Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8329 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8329 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone avverso l’ordinanza del 19/10/2023 del Tribunale di Catania visti gli atti del procedimento a carico di NOME COGNOME;
visto il provvedimento impugnato, il ricorso e le memorie delle parti;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del dl. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
lette le conclusioni del difensore della terza interessata NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 19 ottobre 2023 con la quale il Tribunale di Catania ha annullato il sequestro preventivo della somma pari ad euro 397.322,82, disposto in data 8 ottobre 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltagirone, quale provento del delitto di truffa ai danni dello Stato.
Nella parte motiva dell’ordinanza oggetto del presente ricorso, si riqualificava la condotta ai sensi dell’art. 316-ter, secondo comma, cod. pen. e, non essendo superata la soglia di punibilità per ciascuna indebita erogazione, il sequestro preventivo veniva annullato per assenza del fumus del reato contestato, con restituzione di quanto in sequestro.
Il ricorrente, con l’unico motivo di impugnazione, lamenta violazione ed erronea applicazione degli artt. 316-ter e 640-bis cod. pen. conseguente alla riqualificazione giuridica del fatto nell’illecito amministrativo di cui al comma secondo dell’art. 316-ter cod. pen.
2.1. A giudizio del ricorrente, le condotte contestate (dichiarazione di sussistenza dei presupposti per il conseguimento del cd. bonus cultura, simulazione di acquisti di libri con emissione di false fatture, falsa attestazione di vendita di libri ai titolari del bonus, inserimento della falsa dicitura sulla piattaforma, mancata redazione del prospetto delle rimanenze, emissione di scontrini fiscali dalla cifra irrisoria rilasciati a garanzia del prodotto elettronico venduto) si tradurrebbero in una artificiosa rappresentazione della realtà idonea a trarre in inganno l’ente erogatore e, quindi, ricadrebbero nella fattispecie criminosa di cui all’art. 640-bis cod. pen.
La parte pubblica ha richiamato, in proposito, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha affermato il carattere residuale e sussidiario dell’art. 316-ter cod. pen. che “punisce condotte decettive, non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate da false dichiarazioni o dall’uso di atti/documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non dipende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore che non viene indotto in errore perché si rappresenta solo l’esistenza della formale attestazione del ricorrente” (vedi pag. 3 del ricorso).
2.2. In subordine il ricorrente ha eccepito l’erroneità della motivazione nella parte in cui il fatto è stato ritenuto idoneo a perfezionare l’illecito amministrativo di cui al comma secondo dell’art. 316-ter cod. pen., operando il frazionamento degli importi, di volta in volta, conseguiti daill’indagato all’interno delle singole annualità.
In ulteriore subordine, il ricorrente deduce l’omessa valutazione di elementi fattuali emergenti dagli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza dai quali risaltava il dato del superamento della soglia di rilevanza penale in relazione ad una pluralità di singole operazioni realizzate dall’indagato sia nel 2017 che nel 2018.
In particolare, il Tribunale avrebbe erroneamente ignorato che numerose erogazioni stanziate dalla RAGIONE_SOCIALE sarebbero superiori alla soglia dei 3.999,96 euro -come desumibile dalla tabella allegata all’annotazione di p.g. datata 5 maggio 2023- con conseguente mancato superamento della soglia di punibilità in relazione alle singole erogazioni.
3. In data 15 dicembre 2023 la terza interessata NOME COGNOME, per mezzo del difensore, ha chiesto l’annullamento del provvedimento di dissequestro in accoglimento del motivo di riesame puntualmente presentato ed in subordine, in caso di accoglimento del ricorso del Pubblico ministero, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata affinché il Tribunale esamini nel merito i motivi di riesame in quella sede svolti dalla COGNOME a sostegno delle proprie ragioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
La fattispecie oggetto di scrutinio è stata già specificamente affrontata da questa Corte, su ricorsi sovrapponibili, con argomentazioni che il Collegio condivide e intende ribadire. In particolare, i giudici di legittimità hanno chiarito che per una compiuta considerazione del caso concreto o:corre “partire” dall’insegnamento delle Sezioni Unite di cui alla sentenza “COGNOME” (vedi, Sez. 2, n. 30865 del 06/06/2023, COGNOME, non massimata).
In detta pronuncia sono stati indicati, infatti, alcuni principi cardine che non sono mai stati messi in discussione dalla giurisprudenza success va. In primis, si è affermato che la verifica circa la distinzione tra i due reati deve avvenire caso per caso proprio in forza della problematicità astratta della questione. In secondo luogo, si è riconosciuto che l’applicazione dell’art. 316-ter cod. pen. deve avere carattere residuale consono alla sua natura di norma volta ad «estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa» (Sez. u. n. 16568 del 19/04/2007, COGNOME, Rv. 235962 01), come dimostra anche il fatto che il legislatore, nel delineare la fattispecie, ha previsto una apposita clausola di riserva (“salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640-bis cod. pen.”).
