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Truffa carta prepagata: quando il titolare è complice

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per truffa. Secondo la Corte, essere il titolare della carta prepagata su cui vengono accreditati i proventi illeciti è un elemento decisivo per affermare la responsabilità penale. L’ordinanza chiarisce che fornire lo strumento per incassare il profitto di una truffa carta prepagata costituisce un ruolo essenziale nella consumazione del reato, rendendo il ricorso basato su censure generiche inammissibile.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa con Carta Prepagata: La Cassazione Conferma la Responsabilità del Titolare

L’uso crescente di strumenti di pagamento elettronici ha purtroppo portato a un aumento delle frodi online. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico di truffa carta prepagata, stabilendo un principio fondamentale sulla responsabilità penale del titolare della carta utilizzata per ricevere i proventi del reato. Vediamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di truffa, previsto dall’art. 640 del codice penale. L’imputato aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello, sostenendo principalmente due motivi: l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato di truffa e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

In sostanza, la difesa contestava che il solo fatto di essere l’intestatario della carta prepagata su cui era stata accreditata la somma proveniente dalla truffa potesse essere considerato prova sufficiente della sua partecipazione al reato.

La Decisione della Corte di Cassazione e la truffa carta prepagata

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. La decisione si basa su un’analisi rigorosa dei requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione e riafferma principi giurisprudenziali consolidati in materia.

Secondo gli Ermellini, il ricorso non superava il vaglio di ammissibilità perché i motivi presentati non erano specifici, ma si limitavano a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza un reale confronto critico con le motivazioni della sentenza impugnata.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha fondato la sua decisione su due pilastri argomentativi principali, uno per ciascun motivo di ricorso.

La Responsabilità del Titolare della Carta Prepagata

Sul primo punto, relativo alla responsabilità per il reato di truffa, la Cassazione ha ribadito un orientamento ormai consolidato. Il fatto che l’imputato fosse il titolare della carta prepagata su cui è confluito il profitto illecito non è un dettaglio secondario, ma un “elemento di decisiva rilevanza”.

La Corte chiarisce che l’incameramento del profitto su una carta intestata al ricorrente, i cui estremi sono stati comunicati alla vittima per il pagamento, dimostra un ruolo essenziale nella consumazione del reato. Fornire lo strumento per ricevere il denaro è un atto che si inserisce a pieno titolo nella condotta criminosa. Di conseguenza, le censure dell’imputato, che non contestavano specificamente questa logica, sono state ritenute generiche e, quindi, inammissibili.

Il Diniego delle Attenuanti Generiche

Anche il secondo motivo, relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha ricordato che il giudice di merito non è obbligato a prendere in considerazione ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole. È sufficiente che la motivazione del diniego si basi sugli elementi ritenuti decisivi o comunque più rilevanti per la valutazione.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e coerente per negare le attenuanti, rendendo la censura sollevata nel ricorso del tutto infondata.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio di grande importanza pratica: nella truffa carta prepagata, l’intestatario dello strumento di pagamento utilizzato per incassare i proventi del reato è considerato a tutti gli effetti partecipe, salvo prova contraria molto solida. Prestare la propria carta prepagata o il proprio conto corrente per operazioni poco chiare non è un’azione priva di conseguenze e può integrare una piena responsabilità penale. Questa decisione serve come monito sulla necessità di gestire con la massima attenzione i propri strumenti finanziari, poiché la loro intestazione crea un legame diretto e probatoriamente significativo con le operazioni per cui vengono utilizzati.

Essere il titolare della carta prepagata su cui viene accreditato il profitto di una truffa è sufficiente per essere ritenuti responsabili?
Sì, la Corte di Cassazione lo considera un elemento di decisiva rilevanza per affermare la responsabilità penale. L’incameramento del profitto su una carta intestata all’imputato costituisce un ruolo essenziale nella consumazione del reato.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile, tra le altre ragioni, quando i motivi non sono specifici e si limitano a ripetere censure già respinte nel precedente grado di giudizio, senza confrontarsi criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata, come previsto dall’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.

Quando un giudice nega le attenuanti generiche, deve motivare analiticamente su ogni elemento a favore o sfavore dell’imputato?
No, non è necessario. Secondo la giurisprudenza costante, è sufficiente che il giudice di merito faccia riferimento agli elementi ritenuti decisivi o comunque rilevanti per la sua decisione, potendo così disattendere o ritenere superati tutti gli altri elementi dedotti dalle parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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