Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27340 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27340 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME COGNOME nato a Roma il 13/07/1997; assistito dall’avv. NOME COGNOME NOME COGNOME di fiducia; avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma in data 20/12/2024; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che non è stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni redatte in data 12/06/2025 dall’avv. NOME COGNOME per la parte civile RAGIONE_SOCIALE con le quali si chiede di dichiarare il ricorso inammissibile e di rigettarlo;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 20 dicembre 2024 la Corte di Appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza emessa in data 14 maggio 2024 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, rideterminando la pena inflitta a NOME COGNOME in anni due, mesi sei e giorni 20 di reclusione ed euro 800,00 di multa, revocando le statuizioni civili e confermando nel resto per i reati di sostituzione di persona e truffa aggravata telematica.
Il reato risulta consumato dal febbraio 2020 all’agosto 2021.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, articolando tre motivi.
2.1. Con primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed cod. proc. pen. violazione di legge in relazione all’art. 648 cod. pen., oltreché vizio di motivaz sul punto per carenza e illogicità; in particolare, il ricorrente deduce la non configurabili reato di ricettazione di cui al capo 3 c), essendo relativo a patente di guida intestata a pers di sesso femminile e quindi inutilizzabile dal Casale per fini di identificazione diretta, ed utilizzata dalla coimputata NOME COGNOME, sua convivente, per l’attivazione dell’utenza telefonic poi impiegata nelle truffe; assume la difesa che non sarebbe pertanto configurabile il dol specifico richiesto dall’articolo 648 cod. pen., in mancanza di un vantaggio diretto per l’imputa potendo così essere integrati altri reati (le truffe e la sostituzione di persona di cui al ca per le quali l’imputato è stato condannato) ma non il reato di cui all’articolo 648 cod. pen..
2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ex art 606, comma 1, lettere d) ed e) cpp., la violazione di legge in relazione alla circostanza aggravante della minorata difesa previs dall’articolo 61, n. 5 cod. pen., oltreché vizio di motivazione sul punto;
in particolare, la difesa assume – citando giurisprudenza di questa sezione – che la circostanz aggravante della minorata difesa per i reati di truffa online non sarebbe applicabile nei casi com quello di specie in cui le trattative, seppure iniziate su piattaforme online, vengono poi prosegu tramite contatti diretti con le vittime per via telefonica o mediante applicazioni di messaggis (whatsapp, Messenger); si duole la difesa che la motivazione della Corte di appello sarebbe carente e illogica, non avendo valutato le specifiche modalità dei contatti intercorsi in ogni sing truffa, limitandosi ad affermare genericamente che anche le applicazioni whatsapp e Messenger rientrerebbero nei contatti virtuali e non eliminano la vulnerabilità della vittima.
2.3 Con il terzo motivo, parimenti riferito all’aggravante della minorata difesa, si deduce violazione dell’art. 2 cod. pen. in relazione alla successione delle leggi nel temp all’interpretazione dell’aggravante di cui all’articolo 61 n. 5 cod. pen. nella forma introd modificata dalla c.d. riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022). In particolare, assume la difesa che Corte di appello non avrebbe valutato l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in senso favorevole all’imputato, né la non automatica applicabilità dell’aggravante della minorata difes dopo la c.d. riforma Cartabia, omettendo di verificare in concreto l’effettiva condizione minorata difesa, secondo quanto imposto dalla recente giurisprudenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Osserva il collegio che tutte le censure avanzate dal ricorrente appaiono generiche, aspecifiche, meramente reiterative di questioni già disattese dai giudici di appello con congrua motivazione e, comunque, manifestamente infondate.
2.1. Va premesso che in tema di motivi di ricorso per cassazione non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esisten o affermato quando mancante), essendo pertanto inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stess illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giun a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della probatoria del singolo elemento». (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, 0., Rv. 26296501).
2.2. Ciò posto, ben può affermarsi che i giudici di merito nelle due sentenze le cu motivazioni si integrano, trattandosi di c.d. “doppia conforme” (la corte di appello semplicemente ridotto la pena, avendo rilevato un errore nel calcolo nell’aumento per la continuazione e revocato le statuizioni civili nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, non esse risultata la spendita della denominazione aziendale) hanno effettuato la disamina dei fatti i contestazione, affermando la sussistenza anche del reato di ricettazione di cui al capo 3c), con motivazione che non è carente, né manifestamente illogica e neanche contraddittoria. Il ricorrente revoca in dubbio la giuridica configurabilità in capo al Casale del delitto di ricetta della patente di provenienza furtiva, non potendo questi trarne alcun vantaggio diretto per essere il documento intestato a soggetto di sesso femminile.
