordo, sosteneva che il suo ruolo fosse un ‘post factum non punibile’, essendo intervenuto dopo la conclusione del contratto. La Suprema Corte ha respinto questa tesi, chiarendo che la truffa contrattuale si consuma non con il semplice accordo, ma nel momento in cui si verifica il danno patrimoniale effettivo per la vittima e il conseguente ingiusto profitto per il reo. In questo caso, tale momento coincideva con la consegna del ciclomotore, ottenuta proprio grazie all’azione fraudolenta dell’imputato. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa contrattuale: la Cassazione definisce il momento della consumazione del reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 25355 del 2025, offre un’importante chiarificazione sul momento consumativo della truffa contrattuale. Spesso si crede che il reato si perfezioni con la semplice stipula del contratto viziato dalla frode, ma la Suprema Corte ribadisce un principio diverso: ciò che conta è il momento del danno patrimoniale effettivo. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti del Caso: La Compravendita Online e il Bonifico Inesistente

La vicenda ha origine dalla vendita online di un ciclomotore. Il proprietario viene contattato da un soggetto ignoto con cui concorda il prezzo e le modalità di consegna. L’accordo prevede che a ritirare il mezzo si presenti il ‘padre’ dell’acquirente.

Sul luogo dell’incontro, si presenta l’imputato, il quale, per ottenere la consegna del ciclomotore, esibisce al venditore una ricevuta di bonifico bancario palesemente falsa. Rassicurato dall’apparente pagamento, il venditore consegna il veicolo. Solo in seguito, non vedendo accreditato il denaro, la vittima scopre che la filiale bancaria indicata sulla ricevuta non esisteva da anni, realizzando di essere stata truffata.

Condannato in primo e secondo grado, l’imputato propone ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua condotta fosse un post factum non punibile, ovvero un’azione successiva a un reato già concluso da altri.

Le Doglianze dell’Imputato sulla truffa contrattuale

Il ricorrente basava la sua difesa su tre motivi principali:

1. Vizio procedurale: Un presunto errore nella notifica dell’atto di citazione per il giudizio d’appello, a causa di una modifica legislativa intervenuta nel frattempo.
2. Errata applicazione della legge penale: La tesi centrale era che la truffa contrattuale si fosse già consumata al momento dell’accordo tra la vittima e il complice ignoto. Di conseguenza, il suo intervento successivo – il ritiro del mezzo con la finta ricevuta – sarebbe stato un fatto posteriore al reato e quindi non punibile in concorso.
3. Vizio di motivazione sulla pena: Una presunta carenza di motivazione da parte dei giudici di merito nel determinare l’entità della sanzione.

L’Analisi della Corte: Quando si consuma la truffa contrattuale?

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando una per una le tesi difensive e fornendo chiarimenti cruciali, specialmente sul tema della consumazione del reato.

La questione procedurale sulla notifica

Sul primo punto, la Corte ha applicato il principio tempus regit actum. Poiché l’atto di appello era stato depositato quando era ancora in vigore la vecchia normativa sulle notifiche, quella normativa continuava a regolare la procedura, nonostante la sua successiva abrogazione. La notifica era quindi da considerarsi valida.

La consumazione del reato e il ruolo del complice

Il cuore della sentenza risiede nella disamina del secondo motivo. La Cassazione ha ribadito, richiamando anche le Sezioni Unite, che nella truffa contrattuale il reato non si consuma con la mera assunzione di un’obbligazione. Il momento decisivo è quello in cui si verifica la deminutio patrimonii, ovvero l’effettiva perdita economica per la vittima, e contestualmente l’ingiusto profitto per l’agente.

Nel caso specifico, l’accordo verbale non aveva ancora causato alcun danno. Il danno si è concretizzato solo con la consegna del ciclomotore. Tale consegna è stata ottenuta proprio grazie all’azione ‘materiale’ e fraudolenta dell’imputato: l’esibizione della ricevuta falsa. La sua condotta non era quindi un post factum irrilevante, ma un elemento essenziale ed esecutivo del piano criminoso, strumentale a perfezionare il reato. La sua consapevolezza e il suo ruolo attivo integravano pienamente il dolo di concorso.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte motiva la sua decisione sottolineando come l’azione dell’imputato sia stata la causa diretta del pregiudizio economico della vittima. Senza la presentazione del documento falso, il venditore non avrebbe consegnato il bene. L’intervento dell’imputato è stato quindi un anello fondamentale della catena causale che ha portato alla consumazione della truffa. Non si tratta di un’azione successiva e slegata, ma della fase esecutiva finale del reato, senza la quale l’ingiusto profitto non sarebbe stato conseguito. Per quanto riguarda il vizio di motivazione sulla pena, la Corte lo ha ritenuto infondato, dato che la pena inflitta era di poco superiore al minimo edittale e adeguatamente motivata in primo grado.

Conclusioni

Questa sentenza è un monito importante per chiunque operi in contesti contrattuali, specialmente online. La truffa contrattuale si perfeziona non al momento della stretta di mano o dell’accordo verbale, ma quando il patrimonio della vittima viene effettivamente leso. Qualsiasi azione, anche se compiuta da un complice in una fase apparentemente ‘esecutiva’, che sia determinante per causare tale danno, è da considerarsi parte integrante del reato e come tale è punibile. La decisione riafferma un’interpretazione della norma che mira a tutelare la vittima fino al momento dell’effettiva perdita del bene, offrendo una protezione più concreta ed estesa.

In una truffa contrattuale, quando si considera consumato il reato?
Secondo la Corte di Cassazione, il reato di truffa contrattuale non si consuma al momento della stipula del contratto, ma quando si verifica l’effettivo danno patrimoniale per la vittima e, contemporaneamente, l’ingiusto profitto per chi commette il reato. Nel caso di una vendita, questo momento coincide con la perdita della disponibilità del bene da parte del venditore.

L’azione di un complice che interviene dopo la stipula di un contratto fraudolento è punibile?
Sì, è punibile a titolo di concorso nel reato. Se la sua azione è necessaria e determinante per causare il danno effettivo alla vittima e assicurare il profitto ai truffatori (come presentare una ricevuta di pagamento falsa per ottenere la consegna di un bene), essa è considerata parte integrante della condotta criminosa e non un fatto successivo non punibile (post factum non punibile).

Una norma processuale che viene abrogata può ancora applicarsi a un procedimento?
Sì, in base al principio ‘tempus regit actum’ (il tempo regola l’atto). Se un atto giuridico, come il deposito di un appello, è stato compiuto quando una certa norma era in vigore, le procedure ad esso collegate continuano a essere regolate da quella norma, anche se in seguito viene abrogata, a meno che la nuova legge non preveda disposizioni transitorie specifiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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