Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44817 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44817 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
COGNOME NOMECOGNOME nato a Macerata il 25.7.1950, contro la sentenza della Corte d’appello di Milano del 14.5.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per i’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza con cui, in data 28.10.2022, il Tribunale del capoluogo meneghino aveva riconosciuto NOME
COGNOME responsabile del delitto di truffa aggravata e, con la contestata recidiva, l’aveva condannato alla pena finale di anni 2 di reclusione ed euro 800 di multa oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile liquidati nella misura di euro 67.100,00 oltre che all rifusione delle spese da questa sostenute;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: rileva che la sentenza impugnata ha sostenuto che il primo motivo di appello si risolveva nella riproposizione delle medesime tesi difensive già prospettate nel corso del processo, non considerando che l’appello altro non può fare se non criticare la sentenza impugnata per non aver accolto la tesi difensive sicché la Corte d’appello non può limitarsi a richiamare le motivazioni con cui esse erano state disattese dal giudice di primo grado; aggiunge che la Corte non ha risposto al rilievo difensivo circa la responsabilità e le ragioni della mancata conclusione del contratto ascrivibile al RAGIONE_SOCIALE non in grado di garantire la richiesta qualità dei materiali forniti, e non ha tenuto conto di una serie di documenti a partire dalla mail del 24.6.2015 e quella del 3.6.2015 che dimostrano da un lato che il contratto non era stato ancora concluso e che la ditta del RAGIONE_SOCIALE non era in grado di garantire la qualità della fornitura; osserva che, per altro verso, la Corte d’appello, dopo aver dato conto dell’effettiva esistenza dell’affare in forza di elementi risalenti a 2012-2013, ha valorizzato l’assenza di ulteriori riscontri sino al 2015 per concludere nel senso che esso era in realtà inesistente aggiungendo che, proprio con l’atto di appello, la difesa aveva allegato documenti che dimostravano gli impedimenta al perfezionamento della fornitura quali, in particolare, la mail del 24.2.2015 seguita a quella del 30.1.2015 ed a quelle del 30.12.2014 e del 21.12.2014 concernenti le modalità di certificazione della qualità dei materiali, ambito in cui il COGNOME era inesperto; sottolinea come le rnail del 26.1.2015 e del 12.3.2015 fossero a tal proposito emblematiche; richiama, ancora, l’ulteriore passaggio della sentenza di appello relativo alla vicenda “COGNOME” segnalando come i giudici di appello abbiano fondato la loro decisione su elementi insussistenti tra cui, in particolare, la destinazione al COGNOME delle somme richieste dal COGNOME, risultando perciò del tutto arbitrario il collegamento tra le due vicende; osserva che altro elemento valorizzato dai giudici di merito e, in realtà, fondato su prove insussistenti, è il preteso rifiuto del COGNOME di farsi accompagnare dal COGNOME presso i committenti esteri; osserva, ancora, che un ulteriore elemento a carico era stato individuato nella inattività della società dei ricorrente che, pur Corte di Cassazione – copia non ufficiale
sussistente, è stato tuttavia vagliato unitamente agli altri ed utilizzato per giudicare attendibile la persona offesa, invece smentita sotto diversi profili;
2.2 inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, con riguardo all’art. 533 cod. proc. pen.: rileva che gli elementi esposti nel primo motivo, ove vagliati dalla Corte d’appello, sarebbero stati idonei ad introdurre un “ragionevole dubbio” sulla responsabilità dellOimputato;
2.3 inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si debba tener conto nell’applicazione della legge penale, con riguardo all’art. 99 cod. pen.: rileva che, motivando sulla mancata esclusione della recidiva contestata, la Corte ha evocato condanne per reati per i quali era maturata la causa estintiva del positivo superamento dell’affidamento in prova ai servizi sociali; contesta, inoltre, il riferimento alla soluzione cui sono pervenute le Sezioni Unite di questa Corte in ordine alla necessità, ritenuta invece imprescindibile, della previa dichiarazione di recidiva per poter successivamente ritenere la recidiva reiterata;
2.4 inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si debba tener conto nell’applicazione della legge penale, con riguardo all’art. 157 cod. pen.: rileva che conseguenza diretta dell’esclusione della recidiva è la maturata prescrizione del reato;
la Procura Generale ha trasmesso le conclusioni scritte insistendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate o non consentite in questa sede.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito ed all’esito di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, del delitto di truffa aggravata per avere usato artifizi e raggiri consistiti nel “… carpire la fiducia della p.o. facendosi a lui presentare d NOME COGNOME persona che aveva proposto il presunto affare al COGNOME per il tramite di NOME COGNOME dipendente fidato …; organizzare numerosi incontri finalizzati a definire l’affare …; rassicurare continuamente la p.o. sul fatto che il 20% dell’importo complessivo per l’avvio delle forniture non arrivasse era dovuto solo ad un contrattempo e che lui stesso era dovuto partire per andare in Danimarca
urgentemente per risolvere delle questioni … al fine di procurarsi l’ingiusto profitto di 67.100 euro … simulava la possibilità di far aggiudicare alla società RAGIONE_SOCIALE commesse per un importo lordo di 10.517.000,00 per la fornitura di travi metalliche … per un cantiere appartenente alla ditta dell’indagato … da allestire a Copenaghen … così inducendo in errore NOME COGNOME che sottoscriveva contratti ed accordi con la predetta società a cui corrispondeva l’importo di 67.100 come compenso per la consulenza, l’assistenza tecnico commerciale ed il coordinamento tra … senza successivamente ricevere le commesse promesse e garantite dall’indagato …”.
Il ricorrente deduce, con il primo ed articolato motivo, vizio di motivazione in punto di responsabilità.
2.1 Ebbene, il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. n. 41738 del 19/10/2011, COGNOME, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, COGNOME, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valen probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 – , n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
Né, per altro verso, è consentito il ricorso per cassazione che, “sub specie” della violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., finisce in realtà per fondarsi su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (cfr., Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, COGNOME ed altro, Rv. 266924; Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 258153; conf., ancora, Sez. U – , n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 04, in cui la Corte ha ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, e inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità).
E, d’altra parte, è certamente preclusa al giudice di legittimità l’operazione di rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez. 6 – , n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148, in cui la Corte ha affermato che il controllo del giudice di legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606 cod. proc. pen. ad opera della L. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo e di una correlata pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale “esistenza” della motivazione ed alla “resistenza” logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; conf., da ultimo, Sez. 3 – , n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 – 01, in cui la Corte ha ribadito che eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente
apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile).
Vagliando, inoltre, la completezza e congruità della motivazione della sentenza di appello, si è da sempre ribadito che l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata non è di per sé rilevante laddove l’apparato motivazionale offra, nel suo complesso, ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non potendo perciò comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione che rileva solo quando, per effetto di tale critica, ed all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, il ragionamento risulti disarticolato in uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (cfr., Sez. 1, Sentenza n. 46566 del 21/02/2017, M. ed altri Rv. 271227).
La difesa, con il secondo motivo, ha inoltre censurato la sentenza impugnata perché resa in presenza di elementi idonei a fondare un “ragionevole dubbio” sulla responsabilità dell’imputato: è allora appena il caso di segnalare, con la costante giurisprudenza di questa Corte, che la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 270108 GLYPH 01; Sez. 4, n. 2132 del 12/01/2021, Maggio, Rv. 280245 – 01).
Va ancora rilevato che, nel caso di specie si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungono a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2 – , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
2.2 Tanto premesso, ritiene il collegio che la Corte d’appello abbia in realtà puntualmente vagliato le censure formulate dalla difesa con l’atto di gravame respingendole con motivazione complessivamente esaustiva, congrua ed immune da profili di manifesta illogicità o contraddittorietà.
Va rilevato, infatti, che i giudici milanesi hanno richiamato le doglianze difensive (cfr., pagg. 10-11 della sentenza impugnata) dimostrando di averne colto la portata e di aver preso contezza della documentazione prodotta dalla difesa a sostegno delle proprie argomentazioni: sia quanto alla mancata conclusione di un contratto che alle presunte difficoltà del Cavalli nell’assicurare la qualità dei materiali da fornire; sia, ancora, alla consapevolezza, in capo al Cavalli, delle difficoltà in cui versava la società del COGNOME il quale aveva svolto un’attività di consulenza che andava comunque remunerata; e, ancora, alla non riferibilità al COGNOME delle richieste di pagamento di denaro che erano state avanzate anche nei confronti di tal COGNOME, cui l’affare era stato in precedenza proposto.
La Corte d’appello ha in primo luogo ribadito la attendibilità della persona offesa che aveva reso dichiarazioni “lineari, logiche e supportate da una serie di riscontri …” (cfr., pag. 11 della sentenza) la cui versione, inoltre, co argomentazione incensurabile, ha giudicato corroborata da una serie di “peculiarità” che avevano caratterizzato la presunta trattiva: la prima, consistente nel fatto che gli unici documenti relativi all’esistenza commessa erano risalenti al 2012-2013, periodo cui sono riferiti i disegni del COGNOME che si sarebbe a sua volta dovuto insinuare nel fallimento della società dell’imputato per ottenere quanto dovutogli; per contro, ha sottolineato la Corte territoriale, nessun documento era stato prodotto a riprova di rapporti tra il COGNOME ed i soggetti danesi databile tra il 2014 ed il 2015 a dimostrazione che, ove pure un primo contatto vi fosse stato, le condotte dell’imputato, tenute negli anni successivi nei confronti del COGNOME, non erano ormai più ad essi riferibili.
Il secondo elemento di “perplessità”, inoltre, era stato individuato nell’assenza di documentazione alcuna che, ad onta di quanto sostenuto dal COGNOME, potesse dimostrare gli impedimenta che l’imputato aveva prospettato alla persona offesa circa la idoneità delle certificazioni da questa trasmesse in ordine alla natura e caratteristiche dei materiali; il terzo profilo di “anomalia” segnalato dalla Corte è stato individuato nel fatto che gli unici pagamenti risultanti nella vicenda erano stati quelli eseguiti in favore dell’imputato per l’attività di intermediazione oltre che per fatture relative ad un controllo di qualità dei materiali di cui, tuttavia, non era emersa alcuna traccia documentale.
Con argomentazione tipicamente “di merito”, la Corte d’appello ha inoltre osservato che la vicenda che aveva interessato il COGNOME aveva in sostanza replicato quella che aveva riguardato il COGNOME cui, effettivamente, le richieste di denaro erano state avanzate dal COGNOME che, tuttavia, ha considerato pacifico essere un intermediario del COGNOME che aveva proposto al predetto COGNOME l”affare” che sarebbe stato poi “offerto” al COGNOME.
Per altro verso, ancora, i giudici milanesi hanno valorizzato il fatto che il COGNOME aveva sempre accuratamente evitato di farsi accompagnare all’estero dal COGNOME, circostanza indirettamente confermata da COGNOME (cfr., pag. 12 della sentenza impugnata), rilievo rispetto al quale il ricorso si limita, in realtà, a proporre una diversa ricostruzione alla luce di elementi di cui non si assume il travisamento per omissione ma, semmai, una valutazione inadeguata da parte della Corte d’appello.
Da ultimo, la sentenza ha dato rilievo alla (pacifica ed incontroversa) totale inattività della società dell’odierno ricorrente, elemento che di cui ha fornito una lettura non isolata ma che ha correttamente collocato all’interno del quadro complessivamente acquisito.
In definitiva, la Corte d’appello non ha trascurato o omesso di vagliare le censure difensive pervenendo alla conferma della sentenza di primo grado in forza di una motivazione che non si presta a rilievi suscettibili di esser fatti valere in questa sede.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
I giudici di secondo grado hanno ampiamente motivato (cfr., pagg. 13-14 della sentenza) facendo riferimento, al fine di sottolineare la “continuità” e l’ingravescente pericolosità criminale dell’imputato, anche i reati di bancarotta per i quali era intervenuto il positivo superamento dell’affidamento in prova ai servizi sociali ma ciò, come è evidente dal tenore della motivazione, al solo fine di evidenziare la omogeneità della sua “carriera criminale” e dei suoi precedenti e, pertanto, di motivare la recidiva dal punto di vista sostanziale.
In merito, poi, al rilievo secondo cui la recidiva reiterata non poteva essere affermata senza che fosse stata preceduta dalla dichiarazione di recidiva “semplice”, è sufficiente richiamare l’arresto delle SS.UU. di questa Corte che, dirimendo un contrasto obiettivamente in passato esistente, hanno chiarito che in tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica
ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice (cfr., Sez. U – , n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878 – 01).
La manifesta infondatezza del motivo sulla recidiva implica, quindi, quella del quinto motivo di ricorso dal momento che la recidiva qualificata, come è noto, incide sia sul computo del termine-base di prescrizione ai sensi dell’art. 157, comma secondo, cod. pen., sia sull’entità della proroga di suddetto termine in presenza di atti interruttivi, ai sensi dell’art. 161, comma secondo, cod. pen. (cfr., Sez. 2 – , Sentenza n. 57755 del 12/10/2018, Rv. 274721, Saetta; Sez. 6, Sentenza n. 48954 del 21/09/2016, Rv. 268224, COGNOME che, nel ribadire tale principio, ha inoltre escluso che ciò comporti una violazione del principio del “ne bis in idem sostanziale” o dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso RAGIONE_SOCIALEc Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non emergendo elemento alcuno di esclusione di profili di colpa.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 15.10.2024