Tale carattere residuale, indirizzato a limitare la portata applicativa dell’art. 316-ter cod. pen. a «situazioni del tutto marginali», ne riduce l’ambito a condotte come «il silenzio antidoveroso», ovvero a quelle che non inducano «effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale». Ed a questo
proposito, fin da quella decisione si era evidenziato come particolarmente problematico proprio il caso in cui «il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l’effettivo accertamento da parte dell’erogatore dei presupposti del singolo contributo ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche.
Sicché in questi casi, l’erogazione può non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’erogatore, che in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale dichiarazione del richiedente. D’altro canto, l’effettivo realizzarsi di una falsa rappresentazione della realtà da parte dell’erogatore, con la conseguente integrazione degli estremi della truffa, può dipendere, oltre che dalla disciplina normativa del procedimento, anche dalle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto» (pagg. 8 e 9, della sentenza COGNOME).
La successiva sentenza delle Sezioni unite (n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Pizzuto, Rv. 249105-01) ha ribadito detti principi, rimarcando ancora il carattere sussidiario e residuale dell’art. 316-ter cod. pen. rispetto alla truffa, la valutazione in concreto e caso per caso dell’accertamento in ordine alla sussistenza degli artifici e raggiri e della induzione in errore, stabilendo che «l’art. 316-ter cod. pen. punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente» (pagg. 7 e 8 della sentenza Pizzuto).
Ciò premesso deve essere rimarcato che, nelle ipotesi in cui la condotta illecita, per le sue modalità concrete – si esaurisca nella sola falsa dichiarazione all’ente erogatore, potrà aversi il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., dal momento che l’ente, in assenza di controlli preventivi e, dunque, di una autonoma e preliminare attività di accertamento, baserà la sua potestà deliberativa a favore del richiedente l’incentivo solo sulla effettiva esistenza della dichiarazione mendace che costituisce sostanzialmente l’unica condotta penalmente rilevante messa in atto dall’agente, vale a dire il fatto di reato in sé, che può prescindere dalla esistenza di artifici e raggiri pur rimanendo penalmente rilevante in quanto punito dalla fattispecie residuale.
Non è un caso, infatti, che le sentenze volte a ritenere sussistente il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. abbiano avuto ad oggetto casi concreti nei quali, da un lato, il procedimento per l’erogazione di un qualche beneficio pubblico era
assai semplice; dall’altro, la condotta dell’agente si esauriva nella presentazione della dichiarazione falsa, della cui esistenza l’ente prendeva atto (Sez. 2, n. 6915 del 25/01/2011, COGNOME, Rv. 249470; Sez. 2, n. 46064 del 19/10/2012, COGNOME, Rv. 254354; Sez. 2, n. 49642 del 17/10/2014, COGNOME, Rv. 261000; Sez. 6, n. 51962 del 02/10/2018, COGNOME, Rv. 274510).
Ed ancora è stato puntualizzato da queste Corte che le prospettive da analizzare sono due: la normativa specifica che sovrintende all’istituto del bonus cultura e le specificità del caso concreto. In particolare, gli articoli 7, 8 e 9 del DPCM 15 settembre 2016, n. 187, come modificato dapprima con il DPCM 4 agosto 2017 e successivamente con il DPCM 21 dicembre 2018, prevedono una serie di attività da compiere sia da parte del titolare della carta servizi che da parte dell’esercizio commerciale presso il quale vengono spesi i voucher, che non possono essere considerati autonomamente e che consentono di individuare diverse fasi (almeno tre) di una procedura complessa.
Ad una prima fase, che riguarda l’utilizzo della carta servizi e che comporta il necessario concorso del beneficiario dell’erogazione e di colui che fornisce i servizi mediante accesso alla piattaforma (nel caso di specie l’utilizzo del credito per la mera monetizzazione dell’importo dell’erogazione, attraverso il trattenimento di una somma “per il servizio svolto” e l’accredito su di una carta prepagata del beneficiario), segue una seconda fase nella quale la RAGIONE_SOCIALE che, per legge, opera in nome del RAGIONE_SOCIALE e che, mediante acquisizione dei dati dall’apposita area disponibile sulla piattaforma informatica dedicata, nonché dalla piattaforma di fatturazione elettronica della pubblica amministrazione, provvede al riscontro delle fatture e, solo successivamente al loro ”controllo”, alla liquidazione delle stesse: riscontro che non può ritenersi come meramente formale, ossia privo della possibilità di valutazione sull’esistenza del credito, laddove ciò che l’ente è chiamato a fare è testualmente un “riscontro” tra dati esistenti su due piattaforme, e questo tanto più a seguito dell’ulteriore adempimento previsto a partire dal 2020 del cd. “Registro Vendite” nel quale l’esercente deve annotare la descrizione del bene venduto al beneficiario con i relativi documenti fiscali rilasciati, riportando il dato in fattura, per ogni buono inserito. Infine, si pone una terza fase, consistente nel controllo in fase di liquidazione; controllo (ulteriore) preordinato al riconoscimento del credito ed al pagamento delle somme e che, rispetto al controllo di cui all’art. 8, si pone come successivo ed eventuale, essendo preordinato alla disattivazione della Carta o alla cancellazione dall’elenco dell’esercente.
In tal senso la giurisprudenza di legittimità ha rimarcato che, ai fini della sussistenza del delitto di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, non assume rilievo la mancanza di diligenza da parte dell’ente erogatore nell’eseguire
adeguati controlli in ordine alla veridicità dei dati forniti dal richiedente il contributo pubblico, in quanto tale circostanza non esclude l’idoneità del mezzo truffaldino, risolvendosi in una mancanza di attenzione determinata dalla fiducia ottenuta proprio con gli artifici ed i raggiri (Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268960, nella cui parte motiva, la S.C. ha aggiunto che la responsabilità penale è collegata al fatto dell’agente ed è indipendente dalla eventuale cooperazione, più o meno colposa, della vittima negligente; nello stesso senso, v. Sez. 2, n. 42867 del 20/06/2017, Gulì, Rv. 271241, secondo cui è configurabile il reato di truffa nei confronti di chi utilizza fotocopie contraffatte di documenti originali, a nulla rilevando in senso contrario la mancata diligenza da parte della vittima nel non esigere dall’autore della condotta ingannatoria gli atti originali per verificarne la veridicità; Sez. 2, n. 51166 del 25/06/2019, COGNOME, Rv. 278011, secondo cui la valutazione dell’idoneità astratta dell’artificio e raggiro ad ingannare l’altrui buona fede assume rilevanza nella sola ipotesi del tentativo e non in presenza di reato consumato, in quanto, in tale ultimo caso, l’effetto raggiunto dimostra implicitamente l’effettiva idoneità della condotta; Sez. 2, n. 51538 del 20/11/2019, C., Rv. 278230, secondo cui, ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l’idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione spesso determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri.
2. Ciò premesso occorre considerare che il Tribunale, nel caso di specie, è incorso nella denunciata violazione di legge, avendo omesso di considerare l’insieme delle condotte e lo specifico contesto nell’ambito del quale sono state realizzate le azioni contestate, con particolare riferimento ad una rilevante serie di condotte decettive per la fruizione del bonus, mediante l’esercizio commerciale del COGNOME idoneo per l’accreditamento, usato come schermo; la ricerca dei giovani titolari delle carte e l’accordo per la monetizzazione dei buoni; le singole operazioni di accesso alla piattaforma, insieme con il titolare della carta, con la falsa prospettazione dell’effettuazione di una operazione consentita; infine la richiesta del rimborso con l’invio delle fatture e, nel 2020 anche la dichiarazione del bene specifico fornito. Complessiva condotta, che presupponeva il possesso di diversi requisiti in capo ai richiedenti il beneficio fiscale che l’Erario ha ritenuto falsamente esistenti in base alla dichiarazione presentata, venendo indotto in errore sulla sussistenza di tutti i presupposti per accedere al beneficio ben diversi dalla mera comunicazione formale.
A giudizio del Collegio la ricostruzione formalistica adottata dai giudici del riesame è foriera di una ingiustificata dilatazione dell’ambito applicativo del reato
di cui all’art. 316-ter cod. pen. – non rispondente alla natura della fattispecie ed ai principi di diritto che si sono analizzati – a casi nei quali, come quello in esame, è incontestata la commissione di una rilevante attività truffaldina, ricca di artifici e raggiri posta in essere dagli autori del reato ed idonea ad indurre in errore il soggetto passivo attraverso la falsa dichiarazione all’ente, che si pone solo come uno dei tanti segmenti della azione delittuosa, della cui complessiva portata non vi era ragione alcuna di non tener conto nella ricostruzione d’insieme del caso concreto (sia pure ancora a livello indiziario) e della consequenziale sua definizione giuridica (vedi Sez. 2, n. 30865 del 06/06/2023, cit.).
Di quest’ultima, qui effettuata ai sensi dell’art. 640-bis cod. pen. in ragione di quanto detto, il giudice del rinvio dovrà tenere conto per i successivi provvedimenti che vorrà adottare sulla domanda cautelare.
Tutto ciò considerato, va anche detto che, quand’anche si ritenesse corretta la tesi prospettata nel provvedimento impugnato, secondo cui il criterio del calcolo della soglia di punibilità sia da correlarsi a ciascuna singola erogazione, si sarebbe comunque in presenza del reato di cui al primo comma dell’art. 316-ter cod. pen.: il giudice dell’impugnazione avrebbe, quindi, dovuto analizzare le singole erogazioni stanziate dalla RAGIONE_SOCIALE, molte delle quali superiori alla soglia di euro 3.999,96 euro.
In conclusione, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Catania per nuovo giudizio. Il rinvio consentirà al Tribunale anche di esaminare gli ulteriori motivi di riesame proposti dalla terza interessata in ordine all’appartenenza di parte del compendio sequestrato, non scrutinabili in questa sede in difetto della relativa impugnazione.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catania, competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, c.p.p.
Così deciso il 19 gennaio 2024
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