Va richiamato in proposito l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, secondo i quale la nozione di profitto prevista dall’art. 648 cod. pen. comprende non solo il lucro, qualsiasi utilità, anche non patrimoniale, che l’agente si proponga di conseguire (Cass. n. 11083 del 12/10/2000, Rv. 217382; Cass. n. 44378 del 25/11/2010,Rv. 24945; Cass. n.15680 del 22/03/2016, Rv.266516).
La Corte territoriale ha fatto buon governo del principio giurisprudenziale citato, spiegando (pa 10 sentenza impugnata), con argomentazione logica ed esente da vizi motivazionali, la sussistenza dell’interesse dell’imputato a ricevere la patente di guida oggetto di furto, che gli permesso, secondo la coerente ricostruzione dei giudici d’appello, di conseguire il profitto dell truffe, commesse in concorso con la coimputata NOME COGNOME sua convivente, per la cui consumazione il documento è stato impiegato, al fine di attivare le utenze telefoniche da lui
utilizzate direttamente e in prima persona per rendere più complessa la sua identificazione da parte delle vittime delle truffe.
2.3 Del pari infondata è la doglianza relativa all’aggravante della minorata difesa di c all’art. 61 n. 5 cod. pen.. «In tema di truffa “on line”, è configurabile l’aggravante della min difesa, con riferimento all’approfittamento delle condizioni di luogo, solo quando l’autore abb tratto, consapevolmente e in concreto, specifici vantaggi dall’utilizzazione dello strumento del rete (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l’esclusione dell’aggravante in relazione vendita di un’autovettura, attraverso un portale dedicato, ad un cittadino olandese che, corrisposto il prezzo senza prima visionarla, non ne aveva conseguito la consegna, rilevando come le modalità telematiche della vendita non avevano avvantaggiato l’imputato, atteso che lo stesso aveva fornito la propria reale identità ed il bene era esistente e visionabile in un salo pur appositamente allestito per la perpetrazione delle truffe», Sez. 2, Sentenza n. 28070 del 08/04/2021, Poropat, Rv. 281800 – 01).
Più specificamente, è stato spiegato che «sussiste l’aggravante della minorata difesa, con riferimento alle circostanze di luogo, note all’autore del reato e delle quali egli, ai sensi de 61, n. 5, cod. pen., abbia approfittato, nell’ipotesi di truffa commessa attraverso la vendit prodotti “on-line”, poichè, in tal caso, la distanza tra il luogo ove si trova la vittima, che d paga in anticipo il prezzo del bene venduto, e quello in cui, invece, si trova l’agente, determi una posizione di maggior favore di quest’ultimo, consentendogli di schermare la sua identità, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirent e di sottrarsi agevolmente alle conseguenze della propria condotta (Sez. 6, Sentenza n. 17937 del 22/03/2017, COGNOME, Rv. 269893 – 01).
A fronte dei fatti descritti nell’imputazione, la motivazione del provvedimento impugnato risulta conforme ai principi di diritto ora enunciati, in quanto emerge come il ricorrente ab indotto in errore le vittime approfittando dalla distanza dei luoghi, tale da impedire la ver dei beni da lui offerti in vendita (ovvero da lui acquisitati con invio di copia di falsi b ricorrendo a false generalità. Da qui la manifesta infondatezza delle obiezioni difensiv risultando irrilevante che al primo contatto sulla rete siano seguiti contatti telefonici (anch messaggistica istantanea), atteso che ciò che rileva e che risulta dirimente è l’acclara impossibilità della verifica dei beni offerti in vendita, in ragione della distanza dei luog l’imputato ha fatto ricorso quale strumento essenziale per la perpetrazione delle truffe, altrime non realizzabili.
2.4 Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto totalmente generico. Il ricorrente, invero, si limita ad affermare che la riforma c.d. Cartabia avrebbe “inciso sull’asse complessivo delle aggravanti” (pagg. 7 e 8 ricorso), senza peraltro specificare né a quali modifiche normative faccia riferimento né come le stesse avrebbero inciso nel caso di specie.
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pe la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento in favore
della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativannente in euro tremila.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente